mercoledì 1 luglio 2020

I sovranisti, gli anglicismi e la lingua italiana

Dal dr Claudio Antonelli riceviamo e pubblichiamo

Le questioni centrali trattate in questo mio scritto sono due:
1. Gli anglicismi sempre più frequenti nella lingua italiana ci vengono dall’alto o dal basso? Anticipo qui la mia risposta: essi ci vengono dall’alto, godendo inoltre, come vedremo,  del prestigioso avallo del Presidente della Repubblica.
2. I “sovranisti” (sovranisti che sono fautori della sovranità nazionale ma non di quella del popolo) si dichiarano contrari agli anglicismi giudicando che questi provengono dal popolo? No, sono contrari agli anglicismi in nome della chiarezza del linguaggio, dell’eufonia, e anche della dignità nazionale. Vi sono contrari soprattutto perché gli anglicismi, talvolta un usa e getta snobistico, sono spesso usati erroneamente oppure eliminano in certi casi una ricca nomenclatura italiana già esistente. Gli anglicismi impoveriscono la lingua poiché distruggono i termini l’italiani.
Come vedremo c’è invece chi accusa i “sovranisti” di inveire dall’alto dell’Olimpo contro il popolo italiano che rumoreggia dal basso perché voglioso di “flop” invece che di “fiaschi”, e di “jackpot” invece che di “montepremi”, in campo linguistico. Ripeto: secondo me, la stragrande maggioranza degli anglicismi ci giunge dall’alto. Fatto unico nel consesso delle nazioni: i nostri governanti ci tengono ad inserire nei testi ufficiali la paroletta inglese, simbolo per loro di scientificità, modernità, pragmatismo, globalismo, apertura al Diverso. Anche TV e stampa italiana diffondono dall’alto a più non posso gli inglesismi. Il risultato è che poi il popolo se ne pasce beato.
Ma è la classe politica italiana nel suo insieme ad essere favorevole all’uso degli anglicismi? O invece è possibile fare una distinzione tra  “Destra” e “Sinistra” circa il favore accordato agli anglicismi? Vi anticipo subito la mia risposta: no, i nostri politici, su tutto divisi, sono invece “bipartisan” – è proprio il caso di dire – nel loro atteggiamento di generosa apertura nei confronti delle magiche parole americane. Basta consultare i giornali di sinistra e quelli di destra per vedere che linguisticamente le due squadre amano le ammucchiate all’insegna dello “sfruconamento” linguistico delle terga americane. 
E qual è l’atteggiamento del presidente Mattarella, istituzionalmente “super partes”? Se prestiamo fede ad un suo discorso, molto particolare,  il presidente della Repubblica è favorevole all’ibridismo della lingua italiana. Egli si dichiara favorevole a una lingua viva, aperta, innovativa,  non nostalgica del passato; una lingua che accolga con generosità gli apporti non solo dell’inglese ma delle numerose lingue parlate nella penisola dagli immigrati. Mattarella auspica l’avvento nella penisola di una nuova lingua globale, aperta alle influenze multiculturali; lingua – aggiungo io – che inevitabilmente rinnegherà i nostri classici.
Un fatto innegabile è che i dizionari della lingua italiana non agiscono da cani da guardia nei confronti della lingua viva italiana con l’intento di difendere una sua primigenia “purezza” (mai esistita). La Crusca, la Treccani, i dizionari enciclopedici, i linguisti ci spiegano che il dizionario italiano d’uso ha una finalità descrittiva, ossia non determina cosa si può dire o non si può dire, ma registra l’uso orale e scritto della lingua in un dato periodo. Può però avvenire che i guardiani dell’ortodossia della lingua, i puristi per intenderci – leggiamo sul sito Treccani – credendo che i  dizionari abbiano il compito di fungere da  “arbitri che mantengono alti gli standard linguistici”, insorgano contro l’inclusione nel dizionario di termini “non accettabili” che abbasserebbero gli standard linguistici della lingua nazionale. Ancora Treccani: “Questo atteggiamento porta alcuni parlanti a deplorare ogni accoglimento di forestierismi e neologismi informali, visti come un abbassamento degli standard qualitativi di un dizionario o, in alternativa, a considerare la loro presenza come un segno dell’imbarbarimento della lingua.” Ma giova subito precisare che, proteste o non proteste, i dizionari italiani accolgono tranquillamente i vari anglicismi d’uso corrente.
