Le questioni centrali trattate in questo mio
scritto sono due:
1. Gli anglicismi sempre più frequenti nella lingua
italiana ci vengono dall’alto o dal basso? Anticipo qui la mia risposta: essi
ci vengono dall’alto, godendo inoltre, come vedremo, del prestigioso avallo del Presidente della
Repubblica.
2. I “sovranisti” (sovranisti che sono fautori
della sovranità nazionale ma non di quella del popolo) si dichiarano contrari
agli anglicismi giudicando che questi provengono dal popolo? No, sono contrari
agli anglicismi in nome della chiarezza del linguaggio, dell’eufonia, e anche
della dignità nazionale. Vi sono contrari soprattutto perché gli anglicismi,
talvolta un usa e getta snobistico, sono spesso usati erroneamente oppure
eliminano in certi casi una ricca nomenclatura italiana già esistente. Gli anglicismi impoveriscono la
lingua poiché distruggono i termini l’italiani.
Come vedremo c’è invece chi accusa i “sovranisti” di inveire dall’alto
dell’Olimpo contro il popolo italiano che rumoreggia dal basso perché voglioso
di “flop” invece che di “fiaschi”, e di “jackpot” invece che di “montepremi”,
in campo linguistico. Ripeto: secondo me, la stragrande maggioranza degli
anglicismi ci giunge dall’alto. Fatto unico nel consesso delle nazioni: i
nostri governanti ci tengono ad inserire nei testi ufficiali la paroletta
inglese, simbolo per loro di scientificità, modernità, pragmatismo, globalismo,
apertura al Diverso. Anche TV e stampa italiana diffondono dall’alto a più non
posso gli inglesismi. Il risultato è che poi il popolo se ne pasce beato.
Ma è la classe politica italiana nel suo insieme ad essere favorevole
all’uso degli anglicismi? O invece è possibile fare una distinzione tra “Destra” e “Sinistra” circa il favore
accordato agli anglicismi? Vi anticipo subito la mia risposta: no, i nostri
politici, su tutto divisi, sono invece “bipartisan” – è proprio il caso di dire
– nel loro atteggiamento di generosa apertura nei confronti delle magiche
parole americane. Basta consultare i giornali di sinistra e quelli di destra
per vedere che linguisticamente le due squadre amano le ammucchiate all’insegna
dello “sfruconamento” linguistico delle terga americane.
E qual è l’atteggiamento del presidente Mattarella, istituzionalmente
“super partes”? Se prestiamo fede ad un suo discorso, molto particolare, il presidente della Repubblica è favorevole
all’ibridismo della lingua italiana. Egli si dichiara favorevole a una lingua
viva, aperta, innovativa, non nostalgica
del passato; una lingua che accolga con generosità gli apporti non solo dell’inglese
ma delle numerose lingue parlate nella penisola dagli immigrati. Mattarella
auspica l’avvento nella penisola di una nuova lingua globale, aperta alle
influenze multiculturali; lingua – aggiungo io – che inevitabilmente rinnegherà
i nostri classici.
Un fatto innegabile è che i dizionari della lingua italiana non agiscono da
cani da guardia nei confronti della lingua viva italiana con l’intento di
difendere una sua primigenia “purezza” (mai esistita). La Crusca, la Treccani,
i dizionari enciclopedici, i linguisti ci spiegano che il dizionario italiano
d’uso ha una finalità descrittiva, ossia non determina cosa si può dire o non
si può dire, ma registra l’uso orale e scritto della lingua in un dato periodo.
Può però avvenire che i guardiani dell’ortodossia della lingua, i puristi per
intenderci – leggiamo sul sito Treccani – credendo che i dizionari abbiano il compito di fungere
da “arbitri che mantengono alti gli
standard linguistici”, insorgano contro l’inclusione nel dizionario di
termini “non accettabili” che abbasserebbero gli standard linguistici
della lingua nazionale. Ancora Treccani: “Questo atteggiamento porta alcuni
parlanti a deplorare ogni accoglimento di forestierismi e neologismi informali,
visti come un abbassamento degli standard qualitativi di un dizionario o, in
alternativa, a considerare la loro presenza come un segno dell’imbarbarimento
della lingua.” Ma giova subito precisare che, proteste o non proteste, i
dizionari italiani accolgono tranquillamente i vari anglicismi d’uso corrente.
