martedì 16 settembre 2025

"Parlottismo": il rumore di fondo del discorso pubblico

 

Viviamo immersi in un mare di parole, ma quante di queste dicono davvero qualcosa? Il parlottismo è il nuovo nome per un vecchio vizio: parlare tanto, dire poco (o niente). Con queste noterelle proponiamo un neologismo ironico ma necessario, utile a smascherare la comunicazione vuota che infesta dibattiti, documenti e discorsi pubblici. Perché se non possiamo evitare il rumore, almeno impariamo a riconoscerlo.

In un tempo in cui la comunicazione è dappertutto, ma spesso priva di sostanza, si avverte il bisogno di dare un nome a un fenomeno linguistico e sociale sempre più diffuso: parlottismo. Il termine nasce da parlottare, che indica un parlare sommesso, indistinto, talvolta confuso. Ma in questa accezione, parlottismo si trasforma in qualcosa di più ampio e insidioso: è la tendenza a parlare o scrivere in modo vago, generico, inconcludente, spesso per riempire spazi comunicativi senza dire nulla di realmente significativo.

È il linguaggio che si ascolta nei dibattiti televisivi, dove si discute per ore senza arrivare a una sintesi. È il gergo aziendale che abbonda di parole come sinergia, proattività, visione strategica, ma che raramente chiarisce cosa si intenda fare. È il discorso politico che gira intorno ai problemi senza affrontarli. È, in sintesi, il rumore di fondo del nostro tempo. 

Questo modo di comunicare si annida in ogni dove. Nella politica, quando si afferma “stiamo lavorando per il bene del Paese” senza specificare come. Nella pubblicità, quando si promettono “soluzioni innovative per un futuro sostenibile” senza alcun contenuto concreto. Nel giornalismo, quando titoli come “Scoppia la polemica” o “Bufera sui social” alimentano il dibattito senza informare. Persino nella didattica, quando si spiegano concetti con circonlocuzioni che confondono più che chiarire.

Ecco allora che parlottismo diventa parola utile, necessaria, quasi urgente. Alcuni esempi d’uso potrebbero essere: “Il suo intervento era puro parlottismo: parole tante, nessuna idea.” Oppure: “Attenzione al parlottismo nei documenti ufficiali: rischia di svuotare il contenuto.” O ancora: “Il parlottismo è il nemico della chiarezza.”

Proporre parlottismo non è solo un esercizio linguistico, ma un invito alla consapevolezza. In un mondo saturo di parole, scegliere quelle giuste è un atto di responsabilità. Dare un nome al vuoto comunicativo è il primo passo per riempirlo di senso.

Eventuale lemmatizzazione:

parlottismo s. m. [der. di parlottare, col suff. -ismo, sul modello di termini che indicano tendenze o fenomeni collettivi].

  1. Modo di esprimersi caratterizzato da vaghezza, genericità e inconcludenza, volto più a occupare lo spazio comunicativo che a trasmettere contenuti significativi. Si manifesta in discorsi pubblici, testi scritti o interventi orali dove l’abbondanza verbale non corrisponde a una reale densità informativa.

  2. Fenomeno linguistico e sociale del nostro tempo, riconoscibile nell’uso reiterato di formule stereotipate, slogan, circonlocuzioni e termini astratti, spesso impiegati in ambiti quali la politica, la comunicazione aziendale, il giornalismo e la didattica. Il parlottismo si configura come rumore verbale, sintomo di una comunicazione inefficace e priva di sostanza.

  3. Strumento critico e metalinguistico, impiegato per identificare e denunciare pratiche discorsive che ostacolano la chiarezza e la trasparenza. Il termine, di conio recente e uso ironico, non ha intento offensivo, ma si propone come lente interpretativa per distinguere tra retorica sterile e contenuto autentico.


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La lingua “biforcuta” della stampa

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1 commento:

ALDO ha detto...

"Parlottismo" mi sembra un suggerimento molto attuale ed appropriato. Speriamo che i Soloni della lingua lo facciano proprio e lo inseriscano nei dizionari.