Vi è però il caso, come vedremo in seguito, di chi esprime invece il sospetto che le autorità linguistiche tipo Crusca e Treccani insieme con gli autori di altri dizionari trascurino gli anglicismi perché questi provengono dal basso, ossia dal popolo, giudicando che questi termini attentino alla “sovranità” della Nazione italiana. A tal proposito, rivolgo l’invito a chi intenda addentrarsi in questo mio scritto di leggere l’interessante post di Luca Passani, sostenitore di questa tesi, apparso in questo blog sotto il titolo I vocabolari che lavoro fanno?Non vorrei, infatti, aver travisato le sue idee, espresse comunque  più diffusamente in un altro articolo cui anche accennerò.
Il tutto – per me –   è cominciato, appunto, con il post del dr Luca Passani. Questi, avendo constatato che il dizionario online Treccani, alla voce “avido”,  non registrava l’accezione di “appassionato” limitandosi a darcene il significato di “smodato desiderio d’una cosa (in genere, di beni e piaceri materiali), ingordo”,  si è domandato: “È possibile che tale accezione di avido venga avvertita come inglesismo e che, quindi (in osservanza del vento sovranista che tira in Italia negli ultimi tempi nei confronti di tutto ciò che è di origine inglese) la Treccani cincischi ad inserirlo sul suo vocabolario?”
Non entrando nel merito del presunto vento sovranista contrario agli anglicismi,  il linguista Salvatore Claudio Sgroi ha chiarito da par suo, in due post successivi, i tanti dubbi espressi da Luca Passani, e ha dimostrato, attraverso una documentata ricerca, la correttezza formativa del sintagma “avido lettore” e “lettore avido”; espressioni che non sono di certo anglicismi. Il professor Sgroi ha inoltre brevemente trattato l’approccio descrittivista (from below) e l’approccio prescrittivista (from above) relativamente ai cambiamenti che avvengono nella lingua.
Ma allora perché questo mio intervento, visto che l’approfondita ricerca del professor  Sgroi ha in fondo esaurito il tema proposto da Luca Passani? A causa di quel “vento sovranista”, espressione usata da quest’ultimo e che mi ha permesso di risalire a un precedente articolo,  sempre di Passani, sul tema delle innovazioni linguistiche provenienti dal popolo - gli anglicismi - e della presunta opposizione politico-linguistica messa in atto dai sovranisti.
A mio giudizio ciò che rende  il fenomeno dell'invasione dell'inglese tristemente unico in Italia rispetto agli altri paesi, è il fatto che sia lo stesso governo, nella penisola, a sguazzare negli anglicismi. Vedi "Ministro del welfare", "Social card", "Social act", "Jobs act", "Migration compact",  "Spending review", “Election day, "Question time", "Stalking", "Family Act", "Stepchild adoption" e via continuando.
"What a fiasco!" direbbero gli inglesi, e "Quel fiasco" commenterebbero i francesi. Ma rischierebbero di non essere capiti dagli italiani, politici e giornalisti in testa, che hanno ormai sostituito il "fiasco", per loro troppo provinciale, con il "flop" senz'altro molto più degno di loro.
Io, con molta modestia – a rischio di ripetere ciò che è stato detto in maniera ammirevolmente dotta (e non lo dico di certo con ironia) dal professor Sgroi – mi sento subito di dire al dr Luca Passani che il vento sovranista c’entra assai poco con il fatto che il vocabolario Treccani abbia omesso di fornirci la connotazione, diciamo così, “positiva” di “avido”; termine che non è certamente un calco dell’inglese (anche quando “avido” sembra essere la traduzione di “avid”). L’assenza di “avido”, nel senso di appassionato, nel dizionario Treccani era una riprovevole trascuratezza, una lacuna, un’omissione (cui subito la Treccani ha rimediato).