Vi è però il caso, come vedremo in seguito, di chi esprime invece il
sospetto che le autorità linguistiche tipo Crusca e Treccani insieme con gli
autori di altri dizionari trascurino gli anglicismi perché questi provengono
dal basso, ossia dal popolo, giudicando che questi termini attentino alla
“sovranità” della Nazione italiana. A tal proposito, rivolgo l’invito a chi intenda addentrarsi in questo mio scritto
di leggere l’interessante post di Luca Passani, sostenitore di questa tesi,
apparso in questo blog sotto il titolo “I vocabolari che lavoro fanno?” Non vorrei, infatti, aver travisato le sue idee,
espresse comunque più diffusamente in un
altro articolo cui anche accennerò.
Il tutto – per me – è cominciato, appunto, con il post del dr Luca Passani. Questi, avendo constatato che il dizionario online Treccani,
alla voce “avido”, non registrava
l’accezione di “appassionato” limitandosi a darcene il significato di “smodato
desiderio d’una cosa (in genere, di beni e piaceri materiali), ingordo”, si è domandato: “È possibile che tale
accezione di avido venga avvertita come inglesismo e che, quindi (in osservanza
del vento sovranista che tira in Italia negli ultimi tempi nei confronti di
tutto ciò che è di origine inglese) la Treccani cincischi ad inserirlo sul suo
vocabolario?”
Non entrando nel merito del presunto vento sovranista contrario agli
anglicismi, il linguista Salvatore
Claudio Sgroi ha chiarito da par suo, in due post successivi, i tanti dubbi
espressi da Luca Passani, e ha dimostrato, attraverso una documentata ricerca,
la correttezza formativa del sintagma “avido lettore” e “lettore avido”;
espressioni che non sono di certo anglicismi. Il professor Sgroi ha inoltre
brevemente trattato l’approccio descrittivista (from below) e l’approccio
prescrittivista (from above) relativamente ai cambiamenti che avvengono nella
lingua.
Ma allora perché
questo mio intervento, visto che l’approfondita ricerca del professor Sgroi ha in fondo esaurito il tema proposto
da Luca Passani? A causa di quel “vento sovranista”, espressione usata da
quest’ultimo e che mi ha permesso di risalire a un precedente articolo, sempre di Passani, sul tema delle innovazioni
linguistiche provenienti dal popolo - gli anglicismi - e della presunta
opposizione politico-linguistica messa in atto dai sovranisti.
A mio giudizio ciò che rende il fenomeno dell'invasione dell'inglese
tristemente unico in Italia rispetto agli altri paesi, è il fatto che sia lo
stesso governo, nella penisola, a sguazzare negli anglicismi. Vedi
"Ministro del welfare", "Social card", "Social
act", "Jobs act", "Migration compact", "Spending review", “Election day,
"Question time", "Stalking", "Family Act",
"Stepchild adoption" e via continuando.
"What a fiasco!" direbbero gli inglesi,
e "Quel fiasco" commenterebbero i francesi. Ma rischierebbero di non
essere capiti dagli italiani, politici e giornalisti in testa, che hanno ormai
sostituito il "fiasco", per loro troppo provinciale, con il
"flop" senz'altro molto più degno di loro.
Io, con molta modestia – a rischio di ripetere ciò che è stato detto in
maniera ammirevolmente dotta (e non lo dico di certo con ironia) dal professor
Sgroi – mi sento subito di dire al dr Luca Passani che il vento sovranista
c’entra assai poco con il fatto che il vocabolario Treccani abbia omesso di
fornirci la connotazione, diciamo così, “positiva” di “avido”; termine che non
è certamente un calco dell’inglese (anche quando “avido” sembra essere la
traduzione di “avid”). L’assenza di “avido”, nel senso di appassionato, nel
dizionario Treccani era una riprovevole trascuratezza, una lacuna, un’omissione
(cui subito la Treccani ha rimediato).
