Il sintagma verbale esitare ha una doppia radice che ne spiega la ricchezza semantica. Da un lato deriva dal latino haesitare, frequentativo di haerere (“restare fermo, indugiare”), da cui l’uso intransitivo: “tentennare, indugiare, non decidersi”. Dall’altro lato, attraverso il sostantivo esito (dal latino exitus, “uscita, sbocco”), ha assunto anche valori transitivi, legati all’idea di “dare esito” o “smerciare”.
Nell’uso intransitivo, esitare è il verbo dell’incertezza: «Non esitare a chiamarmi se hai bisogno di aiuto» (Treccani, Vocabolario). È il gesto di chi resta sospeso, trattenuto da dubbi o timori. La tradizione letteraria lo usa spesso per rendere la titubanza psicologica: Alessandro Verri parla di «una crudelissima perplessità» che fa esitare ogni decisione (Lettere, XVIII sec.).
In quello transitivo, invece, il lessema cambia volto. Può significare “emettere, produrre”: «Le palatali indoeuropee esitano velari o palatali» (DICO, Università di Messina), cioè “danno esito a”. Oppure, in ambito commerciale, “vendere, smerciare”: Carlo Antonio Marin, nella Storia Civile e Politica del Commercio de’ Veneziani (1798), scrive che «gravitava sommamente sui prezzi delle merci medesime, che si volevano esitare». E ancora, il Vocabolario Treccani registra: «Sono articoli che si esitano con difficoltà», nel senso di “si vendono a fatica”.
Questa oscillazione semantica è la vera ricchezza del verbo: da un lato l’indugio che trattiene, dall’altro l’atto di far uscire o di smerciare. In un solo vocabolo convivono la pausa e lo slancio, il dubbio e la risoluzione, il mercato e la coscienza. Esitare è così un piccolo specchio della lingua: capace di stratificare significati diversi, conservando nel tempo la memoria di gesti opposti ma complementari.
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Grande, un aggettivo “ribelle”
Una legge grammaticale non consente di troncare (o apocopare) le parole plurali, ma l’aggettivo grande non ha mai voluto sottostare a questa regola. E le grammatiche sembra non siano interessate all’argomento. Grande, dunque, si può troncare in gran nella forma plurale sia maschile sia femminile: i gran letterati dell’Ottocento; le gran dame del Novecento. La parola che segue, però, non deve cominciare con “s preconsonantica (S impura) o X, Z, e i nessi GN, PS: i gran premi automobilisti, ma i grandi sconti di fine stagione.

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