Quelli della Treccani, nella risposta da loro data a Luca Passani, invece di ammettere questa loro omissione, hanno cincischiato, ciurlato nel manico, dimostrandosi invero assai poco “avidi di verità”. Hanno avallato così  il forte sospetto  dei sostenitori delle parole dal basso (anzi “bottom-up”), che l’omissione fosse dovuta alla pericolosa somiglianza che “avido” ha con l’“avid” inglese, anzi con la connotazione inglese del termine “avido” italiano; connotazione che, secondo Passani, proviene nobilmente dal basso insieme con tutti gli altri anglicismi.
Un articolo su questo stesso tema, sempre di Luca Passani, era stato pubblicato in precedenza sulla Voce di New York (27-06-2019): La nostra lingua, la Crusca e lo Zeitgeist sovranista/  Parliamo di lingua italiana, linguisti e di come anche l’Accademia della Crusca sembri allinearsi con lo spirito sovranista dei nostri tempi.” In questo testo vi è un attacco in regola contro gli ipernazionalisti reazionari che difenderebbero la purezza della propria lingua rifiutandosi di arricchirla con termini provenienti dall’estero. In realtà, preciso io, si può essere contro i prestiti di lusso che causano un impoverimento della propria lingua, ma non contro i prestiti di necessità che colmano certi nostri vuoti linguistici, vedi il termine medico stent. A questo proposito, io sarei addirittura disposto a proporre l’introduzione nel vocabolario italiano di grandchild, visto che il nostro nipote non distingue tra nipote di zio e nipote di nonno (nipote abiatico). Si potrebbe però tentare di trovare, prima, un neologismo latino. Inoltre ci sono altri termini inglesi che, opportunamente italianizzati, arricchirebbero l’espressività della nostra lingua, non poi così ricca come noi amiamo credere. Ma nella maniera in cui lo scimmiottamento della lingua inglese oggi avviene, il risultato per la nostra lingua è un triste impoverimento.
Ma pochi sono pronti a riconoscere il grave problema di questa perdita di pezzi del nostro veicolo - la lingua nazionale - sorta di “ex Ferrari”  alla quale lungo la pista, ai “punti di rifornimento e di assistenza” (purtroppo: ai “pit stop”), gli addetti sgonfiano le gomme e immettono acqua nel motore. E se non si riconosce prima il problema non si potrà certamente sperare che si propongano delle soluzioni per cercare se non altro di contenerlo.  Proviamo a leggere uno scritto di Giovanni Papini, e ci renderemo subito conto dei tanti termini italiani che il nostro vocabolario abituale ha irrimediabilmente perduto.
Sono d'accordo: la lingua è un organismo vivo che tende a perdere le parole troppo vecchie e ne aggiunge di nuove. E queste possono anche provenire da una lingua straniera. In realtà l’italiano, almeno sulla carta ossia nel dizionario, non perde nulla perché tutto rimane. Semplicemente il nuovo si aggiunge al vecchio. Basta aprire a caso un dizionario d’italiano per rendersi conto che forse la metà delle parole iscritte ci sono ormai sconosciute, perché nessuno più le usa. Ma esse continuano ad esistere. E così killer non ha inferto un colpo mortale ad “assassino”, “omicida”, “sicario”, “uccisore”, ma si è unito a questa banda di criminali assumendo le funzioni di “boss” indisputato.