Quelli della Treccani, nella risposta da loro data a Luca Passani, invece
di ammettere questa loro omissione, hanno cincischiato, ciurlato nel manico,
dimostrandosi invero assai poco “avidi di verità”. Hanno avallato così il forte sospetto dei sostenitori delle parole dal basso (anzi
“bottom-up”), che l’omissione fosse dovuta alla pericolosa somiglianza che
“avido” ha con l’“avid” inglese, anzi con la connotazione inglese del termine
“avido” italiano; connotazione che, secondo Passani, proviene nobilmente dal
basso insieme con tutti gli altri anglicismi.
Un articolo su questo stesso tema, sempre di Luca Passani, era stato
pubblicato in precedenza sulla Voce di New York (27-06-2019): “La nostra lingua, la Crusca e lo Zeitgeist sovranista/ Parliamo di lingua italiana, linguisti e di come anche l’Accademia della Crusca sembri allinearsi con lo spirito sovranista dei nostri tempi.” In questo testo vi è un attacco in regola contro
gli ipernazionalisti reazionari che difenderebbero la purezza della propria
lingua rifiutandosi di arricchirla con termini provenienti dall’estero. In
realtà, preciso io, si può essere contro i prestiti di lusso che causano un
impoverimento della propria lingua, ma non contro i prestiti di necessità che
colmano certi nostri vuoti linguistici, vedi il termine medico “stent”. A questo proposito,
io sarei addirittura disposto a proporre l’introduzione nel vocabolario
italiano di “grandchild”, visto che il nostro “nipote” non distingue tra “nipote di zio” e “nipote di nonno”
(nipote abiatico). Si potrebbe però tentare di trovare, prima, un neologismo
latino. Inoltre ci sono altri termini inglesi che, opportunamente
italianizzati, arricchirebbero l’espressività della nostra lingua, non poi così
ricca come noi amiamo credere. Ma nella maniera in cui lo scimmiottamento della
lingua inglese oggi avviene, il risultato per la nostra lingua è un triste
impoverimento.
Ma pochi sono pronti a
riconoscere il grave problema di questa perdita di pezzi del nostro veicolo -
la lingua nazionale - sorta di “ex Ferrari”
alla quale lungo la pista, ai “punti di rifornimento e di assistenza”
(purtroppo: ai “pit stop”), gli addetti sgonfiano le gomme e immettono acqua
nel motore. E se non si riconosce prima il problema non si potrà certamente
sperare che si propongano delle soluzioni per cercare se non altro di
contenerlo. Proviamo a leggere uno
scritto di Giovanni Papini, e ci renderemo subito conto dei tanti termini
italiani che il nostro vocabolario abituale ha irrimediabilmente perduto.
Sono d'accordo: la lingua è un
organismo vivo che tende a perdere le parole troppo vecchie e ne aggiunge di
nuove. E queste possono anche provenire da una lingua straniera. In realtà
l’italiano, almeno sulla carta ossia nel dizionario, non perde nulla perché tutto
rimane. Semplicemente il nuovo si aggiunge al vecchio. Basta aprire a caso un
dizionario d’italiano per rendersi conto che forse la metà delle parole
iscritte ci sono ormai sconosciute, perché nessuno più le usa. Ma esse
continuano ad esistere. E così killer non ha inferto un colpo mortale ad
“assassino”, “omicida”, “sicario”, “uccisore”, ma si è unito a questa banda di
criminali assumendo le funzioni di “boss” indisputato.
L’opporsi a questa nuova lingua
globale di tipo orwelliano è una questione, secondo me, anche di dignità nazionale. Ma devo stare
attento a toccare questo tasto per non rischiare oltre all’accusa di
sovranismo, anche quella di apologia di…
Una
vita all’estero fa vedere a taluni di noi, ma non a tutti, le cose in maniera speciale, in particolare
quando s’insegna l’italiano a stranieri, innamorati sia del senso del bello
ancora così presente nella cultura italiana, sia della musicalità della nostra
lingua che lo spettacolo lirico continua ad esaltare attraverso il mondo. La
lingua capta ed esprime l’anima del paese e dei suoi abitanti. La presenza di
una caterva di parole come “killer”, “badge”, “jackpot”, “tilt”, “pressing”
negli scritti italiani odierni, inclusi gli articoli di firme prestigiose nei
migliori quotidiani nazionali, pone l’insegnante d’italiano di fronte ad una
situazione imbarazzante: a questi suoi allievi che vogliono imparare l’italiano
anche perché attratti dall’idea, forse un po’ mitica ma così lusinghiera per
noi, di una “estetica” italiana ricca di forme e di suoni
armoniosi, dovrà spiegare il perché di questo stridente, cacofonico e ridicolo
fenomeno di scimmiottamento nei confronti della lingua degli americani.
