lunedì 25 agosto 2025

'Supplettivo': la doppia T che non perdona

 

Nella terminologia grammaticale della lingua italiana l’aggettivo suppletivo occupa una posizione tanto tecnica quanto affascinante. Eppure, nonostante la sua presenza nei manuali e nei corsi di linguistica, capita spesso di imbattersi in una forma errata: supplettivo, con due “t”. Un errore apparentemente innocuo, ma che rivela una certa disattenzione verso l’etimologia e la struttura morfologica della parola. Queste noterelle si propongono di fare chiarezza, di restituire al termine la grafia corretta e di spiegare perché suppletivo è la sola forma legittima.

Il sintagma suppletivo, dunque, deriva dal latino suppletivus, aggettivo formato dal verbo supplere, che significa “completare”, “colmare”, “aggiungere ciò che manca”. Il verbo latino supplere è composto da sub- (sotto, da sotto) e plere (riempire), e non contiene alcuna doppia “t”. Di conseguenza, la forma italiana corretta conserva questa struttura: suppletivo, con una sola “t”. La grafia errata, supplettivo, è frutto di una falsa analogia, probabilmente influenzata da parole come correttivo, protettivo, direttivo, dove la doppia “t” è presente nel participio passato del verbo da cui derivano (correggere, proteggere, dirigere). Ma nel caso di suppletivo, non c’è alcuna base morfologica che giustifichi la geminazione (raddoppiamento).

In grammatica, suppletivo è un aggettivo che designa un fenomeno molto specifico: si parla di forma suppletiva quando una coniugazione verbale o una flessione nominale si realizza attraverso un radicale diverso, spesso proveniente da un altro verbo o da una radice etimologica differente. È il caso, per esempio, del verbo andare, che presenta forme suppletive come vado, vai, va, provenienti dal latino vadere, mentre andare deriva da ambulare. In italiano, dunque, la coniugazione del verbo andare è suppletiva perché si costruisce con radici diverse per esprimere le varie persone e tempi.

Un altro esempio è il verbo essere, che anche in altri idiomi presenta forme suppletive. In quello italiano, sono, sei, è derivano dal latino esse, mentre fui, fosti, fu derivano da fui, passato remoto di esse, e ero, eri, era da esse in forma imperfetta. Anche qui, il suppletivismo è evidente: un solo verbo, ma più radici per esprimere le diverse forme temporali.

A conclusione di queste noterelle. Suppletivo è un lessema che merita attenzione e cura. Non solo per la sua funzione descrittiva in ambito grammaticale, ma anche per la sua eleganza etimologica. Adoperarlo correttamente vuol dire riconoscere il valore della lingua come sistema coerente, dove ciascuna parola ha una storia, una logica, una forma che va rispettata. E in un mondo dove le parole spesso vengono maltrattate, sapere che suppletivo ha una sola “t” è un piccolo atto di resistenza linguistica.






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