L’opporsi a questa nuova lingua globale di tipo orwelliano è una questione, secondo me,  anche di dignità nazionale. Ma devo stare attento a toccare questo tasto per non rischiare oltre all’accusa di sovranismo, anche quella di apologia di…
Una vita all’estero fa vedere a taluni di noi, ma non a tutti,  le cose in maniera speciale, in particolare quando s’insegna l’italiano a stranieri, innamorati sia del senso del bello ancora così presente nella cultura italiana, sia della musicalità della nostra lingua che lo spettacolo lirico continua ad esaltare attraverso il mondo. La lingua capta ed esprime l’anima del paese e dei suoi abitanti. La presenza di una caterva di parole come “killer”, “badge”, “jackpot”, “tilt”, “pressing” negli scritti italiani odierni, inclusi gli articoli di firme prestigiose nei migliori quotidiani nazionali, pone l’insegnante d’italiano di fronte ad una situazione imbarazzante: a questi suoi allievi che vogliono imparare l’italiano anche perché attratti dall’idea, forse un po’ mitica ma così lusinghiera per noi,  di una  “estetica” italiana ricca di forme e di suoni armoniosi, dovrà spiegare il perché di questo stridente, cacofonico e ridicolo fenomeno di scimmiottamento nei confronti della lingua degli americani.
Ma Luca Passani vede nella difesa dell’italiano l’agire di sovranisti posseduti da bassi istinti  politici: Negli ultimi anni si è andato affermando uno zeitgeist sovranista, che antepone le identità nazionali e gli interessi dei popoli (veri o presunti che siano) ad ogni tipo di globalismo e di influsso straniero, ricco o povero che sia. Il trumpiano “America first” e il salviniano “Prima gli italiani” sono figli dello zeitgeist. Se lo spirito del nostro tempo è questo, risulta facile vedere nelle scelte attuali l’applicazione sul piano linguistico di quello che il governo populista attua sul piano politico: rifiuto delle novità provenienti dall’esterno e, per sicurezza, rifiuto delle novità tout court, sostenuto, se serve, da un certo stile autoritario.” (La Voce di New York, 27-06-2019)
Fatto rimarchevole che indica l’utilità di certi interventi: il dizionario Treccani online, proprio dopo l’intervento di Passani, ha colmato la lacuna da questo denunciata, arricchendo, e di molto, la voce “Avido”, che oggi si legge così : àvido agg. [dal lat. avĭdus, der. di avere ‘bramare’]. – Che ha smodato desiderio d’una cosa (in genere, di beni e piaceri materiali), ingordo: a. di cibo, di guadagno, di ricchezze, di piaceri; a. di preda, di rapina, di conquista, di sangue, di vendetta; anche in senso positivo: a. di gloria, di sapere, di conoscere. Per estens., che dimostra o è mosso da avidità: ascoltare con a. curiosità; guardare con occhi a.; Vèr lo balcone al buio protendea L’orecchio a. (Leopardi); a. lettore, appassionato, insaziabile.  Avv. avidaménte, con avidità, con desiderio impaziente: mangiare, bere, succhiare avidamente; guardare, scrutare, ascoltare avidamente.”
Ma torniamo alla teoria populista-antisovranista. Scrive Luca Passani nel post già citato, apparso in questo blog: “I temi linguistici mi hanno sempre appassionato, in particolare da quando mi sono reso conto di come esistano due modi antitetici di intendere lo studio di una lingua: bottom-up e top-down.” Ho fatto delle ricerche e ho trovato, sì , in campo linguistico questa formula inglese (espressa però così: “from above/from below”), in riferimento tuttavia non all’inclusione o all’esclusione dei nuovi termini nei dizionari, ma ai cambiamenti consapevoli (i quali provengono dall’alto, ossia from below). Un esempio di questi anglicismi, che Luca  Passani attribuisce al popolo e che in realtà provengono dall’alto, è anche il recente “Family act ”, anglicismo imposto al popolo italiano dai parlamentari italiani attraverso la Gazzetta Ufficiale. Il quale “Family Act” si installa comodamente in parlamento accanto a lockdown, election day, stalking, stepchild adoption, migration compact, social card, spending review, question time, welfare, smart working, jobs act,  cluster e via enumerando in inglese; termini tutti che rivelerebbero la grande modernità della nostra classe politica così aperta al diverso e al vocabolario di quest’ultimo.
I linguisti ci spiegano che dal basso, “from below ”, ci vengono invece i termini “inconsapevoli”, quasi spontanei, che io mi azzarderei a chiamare “populisti” perché collegati al glocalismo e al popolo. Tra questi ultimi vi sono certi termini dialettali, che i dizionari registrano perché ormai assai diffusi anche al di fuori del territorio originario iniziale.