Ma Luca Passani vede nella difesa
dell’italiano l’agire di sovranisti posseduti da bassi istinti politici: “Negli ultimi anni si è andato affermando uno
zeitgeist sovranista, che antepone le identità nazionali e gli interessi dei
popoli (veri o presunti che siano) ad ogni tipo di globalismo e di influsso
straniero, ricco o povero che sia. Il trumpiano “America first” e il salviniano
“Prima gli italiani” sono figli dello zeitgeist. Se lo spirito del nostro tempo
è questo, risulta facile vedere nelle scelte attuali l’applicazione sul piano
linguistico di quello che il governo populista attua sul piano politico:
rifiuto delle novità provenienti dall’esterno e, per sicurezza, rifiuto delle
novità tout court, sostenuto, se serve, da un certo stile autoritario.” (La
Voce di New York, 27-06-2019)
Fatto rimarchevole che indica l’utilità di certi interventi: il dizionario
Treccani online, proprio dopo l’intervento di Passani, ha colmato la lacuna da
questo denunciata, arricchendo, e di molto, la voce “Avido”, che oggi si legge
così : “àvido agg. [dal lat.
avĭdus, der. di avere ‘bramare’]. – Che ha smodato desiderio d’una cosa (in
genere, di beni e piaceri materiali), ingordo: a. di cibo, di guadagno, di
ricchezze, di piaceri; a. di preda, di rapina, di conquista, di sangue, di
vendetta; anche in senso positivo: a. di gloria, di sapere, di conoscere. Per
estens., che dimostra o è mosso da avidità: ascoltare con a. curiosità;
guardare con occhi a.; Vèr lo balcone al buio protendea L’orecchio a.
(Leopardi); a. lettore, appassionato, insaziabile. Avv. avidaménte,
con avidità, con desiderio impaziente: mangiare, bere, succhiare avidamente;
guardare, scrutare, ascoltare avidamente.”
Ma torniamo alla teoria populista-antisovranista.
Scrive Luca Passani nel post già citato, apparso in questo blog: “I temi linguistici mi hanno sempre appassionato, in particolare da quando
mi sono reso conto di come esistano due modi antitetici di intendere lo studio
di una lingua: bottom-up e top-down.” Ho fatto delle ricerche
e ho trovato, sì , in campo linguistico questa formula inglese (espressa però
così: “from above/from below”), in riferimento tuttavia non all’inclusione o
all’esclusione dei nuovi termini nei dizionari, ma ai cambiamenti consapevoli
(i quali provengono dall’alto, ossia from below). Un esempio di questi
anglicismi, che Luca Passani attribuisce
al popolo e che in realtà provengono dall’alto, è anche il recente “Family
act ”, anglicismo imposto al popolo italiano dai parlamentari italiani
attraverso la Gazzetta Ufficiale. Il quale “Family Act” si installa comodamente
in parlamento accanto a lockdown, election day, stalking, stepchild adoption,
migration compact, social card, spending review, question time, welfare, smart
working, jobs act, cluster e via
enumerando in inglese; termini tutti che rivelerebbero la grande modernità
della nostra classe politica così aperta al diverso e al vocabolario di
quest’ultimo.
I linguisti ci spiegano che dal basso, “from below ”, ci vengono
invece i termini “inconsapevoli”, quasi spontanei, che io mi azzarderei a
chiamare “populisti” perché collegati al glocalismo e al popolo. Tra questi
ultimi vi sono certi termini dialettali, che i dizionari registrano perché
ormai assai diffusi anche al di fuori del territorio originario iniziale.
