Il linguaggio del congedo tra forma, emozione e tradizione
Ci sono espressioni che, pur sembrando sorelle gemelle, portano ciascuna un proprio carattere. Arrivederci e a rivederci sono tra queste: due modi di salutare che si somigliano nella forma, ma si distinguono per tono, intenzione e persino per la grafia.
Arrivederci si presenta in grafia univerbata, ovvero come una parola unica, compatta, nata dalla fusione degli elementi originari. È un saluto saldo, funzionale, che trova posto sia nei contesti formali sia in quelli più spicci e quotidiani. Un collega che lascia l’ufficio a fine giornata può dire Arrivederci! con leggerezza, affidandosi a una formula che non pretende troppo, ma rispetta le regole del garbo, dell'educazione.
A rivederci, al contrario, conserva una grafia analitica: due parole distinte, “a” e “rivederci”, Qui non si parla solo di una separazione, ma di un incontro rimandato, di un sentimento sospeso. L’espressione si carica spesso di delicatezza e intenzione affettuosa. È il tipo di saluto che un insegnante, un genitore o un oratore potrebbe/potrebbero usare per chiudere un momento importante, lasciando aperta la porta del ritorno.
Si immagini, per esempio, una scena teatrale: il protagonista, in procinto di lasciare il palco, non dice Arrivederci, ma A rivederci, miei cari! Il pubblico coglie subito la sfumatura: non si tratta di una fine, ma di una pausa tra atti.
Celebre l’aneddoto che riguarda Totò, il principe della risata, che salutava con un tono teatrale e giocoso: A rivederci… in un’altra vita, forse, o almeno in un altro spettacolo! Un uso affettuoso, immaginifico, che fa del saluto non solo un congedo, ma una promessa narrativa.
E poi c'è un proverbio toscano che incanta per semplicità: “Chi si rivede, si vuole bene.” Un modo di dire che accarezza il cuore e illumina il senso più profondo del salutarsi: non separarsi, ma darsi tempo per ritrovarsi.
Per concludere queste noterelle, la scelta tra arrivederci e a rivederci non è una questione sintattico-grammaticale, ma un gesto stilistico, quasi poetico. Un modo per modulare il proprio commiato con grazia, lasciando che le parole parlino anche del sentimento, oltre che della circostanza. Dimenticavamo: tassativamente in grafia univerbata in funzione di sostantivo.

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