Ecco cosa ci dice Wikipedia: “In linguistics, change from above refers to conscious change to a language. Change from above usually enters the speech of educated people, not the vernacular dialects. This change usually begins with speakers in higher social classes and diffuses down into the lower classes. Upper classes use these new linguistic forms to differentiate themselves from the lower classes, while lower classes use these forms to sound more educated and similar to the upper class. However, the concepts of change from above and below refer to consciousness and not social class.”
A mo’ di conclusione, dirò che i “sovranisti” hanno un gran rispetto del popolo e della sua maniera di parlare “come mamma l’ha fatto”; ma la propria mamma, non la mamma a stelle e strisce… Forse giova riportare a questo punto un giudizio di De Mauro (certamente non un “sovranista ”, anzi un rispettato “progressista ”, “laico di ispirazione marxista'' come lui stesso si definì) sugli anglicismi:
L’intervistatore: Se negli anni Cinquanta la televisione ha insegnato l'italiano agli italiani, oggi sembra voler insegnare loro l'inglese. Quali effetti provoca nella lingua comune l'atteggiamento anglofilo dei grandi mezzi di comunicazione?”
De Mauro: Magari insegnasse l'inglese davvero. Insegna, in titoli di trasmissioni e di sue articolazioni, l'esibizione sciocca e inutile di qualche anglismo, come educational per educativo. Del resto, anche come ministro, ho protestato in Parlamento contro queste ridicolaggini, il question time, per le interrogazioni urgenti, o il Welfare del ministro Maroni. Ha da passà a nuttata.”
Pienamente d’accordo. Gli anglicismi  costituiscono un nuovo latinorum, malamente masticato, che governo, mass media e caste varie diffondono tra il popolo che se ne appropria beato, convinto di innalzarsi nella scala sociale. Gli esempi anche recenti confermanti questa mia tesi abbondano. TV e giornali in questi giorni continuano a contaminarci, con l’aiuto del coronavirus, di termini inglesi. Termini, ci tengo a precisare, qualche volta necessari ma più spesso inutili e direi dannosi: Sempre più regioni in Italia sono covid free”, Sette statali su dieci in smart working”, “Flash mob pro spettacolo in piazza Duomo a Milano”, “Mentre si discute di Eurobond, dal Cilento arriva la risposta alla crisi del turismo: gli Holiday Bond”, “Pesano anche i ‘cluster’ di Mondragone e Bologna”, “Oggi i casi sono più lievi. La minaccia sono i cluster”, “Statali, due su tre in smart working”, “Coronavirus, sito Inps andò in tilt per un attacco kacker”, “Coronavirus, in Italia dieci nuovi focolai: non si esclude un secondo lockdown.” , “Coronavirus, il flop delle strutture per la quarantena dei positive.”
Vedere anche il post, ricco di esempi in tal senso, di Pier Paolo Falcone: Tra le vittime del/della Covid anche il nostro idioma.
Non posso non accennare all’intervento del presidente della Repubblica italiana che dall’alto incoraggia gli italiani ad accogliere i neologismi che ci provengono dal multiculturalismo. Questa è un’ulteriore prova, secondo me, che il potere ama i forestierismi. Ebbene il presidente della Repubblica italiana, evidentemente anche lui antisovranista, ma sostenitore del generoso progetto del dr Piero Bassetti (Bassetti è il fondatore del Globus et Locus, che esalta l’italicità di 200/250 milioni di gente di origine o di simpatie italiane distribuite attraverso il mondo) lascia intuire che gli anglicismi sono un apporto di cui gli italiani possono inorgoglirsi; perché è il nostro popolo, ormai multiculturale, ad introdurli nella nostra lingua dal basso verso l’alto ossia bottom-up”. Non c’è che dire: le opinioni, le idee, i suggerimenti del presidente della Repubblica italiana in tema di lingua provengono dall’alto, anzi “from above”. Più in alto di così non si può…
Ecco le idee di Sergio Mattarella sull’evoluzione della lingua italiana da lui espresse agli Stati Generali della Lingua Italiana nel mondo (Firenze, 18 ottobre 2016). Da notare che il nostro presidente parla di civiltà italiana, di cui la lingua, beninteso, è parte preziosa. “La civiltà italica, nelle sue sfaccettature, antiche, moderne e contemporanee” deve tenersi lontana “dall'arroccamento identitario” e tenersi invece “protesa, piuttosto, ad offrire alle altre culture, il portato dell'esperienza, della bellezza, cumulata in millenni.” Il concetto di apertura espresso dal nostro presidente non può che essere condiviso anche da noi, sovranisti per acclamazione. “L’italianità parla di umanesimo” e “la cultura è in continuo divenire, non possiamo pensare di fermarne la proiezione su un fotogramma fisso.” L’idea di una cultura e di una lingua fissate una volta per sempre è un’idea da respingere, cui infatti il nostro presidente si oppone apertamente con il tacito plauso dell’intera Italia, me compreso.