Ecco cosa ci dice Wikipedia: “In linguistics, change from above refers to conscious change to a language. Change
from above usually enters the speech of educated people, not the vernacular dialects. This change usually begins with speakers in higher social classes and
diffuses down into the lower classes. Upper classes use these new linguistic
forms to differentiate themselves from the lower classes, while lower classes
use these forms to sound more educated and similar to the upper class. However,
the concepts of change from above and below refer to consciousness and not
social class.”
A mo’ di conclusione, dirò che i “sovranisti” hanno un gran rispetto del
popolo e della sua maniera di parlare “come mamma l’ha fatto”; ma la propria
mamma, non la mamma a stelle e strisce… Forse giova riportare a questo punto un
giudizio di De Mauro (certamente non un “sovranista ”, anzi un rispettato
“progressista ”, “laico di ispirazione marxista'' come lui
stesso si definì) sugli anglicismi:
L’intervistatore:
“Se negli anni Cinquanta la televisione ha insegnato
l'italiano agli italiani, oggi sembra voler insegnare loro l'inglese. Quali
effetti provoca nella lingua comune l'atteggiamento anglofilo dei grandi mezzi
di comunicazione?”
De Mauro: “Magari
insegnasse l'inglese davvero. Insegna, in titoli di trasmissioni e di sue
articolazioni, l'esibizione sciocca e inutile di qualche anglismo, come
educational per educativo. Del resto, anche come ministro, ho protestato in
Parlamento contro queste ridicolaggini, il question time, per le interrogazioni
urgenti, o il Welfare del ministro Maroni. Ha da passà a nuttata.”
Pienamente d’accordo. Gli anglicismi costituiscono un nuovo latinorum, malamente
masticato, che governo, mass media e caste varie diffondono tra il popolo che
se ne appropria beato, convinto di innalzarsi nella scala sociale. Gli esempi
anche recenti confermanti questa mia tesi abbondano. TV e giornali in questi
giorni continuano a contaminarci, con l’aiuto del coronavirus, di termini inglesi.
Termini, ci tengo a
precisare, qualche volta necessari ma più spesso inutili e direi dannosi:
“Sempre più regioni in
Italia sono covid free”, “Sette
statali su dieci in smart working”, “Flash mob pro spettacolo in piazza Duomo a Milano”, “Mentre si discute
di Eurobond, dal Cilento arriva la risposta alla crisi del turismo: gli Holiday Bond”, “Pesano anche i ‘cluster’ di Mondragone e
Bologna”, “Oggi i casi sono più lievi. La minaccia
sono i cluster”, “Statali, due su tre
in smart working”, “Coronavirus, sito Inps andò in tilt per un attacco kacker”, “Coronavirus, in Italia dieci nuovi focolai:
non si esclude un secondo lockdown.” , “Coronavirus,
il flop delle strutture per la quarantena dei positive.”
Vedere anche il
post, ricco di esempi in tal senso, di Pier Paolo Falcone: Tra le vittime del/della Covid
anche il nostro idioma.
Non posso non accennare
all’intervento del presidente della Repubblica italiana che dall’alto
incoraggia gli italiani ad accogliere i neologismi che ci provengono dal
multiculturalismo. Questa è un’ulteriore prova, secondo me, che il potere ama i
forestierismi. Ebbene il
presidente della Repubblica italiana, evidentemente anche lui antisovranista, ma
sostenitore del generoso progetto del dr Piero Bassetti (Bassetti è il
fondatore del Globus et Locus, che esalta l’italicità di 200/250 milioni di
gente di origine o di simpatie italiane distribuite attraverso il mondo) lascia intuire che gli anglicismi sono un apporto di cui
gli italiani possono inorgoglirsi; perché è il nostro popolo, ormai
multiculturale, ad introdurli nella nostra lingua dal basso verso l’alto ossia “bottom-up”. Non c’è
che dire: le opinioni, le idee, i suggerimenti del presidente della
Repubblica italiana in tema di lingua provengono dall’alto, anzi “from above”.
