martedì 30 settembre 2025

Sigillare vs suggellare: alla radice della doppia g

 

Perché sigillare si scrive con una sola “g”, mentre suggellare ne richiede due? La domanda, apparentemente capricciosa, rivela invece un nodo affascinante di evoluzione fonetica, stratificazione morfologica e sensibilità stilistica.

Entrambi i verbi derivano dal latino sigillare, che nasce da sigillum, diminutivo di signum, “segno”. Ma nel passaggio all’italiano, questa radice ha generato due forme distinte: sigillare, più fedele alla grafia latina, e suggellare, frutto di una trasformazione fonetica che ha portato al raddoppiamento della consonante. Non si tratta di due etimologie separate, bensì di una biforcazione evolutiva: da un lato il prestito dotto, sobrio e lineare; dall’altro la forma popolare, più marcata e ritmica.

La doppia “g” in suggellare è il risultato di un rafforzamento fonosintattico, un fenomeno per cui la consonante iniziale di una parola viene intensificata quando preceduta da un prefisso o da una particella che ne sollecita l’accento. In questo caso, il prefisso sub- (oggi non più percepito come tale) ha agito sulla “g” di sigillare, generando una pronuncia più incisiva: sub-sigillaresuggellare. Il raddoppiamento non è quindi arbitrario, ma foneticamente motivato.

Al contrario, sigillare conserva la “g” singola perché non subisce alcuna pressione fonetica o morfologica che ne giustifichi il rafforzamento. La “g” intervocalica rimane tale, come in sigillo, regina, magia. La forma è piana, coerente, priva di tensioni.

Sul piano semantico, i due verbi si sovrappongono in molti contesti, ma non sono del tutto equivalenti. Sigillare è più tecnico, notarile, burocratico: si sigilla una busta, un documento, un’urna. Suggellare ha invece un tono più solenne, spesso metaforico: si suggella un patto, un amore, una vittoria. La doppia “g” sembra quasi voler imprimere più forza, più solennità. E in effetti, la lingua non è solo logica: è anche ritmo, intensità, stile.

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Il cognato reale e quello figurato


I
l sintagma cognato è curioso perché racchiude due significati distinti: uno familiare (che si potrebbe definire reale), l’altro linguistico (che si potrebbe definire figurato). Nella vita quotidiana, il cognato è il fratello del coniuge o il marito della sorella. In linguistica, invece, un cognato è una parola che condivide la stessa origine etimologica con un’altra, anche se appartiene a lingue diverse.

Entrambi i significati derivano dal latino cognatus, composto da co- (“con”) e gnatus, participio passato di nasci, “nascere”. Il senso originario è dunque “nato insieme”, “imparentato”. Da qui, il passaggio al significato familiare è diretto: il cognato è un parente acquisito, ma comunque legato da un vincolo riconosciuto. In ambito linguistico, invece, il termine è stato ripreso in epoca moderna per indicare parole “imparentate” per origine, anche se divergenti per forma e significato. E.g. madre in italiano, mother in inglese e Mutter in tedesco sono cognate: tutte derivano dal protoindoeuropeo méh₂tēr.

In entrambi i casi, il cognato è un “prossimo non immediato”: non è il fratello, ma il fratello del coniuge; non è la stessa parola, ma una parola che ha radice comune. Il legame è reale, ma mediato. E forse è proprio questa mediazione a rendere il termine così affascinante: cognato è il nome di una prossimità che non si impone, ma si scopre.







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