Ma il passato così caro ai nostalgici delle glorie d’Italia? Il presidente è fermo: “Valorizzare un passato già noto non può esaurirsi in percezioni di nostalgia: ci tocca il compito di riprogettare continuamente l'immagine e l'offerta culturale del nostro Paese.” Ma come riprogettare l’immagine e l’offerta culturale del nostro Paese? Non certo adattando i nostri spaghetti al dente alla diversità delle cucine e dei gusti ormai presenti nello Stivalone e quindi cucinandoli un po’ scotti, oso ironizzare io. Ma adattando la nostra lingua – ci dice invece il nostro presidente – alle esigenze del mondialismo che sperimentiamo ormai anche a casa nostra.
L’idea base del presidente Mattarella è la “pluralità di linguaggi”, nozione che almeno all’inizio dell’allocuzione sempre far riferimento alle sfaccettature dell’italiano, lingua che riguarda “L'arte, la musica, il design, la moda, il cinema, lo sport, l'industria, la cucina ”, ma che in seguito è proposta dal nostro presidente nella sua versione di “koinè”, lingua franca, “pidgin”, capibile un po’ da tutti anche da coloro che non hanno mai studiato l’italiano. Incredibile ma vero: il presidente della Repubblica attraverso questo discorso basato sulla nozione del bottom-up propone di adattare la lingua italiana alla “diaspora di altri popoli, in ingresso nella cultura italiana e per i quali, spesso, l'italiano è la lingua tramite per eccellenza, una sorta di ‘lingua franca’ per dialogare tra loro, così come accadeva molti secoli fa nel Mediterraneo.”  Quindi l’italiano, prosegue Mattarella, “da lingua tipica di un territorio limitato (…) si propone in questo senso come lingua di una cultura a vocazione universale.” Oso dire che l’idea di questa lingua un po’ alla Orwell, nuova e globale, mi lascia perplesso.
E gli anglicismi, la continua erosione che l’italiano subisce ad opera di una lingua inglese così potente ma mal capita e mal integrata al nostro lessico e dissonante rispetto all’eufonia del dolce “sì”, cosa ci dice in merito a questo importante tema il garante della nostra sovranità? Il nostro presidente non si pronuncia chiaramente, ma sembra fornire il suo prestigioso consenso al “bottom-up”. Mattarella cita appunto Bassetti: “In un convegno di qualche anno fa dedicato al rapporto tra glocalismo e lingua italiana, Piero Bassetti ricordava che si possono costruire sistemi di conoscenza ‘bottom-up’ altrettanto ricchi di quelli costruiti ‘top-down’. Bassetti mi consentirà, in conformità all'invito rivoltomi dalla Crusca, di sostituire alle espressioni inglesi, da lui utilizzate, quelle italiane di ‘dal basso verso l'alto’ e ‘dall'alto verso il basso’. E' un modo per sottolineare le influenze che una lingua viva esprime quotidianamente con gli stili di vita di cui è espressione e che ricava, per converso, dal rapporto con i dialetti e con le 139 lingue estere che - si è calcolato - sono parlate dalle diverse comunità straniere presenti in Italia e che rappresentano una eccezionale opportunità di comunicazione con le collettività di origine.”