Più in alto di così non si può…
Ecco le idee di Sergio Mattarella sull’evoluzione della lingua italiana da
lui espresse agli Stati Generali della Lingua Italiana nel mondo (Firenze, 18
ottobre 2016). Da notare che il nostro presidente parla di civiltà italiana, di
cui la lingua, beninteso, è parte preziosa. “La civiltà italica, nelle sue
sfaccettature, antiche, moderne e contemporanee” deve tenersi lontana “dall'arroccamento
identitario” e tenersi invece “protesa, piuttosto, ad offrire alle altre
culture, il portato dell'esperienza, della bellezza, cumulata in millenni.”
Il concetto di apertura espresso dal nostro presidente non può che essere
condiviso anche da noi, sovranisti per acclamazione. “L’italianità parla di
umanesimo” e “la cultura è in continuo divenire, non possiamo pensare di
fermarne la proiezione su un fotogramma fisso.” L’idea di una cultura e di
una lingua fissate una volta per sempre è un’idea da respingere, cui infatti il
nostro presidente si oppone apertamente con il tacito plauso dell’intera
Italia, me compreso.
Ma il passato così caro ai nostalgici delle glorie d’Italia? Il presidente
è fermo: “Valorizzare un passato già noto non può esaurirsi in percezioni di
nostalgia: ci tocca il compito di riprogettare continuamente l'immagine e
l'offerta culturale del nostro Paese.” Ma come riprogettare l’immagine e
l’offerta culturale del nostro Paese? Non certo adattando i nostri spaghetti al
dente alla diversità delle cucine e dei gusti ormai presenti nello Stivalone e
quindi cucinandoli un po’ scotti, oso ironizzare io. Ma adattando la nostra
lingua – ci dice invece il nostro presidente – alle esigenze del mondialismo
che sperimentiamo ormai anche a casa nostra.
L’idea base del
presidente Mattarella è la “pluralità di linguaggi”, nozione che almeno
all’inizio dell’allocuzione sempre far riferimento alle sfaccettature
dell’italiano, lingua che riguarda “L'arte, la musica, il design, la moda,
il cinema, lo sport, l'industria, la cucina ”, ma che in seguito è
proposta dal nostro presidente nella sua versione di “koinè”, lingua franca,
“pidgin”, capibile un po’ da tutti anche da coloro che non hanno mai studiato
l’italiano. Incredibile ma vero: il presidente della Repubblica attraverso
questo discorso basato sulla nozione del bottom-up propone di adattare la
lingua italiana alla “diaspora di altri popoli, in ingresso nella cultura
italiana e per i quali, spesso, l'italiano è la lingua tramite per eccellenza,
una sorta di ‘lingua franca’ per dialogare tra loro, così come accadeva molti secoli
fa nel Mediterraneo.” Quindi
l’italiano, prosegue Mattarella, “da lingua tipica di un territorio limitato
(…) si propone in questo senso come lingua di una cultura a vocazione
universale.” Oso dire che l’idea di questa lingua un po’ alla Orwell, nuova
e globale, mi lascia perplesso.
E gli anglicismi, la
continua erosione che l’italiano subisce ad opera di una lingua inglese così
potente ma mal capita e mal integrata al nostro lessico e dissonante rispetto
all’eufonia del dolce “sì”, cosa ci dice in merito a questo importante tema il
garante della nostra sovranità? Il nostro presidente non si pronuncia
chiaramente, ma sembra fornire il suo prestigioso consenso al “bottom-up”.
Mattarella cita appunto Bassetti: “In un convegno di qualche anno fa
dedicato al rapporto tra glocalismo e lingua italiana, Piero Bassetti ricordava
che si possono costruire sistemi di conoscenza ‘bottom-up’ altrettanto ricchi
di quelli costruiti ‘top-down’. Bassetti mi consentirà, in conformità
all'invito rivoltomi dalla Crusca, di sostituire alle espressioni inglesi, da
lui utilizzate, quelle italiane di ‘dal basso verso l'alto’ e ‘dall'alto verso
il basso’. E' un modo per sottolineare le influenze che una lingua viva esprime
quotidianamente con gli stili di vita di cui è espressione e che ricava, per
converso, dal rapporto con i dialetti e con le 139 lingue estere che - si è
calcolato - sono parlate dalle diverse comunità straniere presenti in Italia e
che rappresentano una eccezionale opportunità di comunicazione con le collettività
di origine.”
