lunedì 6 luglio 2020

Il femminile di ispettore? Ispettrice, che domande!

I linguisti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota ci regalano un'altra sorpresa  nel loro libretto "Ciliegie o ciliege?": ispettore è corretto anche riferito a una donna. Si può dire, dunque, tanto l'ispettore Costanza Saltoni quanto l'ispettrice Costanza Saltoni. Perché ispettore, maschile, riferito a una donna quando c'è il regolarissimo femminile ispettrice, femminile attestato in tutti i vocabolari dell'uso consultati? Unica voce fuori del coro il dizionario Sabatini Coletti, dove si legge: « ispettore [i-spet-tó-re] s.m. (anche con riferimento a donna; ma è diffuso il f. -trice)»*. In proposito invitiamo le forze armate e la polizia di Stato a "femminilizzare" i vari gradi. Diremo, quindi, Luisa Luisella, ispettrice di polizia, Ivana Bombardelli, capitana dei carabinieri e Silvana Silvanini, marescialla della Guardia di finanza. 

* Quel diffuso si potrebbe interpretare: diffuso ma non corretto. Il DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, non dà adito a dubbi: ispettrice.

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Essere l’uscio del trenta

Non vorremmo essere tacciati di presunzione se affermiamo che molti (tutti?) lettori, pur non conoscendo questo modo di dire, lo mettono in pratica ogni qual volta la loro casa si riempie di gente e, quindi, diventa un luogo molto frequentato con un impressionante viavai di persone. L’espressione è la contrazione del detto (sconosciuto?) “essere l’uscio del trenta, chi esce e chi entra”, dove, però, quel trenta non ha nulla che vedere: è motivato da ragioni di pura assonanza. E a proposito di uscio, avete mai sentito la locuzione “trovare l’uscio di legno”? Anche se non l’avete mai sentita l’avete messa in pratica, inconsciamente, quando recandovi a far visita a una persona non l’avete trovata: avete trovato solo la porta chiusa, cioè l’uscio di… legno.
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Ricevere la rosa d’oro

La “rosa d’oro” – forse pochi lo sanno – era un dono rituale che veniva tradizionalmente offerto dal Pontefice ─ a partire dall’anno Mille ─  come segno tangibile di apprezzamento e di riconoscenza a sovrani o altissimi dignitari che si erano particolarmente distinti – con atti concreti – nei confronti della Chiesa. Il “riconoscimento papale” consisteva in un cespo di pietre preziose e rose d’oro, e prima di essere consegnato veniva solennemente benedetto, dallo stesso Pontefice, la quarta domenica di Quaresima (chiamata, per questo, “domenica delle rose”, ndr). Per la cronaca ricordiamo che l’ultima rosa d’oro venne offerta alla regina Elena, nel 1937, da Pio XI.
Con il trascorrere del tempo, l’espressione “ricevere la rosa d’oro” ha acquisito il significato - metaforico - di “alto e raro riconoscimento”.


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La lingua "biforcuta" della stampa

Un'esame da 100 e lode
i superbravi del Seneca
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Non si dica che l'apostrofo è un refuso. È uno strafalcione che grida vendetta agli occhi del Divino.

1 commento:

Claudio Antonelli (Montréal) ha detto...

Molti si oppongono all’uso della variante femminile di cariche, professioni e mestieri. La maggioranza tende a servirsi del termine solo al maschile: sindaco, notaio, deputato, ministro, assessore, ferroviere; anche quando la logica, ma non ancora l’abitudine, vorrebbe che si dicesse: sindaca, notaia, deputata, ministra, assessora, ferroviera... Tantissimi femminili sono ormai, invece, consacrati dall’uso: scrittrice, pittrice, infermiera, biologa, ambasciatrice... E nessuno trova da ridire.
Per giustificare questa resistenza all'adozione dei "femminili professionali" alcuni sostengono che i sostantivi in questione sono "neutri" e che quindi sono da usare per entrambi i sessi. E in realtà in certi contesti questi termini sono usati in maniera impersonale, quindi se vogliamo sono "neutri". Ma non in tutti i casi.
Alla base di questa non volontà di adottare le varianti femminili vi è, in realtà, la tirannia del “Suona male!” È vero: il femminile di certe professioni produce un suono ostico. Ma solo all’inizio... poi l’orecchio finisce con l'abituarsi ai nuovi suoni. E cosi' oggi abbiamo "ambasciatrice" (ma anni fa un giornale parlo' imperterrito del "marito dell'ambasciatore americano a Roma" riferendosi all'editore Henry Luce, coniuge di Clara, l'"ambasciatrice"), "elettrice", "senatrice" (alla Merlin va il merito del neologismo). Lo stesso dicasi di "professoressa", "poetessa", "avvocatessa" (ma ad avvocatessa si dovrebbe preferire "avvocata"; dopotutto Maria santissima è "avvocata nostra" e non "avvocatessa nostra"). Il linguista Aldo Gabrielli: "Scrivere ‘maestra’ e ‘infermiera’, quando si tratta di donne, è una questione di chiarezza, risolta ormai da tempo con l’adozione del femminile per queste due professioni. Il trovare invece scritto in un articolo ‘il marito del sindaco’ lascia confusi sul sesso del sindaco.” Qui s'impone una chiosa: prima del matrimonio gay.
Questa resistenza all'evoluzione normale della lingua italiana spiega perché essa sia rimasta, per molti aspetti, quella che era ai tempi del "dolce stil novo". Ed anzi da allora, sotto molti aspetti - se si eccettua il vocabolario tecnico - si è impoverita (fatte salve le varianti di forma di una miriade di parole: "denaro-danaro", "insieme-assieme", "lacrima-lagrima", "fra-tra", etc. con doppioni perfettamente inutili che pero' "suonano bene"). Cosa volete... l'abitante della penisola è ossessionato dal "suona bene", vera palla al piede del nostro idioma.
Vi è poi un fatto paradossale che meriterebbe gli sghignazzi sia di Sgarbi che di Napolitano: le verginelle italiche le cui delicate orecchie venate di azzurro rifiutano l'entrata nel padiglione di questi strani nuovi suoni terminanti in "a", accettano, godendo, che nello stesso pertugio entrino in massa gli sgangherati suoni di un inglese cacofonico mal parlato e mal capito. E l'effetto di questa sconcia apertura al suono diverso - un "diverso" da amare perché "straniero" - è di privare la nostra lingua di termini perfettamente validi, rimpiazzati dal loro "corrispettivo" inglese.
È un fiasco - anzi un "flop" - su tutta la linea. Ma per gli italiani è come vincere l'intero montepremi, anzi l'intero "jackpot".