Date queste premesse, c’è ormai da spettarsi che la nostra lingua, oggi arricchita solo dagli apporti dell’inglese, un inglese non pratico ma snobistico che col suo killer ha eliminato i nostri “sicario, assassino, omicida, uccisore”, elimini ben presto anche i nostri “Sia fatta la volontà di Dio!” e  “Pace e bene!”  sostituendoli con un multiculturale, inclusivo “Inshallah!”
La politicizzazione  del tema degli anglicismi crea degli schieramenti che in realtà non esistono. Se la parola “sciuscià” è venuta certamente dal basso, ossia dai nostri stessi “sciuscià” dell’Italia liberata, quasi tutte le altre, compreso quel “fiscal drag” che Berlusconi introdusse qualche anno fa, ci provengono invece dall’alto. Io ritengo che, prescindendo dalle simpatie politiche che ognuno di noi può avere, ci si debba dichiarare contrari, come italiani, a questo nuovo latinorum grazie al quale gli imbrattatori di muri e i graffitisti sono divenuti, nel Belpaese, “writer” ossia scrittori, e il fattorino in bicicletta è il solo e unico “rider” delle nostre pur congestionate strade.
Secondo l’interpretazione politica “antisovranista”,  gli anglicismi (o anglismi) sarebbero fatti bersaglio di ostracismi e censure, dall’alto, da parte dei sovranisti. Ma noi abbiamo appena visto che lo stesso presidente della Repubblica ha difeso, dall’alto, gli anglicismi. Cosa dire di questa originale interpretazione antisovranista che accomuna chi prova rispetto per la nostra lingua materna con Salvini e persino con Trump - e perché no con Bolsonaro? Gli italiani sono portati a fare politica su tutto e amano appiccicare un’etichetta politica disonorevole sui loro avversari. Noi invece sappiamo che non vi è una contrapposizione ideologica intorno a questo servilismo linguistico, tipico del popolo del "Franza e Spagna purché se magna". Sarebbe un errore credere che siano di sinistra quelli che sono favorevoli all’“italianese”, ossia coloro che usano con voluttà le parole di nuovo conio di stampo angloamericano, mentre siano di destra coloro che difendono la lingua madre dagli inquinamenti stranieri. È vero che vi è tendenza a tacciare di populismo, di nazionalismo, di spirito autarchico e reazionario e di pericolose nostalgie del “bagnasciuga”  e del “voi” chi mira a proteggere la lingua nazionale. Mentre si cerca, invece, di far passare per spirito democratico di apertura al diverso, per progressismo e per saggia adattabilità e disponibilità, le motivazioni di coloro che farciscono il loro discorso di termini americani mal pronunciati e usati spesso a sproposito. La tentazione insomma è forte di fare il solito discorso "calcistico", consacrante il "manicheismo" all'italiana da stadio,  che vede due squadre contrapposte di ricchi uomini in mutande che si contendono con i piedi una grossa palla, e dove un gol fatto dagli uni corrisponde a un gol subito dagli altri. Secondo tale logica i sovranisti dovrebbero lanciare  strali alla sinistra che per la sua mancanza di spirito nazionale si rifugia vogliosa nelle nerborute, tatuate braccia dell’“italianese”. E si dovrebbe lodare oppure condannare la destra che sarebbe invece in armi contro l’imbastardimento della lingua nazionale. L’idea che una tale contrapposizione esista è errata. Colui che impone dall’alto o ripete dal basso locuzioni e termini come “Jobs Act”, “Election day”, "Family day", “Welfare”, “Social card”, “Question time”, “Stalking”, “Pressing”, “Gossip”, “In tilt”, “Killer”, “Borderline”, “Flop” e altre amenità del genere, merita una scarica di pernacchie prescindendo dal suo colore politico. Ma è l’intera nomenklatura intellettuale, politica, giornalistica, artistica della penisola a comportarsi da “sciuscià” di fronte ai nostri ex liberatori.
