sabato 6 dicembre 2025

Quando esitare non è solo tentennare

 

Il sintagma verbale esitare ha una doppia radice che ne spiega la ricchezza semantica. Da un lato deriva dal latino haesitare, frequentativo di haerere (“restare fermo, indugiare”), da cui l’uso intransitivo: “tentennare, indugiare, non decidersi”. Dall’altro lato, attraverso il sostantivo esito (dal latino exitus, “uscita, sbocco”), ha assunto anche valori transitivi, legati all’idea di “dare esito” o “smerciare”.

Nell’uso intransitivo, esitare è il verbo dell’incertezza: «Non esitare a chiamarmi se hai bisogno di aiuto» (Treccani, Vocabolario). È il gesto di chi resta sospeso, trattenuto da dubbi o timori. La tradizione letteraria lo usa spesso per rendere la titubanza psicologica: Alessandro Verri parla di «una crudelissima perplessità» che fa esitare ogni decisione (Lettere, XVIII sec.).

In quello transitivo, invece, il lessema cambia volto. Può significare “emettere, produrre”: «Le palatali indoeuropee esitano velari o palatali» (DICO, Università di Messina), cioè “danno esito a”. Oppure, in ambito commerciale, “vendere, smerciare”: Carlo Antonio Marin, nella Storia Civile e Politica del Commercio de’ Veneziani (1798), scrive che «gravitava sommamente sui prezzi delle merci medesime, che si volevano esitare». E ancora, il Vocabolario Treccani registra: «Sono articoli che si esitano con difficoltà», nel senso di “si vendono a fatica”.

Questa oscillazione semantica è la vera ricchezza del verbo: da un lato l’indugio che trattiene, dall’altro l’atto di far uscire o di smerciare. In un solo vocabolo convivono la pausa e lo slancio, il dubbio e la risoluzione, il mercato e la coscienza. Esitare è così un piccolo specchio della lingua: capace di stratificare significati diversi, conservando nel tempo la memoria di gesti opposti ma complementari.

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 Grande, un aggettivo “ribelle”

Una legge grammaticale non consente di troncare (o apocopare) le parole plurali, ma l’aggettivo grande non ha mai voluto sottostare a questa regola. E le grammatiche sembra  non siano interessate all’argomento. Grande, dunque, si può troncare in gran nella forma plurale sia maschile sia femminile: i gran letterati dell’Ottocento; le gran dame del Novecento. La parola che segue, però, non deve cominciare con “s preconsonantica (S impura) o X, Z, e i nessi GN, PS: i gran premi automobilisti, ma i grandi sconti di fine stagione.






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