Date queste premesse, c’è
ormai da spettarsi che la nostra lingua, oggi arricchita solo dagli apporti
dell’inglese, un inglese non pratico ma snobistico che col suo killer ha
eliminato i nostri “sicario, assassino, omicida, uccisore”, elimini ben presto
anche i nostri “Sia fatta la volontà di Dio!” e “Pace e bene!” sostituendoli con un multiculturale,
inclusivo “Inshallah!”
La politicizzazione del tema degli anglicismi crea degli
schieramenti che in realtà non esistono. Se la parola “sciuscià” è venuta
certamente dal basso, ossia dai nostri stessi “sciuscià” dell’Italia liberata,
quasi tutte le altre, compreso quel “fiscal drag” che Berlusconi introdusse
qualche anno fa, ci provengono invece dall’alto. Io ritengo che, prescindendo
dalle simpatie politiche che ognuno di noi può avere, ci si debba dichiarare
contrari, come italiani, a questo nuovo latinorum grazie al quale gli
imbrattatori di muri e i graffitisti sono divenuti, nel Belpaese, “writer”
ossia scrittori, e il fattorino in bicicletta è il solo e unico “rider” delle
nostre pur congestionate strade.
Secondo
l’interpretazione politica “antisovranista”,
gli anglicismi (o anglismi) sarebbero fatti bersaglio di ostracismi e
censure, dall’alto, da parte dei sovranisti. Ma noi abbiamo appena visto che lo
stesso presidente della Repubblica ha difeso, dall’alto, gli anglicismi. Cosa
dire di questa originale interpretazione antisovranista che accomuna chi prova
rispetto per la nostra lingua materna con Salvini e persino con Trump - e
perché no con Bolsonaro? Gli italiani sono portati a fare politica su tutto e amano appiccicare
un’etichetta politica disonorevole sui loro avversari. Noi invece sappiamo che
non vi è una contrapposizione ideologica intorno a questo servilismo linguistico,
tipico del popolo del "Franza e Spagna purché se magna". Sarebbe un
errore credere che siano di sinistra quelli che sono favorevoli
all’“italianese”, ossia coloro che usano con voluttà le parole di nuovo conio
di stampo angloamericano, mentre siano di destra coloro che difendono la lingua
madre dagli inquinamenti stranieri. È vero che vi è tendenza a tacciare di
populismo, di nazionalismo, di spirito autarchico e reazionario e di pericolose
nostalgie del “bagnasciuga” e del “voi” chi
mira a proteggere la lingua nazionale. Mentre si cerca, invece, di far passare
per spirito democratico di apertura al diverso, per progressismo e per saggia
adattabilità e disponibilità, le motivazioni di coloro che farciscono il loro
discorso di termini americani mal pronunciati e usati spesso a sproposito. La
tentazione insomma è forte di fare il solito discorso "calcistico",
consacrante il "manicheismo" all'italiana da stadio, che vede due squadre contrapposte di ricchi
uomini in mutande che si contendono con i piedi una grossa palla, e dove un gol
fatto dagli uni corrisponde a un gol subito dagli altri. Secondo tale logica i
sovranisti dovrebbero lanciare strali
alla sinistra che per la sua mancanza di spirito nazionale si rifugia vogliosa
nelle nerborute, tatuate braccia dell’“italianese”. E si dovrebbe lodare oppure
condannare la destra che sarebbe invece in armi contro l’imbastardimento della
lingua nazionale. L’idea che una tale contrapposizione esista è errata. Colui
che impone dall’alto o ripete dal basso locuzioni e termini come “Jobs Act”,
“Election day”, "Family day", “Welfare”, “Social card”, “Question
time”, “Stalking”, “Pressing”, “Gossip”, “In tilt”, “Killer”, “Borderline”,
“Flop” e altre amenità del genere, merita una scarica di pernacchie prescindendo
dal suo colore politico. Ma è l’intera nomenklatura intellettuale, politica,
giornalistica, artistica della penisola a comportarsi da “sciuscià” di fronte
ai nostri ex liberatori.