In realtà, governo, opposizione, élites e masse sono per una volta solidali e omogenei senza distinzioni di colore politico, in un Paese attraversante ormai da tempo una fase sgradevolmente cacofonica, dispensatrice di bassi godimenti attraverso pratiche quotidiane di penetrazione linguistica. E come lo “stalking” del “killer” non fa distinzioni politiche quanto alle sue vittime, anche il vecchio “assassino” e “omicida” del codice Rocco ha tirato ormai le cuoia, essendosi tramutato a guisa di zombie in un moderno “killer”, e ciò tanto per i giornalisti di destra che di sinistra.
Cerchiamo di terminare, nonostante tutto,  su una nota positiva: finalmente unità e concordia tra gli italiani. Il “tilt” e il “flop” in materia linguistica (gli italiani hanno mollato il “fiasco” per abbracciare il “flop”), in un’Italia da sempre divisa su tutto, rendono finalmente “bipartisan” i suoi abitanti nel loro gusto per le magiche parole americane. Peccato solo che questo patetico "abracadabra", fatto di sbracamenti linguistici, invece di aprire chiuda a doppia mandata la caverna già così povera dei tesori della dignità nazionale. Impoverendo oltretutto anche il vocabolario di una lingua molto musicale ma che non è poi così ricca – duole dirlo –  come l’inglese, il tedesco, e lo stesso francese. E che rischia di esserlo sempre di meno...

4 commenti:

  1. Ah! Ecco perché mi schiavano le orecchie!

    Basta con questi inglesismi!

    Perché usare l'albionico fake news quando in italiano abbiamo un bellissimo, italianissimo ed economicissimo "supercazzola prematurata con scappellamento a destra"? Perchè, chiedo, perché?

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  2. Ah! Ecco perché mi fischiavano le orecchie!

    Basta con questi inglesismi!

    Perché usare l'albionico fake news quando in italiano abbiamo un bellissimo, italianissimo ed economicissimo "supercazzola prematurata con scappellamento a destra"? Perchè, chiedo, perché?

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  3. Mi permetto di fare un po’ le pulci al lungo post del dott. Antonelli. In primo luogo rilevo qualche piccola svista:
    • “… ma ai cambiamenti consapevoli (i quali provengono dall’alto, ossia from below)”. No! from below significa “da sotto”.
    • “… nozione che almeno all’inizio dell’allocuzione sempre far riferimento alle sfaccettature dell’italiano …” presumo sia “sembra”.
    • “Date queste premesse, c’è ormai da spettarsi …”; o “aspettarsi”?
    • “Coronavirus, sito Inps andò in tilt per un attacco kacker”: presumo sia hacker.
    Aggiungo poi che “jobs act” è sbagliato: i termini usati in senso collettivo, in inglese, non sono mai plurali.

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  4. Accuso il colpo: riconosco i miei errori. Dopo aver scritto d'impeto con il computer, ne trovo ogni volta diversi nel testo e mi affretto a correggerli. Non prendo certamente sottogamba i miei scritti, mai sottovalutando chi li leggerà... E li leggo e rileggo molte volte per eliminare gli errori, refusi o altro. I quali non sono certo frutto di ignoranza... Non perché io sappia tutto, ma perché se non so m'informo, mi documento, approfondisco. Dico questo in relazione soprattutto ai due errori d'inglese, lingua che conosco abbastanza bene perché l'ho dovuta usare spesso al lavoro, all'università dove ho lavorato come bibliotecario. La faciloneria - eminente difetto italiano - è un difetto che aborro e che fortunatamente non ho.
    Questo mio articolo, al quale ho dato l'anima, è venuto fuori lunghissimo... Questo spiega la mia stanchezza alla fine.
    "Contra factum non valet argumentum". Gli errorini ci sono e non si possono retroattivamente cancellare.
    Vedo comunque che c'è chi ha letto con minuziosa attenzione, e spero con interesse, il mio scritto, e cio' dovrebbe lusingarmi...

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