In realtà, governo, opposizione, élites e masse
sono per una volta solidali e omogenei senza distinzioni di colore politico, in
un Paese attraversante ormai da tempo una fase sgradevolmente cacofonica,
dispensatrice di bassi godimenti attraverso pratiche quotidiane di penetrazione
linguistica. E come lo “stalking” del “killer” non fa distinzioni politiche
quanto alle sue vittime, anche il vecchio “assassino” e “omicida” del codice
Rocco ha tirato ormai le cuoia, essendosi tramutato a guisa di zombie in un
moderno “killer”, e ciò tanto per i giornalisti di destra che di sinistra.
Cerchiamo di terminare, nonostante tutto, su una nota positiva: finalmente unità e
concordia tra gli italiani. Il “tilt” e il “flop” in materia linguistica (gli
italiani hanno mollato il “fiasco” per abbracciare il “flop”), in un’Italia da
sempre divisa su tutto, rendono finalmente “bipartisan” i suoi abitanti nel
loro gusto per le magiche parole americane. Peccato solo che questo patetico
"abracadabra", fatto di sbracamenti linguistici, invece di aprire
chiuda a doppia mandata la caverna già così povera dei tesori della dignità
nazionale. Impoverendo oltretutto anche il vocabolario di una lingua molto
musicale ma che non è poi così ricca – duole dirlo – come l’inglese, il tedesco, e lo stesso
francese. E che rischia di esserlo sempre di meno...
4 commenti:
Ah! Ecco perché mi schiavano le orecchie!
Basta con questi inglesismi!
Perché usare l'albionico fake news quando in italiano abbiamo un bellissimo, italianissimo ed economicissimo "supercazzola prematurata con scappellamento a destra"? Perchè, chiedo, perché?
Ah! Ecco perché mi fischiavano le orecchie!
Basta con questi inglesismi!
Perché usare l'albionico fake news quando in italiano abbiamo un bellissimo, italianissimo ed economicissimo "supercazzola prematurata con scappellamento a destra"? Perchè, chiedo, perché?
Mi permetto di fare un po’ le pulci al lungo post del dott. Antonelli. In primo luogo rilevo qualche piccola svista:
• “… ma ai cambiamenti consapevoli (i quali provengono dall’alto, ossia from below)”. No! from below significa “da sotto”.
• “… nozione che almeno all’inizio dell’allocuzione sempre far riferimento alle sfaccettature dell’italiano …” presumo sia “sembra”.
• “Date queste premesse, c’è ormai da spettarsi …”; o “aspettarsi”?
• “Coronavirus, sito Inps andò in tilt per un attacco kacker”: presumo sia hacker.
Aggiungo poi che “jobs act” è sbagliato: i termini usati in senso collettivo, in inglese, non sono mai plurali.
Accuso il colpo: riconosco i miei errori. Dopo aver scritto d'impeto con il computer, ne trovo ogni volta diversi nel testo e mi affretto a correggerli. Non prendo certamente sottogamba i miei scritti, mai sottovalutando chi li leggerà... E li leggo e rileggo molte volte per eliminare gli errori, refusi o altro. I quali non sono certo frutto di ignoranza... Non perché io sappia tutto, ma perché se non so m'informo, mi documento, approfondisco. Dico questo in relazione soprattutto ai due errori d'inglese, lingua che conosco abbastanza bene perché l'ho dovuta usare spesso al lavoro, all'università dove ho lavorato come bibliotecario. La faciloneria - eminente difetto italiano - è un difetto che aborro e che fortunatamente non ho.
Questo mio articolo, al quale ho dato l'anima, è venuto fuori lunghissimo... Questo spiega la mia stanchezza alla fine.
"Contra factum non valet argumentum". Gli errorini ci sono e non si possono retroattivamente cancellare.
Vedo comunque che c'è chi ha letto con minuziosa attenzione, e spero con interesse, il mio scritto, e cio' dovrebbe lusingarmi...
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