lunedì 7 gennaio 2019

Sgroi - Linguisti e neo-puristi dinanzi alle "eccezioni"

di Salvatore Claudio Sgroi *

  
1. "Il pericolo è il mio mestiere"

            La conclusione di G. Alvino nel suo commento ("Basare le proprie teorie linguistiche su un numero irrisorio d'esempi è pericolosissimo") a proposito del mio La 'consecutio temporum' e il neopurismo (5 gennaio) mi ha fatto subito pensare al titolo di un avvincente programma televisivo di molti anni fa dal titolo IL PERICOLO È IL MIO MESTIERE come immediata risposta al suo intervento.
Ma soprattutto liquidare un letterato quale E. Rea, un ministro, il Papa (in quanto straniero), il purista G.L. Messina e altri colleghi, come "un'eccezione" riguardo a un particolare uso sintattico ("e io vorrei che tutti la salutiamo adesso") e come indizio di un atteggiamento scientifico "pericolosissimo", mi ha subito richiamato le parole di un autore, G.L. Pierotti, che nel 1964 scriveva:
"Il ‘purista’, ricordiàmocelo, si comporta spesso come quello zoologo il quale, imbattutosi in un animale per lui nuovo, che non rientra nelle sue classificazioni, invece di studiarlo e d’esser felice della scoperta, lo sopprime, o lo nasconde, considerandolo un animale ‘sbagliato’".
Alvino non ha il minimo dubbio di non aver incontrato nelle "migliaia" di autori da lui letti ess. con la "consecutio temporum" qui discussa. Ma mi permetto di sottoporgli altri 3 ess. letterari (per lui "eccezioni" da rottamare?):
(i) E. Vittorini 1948 Il garofano rosso:
"A casa non tornerò mai più. E dove vorresti che vada?" (rist. 1976 p. 191) (cit. in J. Brunet 2003, Grammaire critique de l'italien, vol. 14 Le verbe 2. Les subordonnées complétives), Vincennes, P.U. de Vincennes p. 97), "moins bien" per la Brunet p. 95, con rinvio alla grammatica di Serianni 1989 ("Si .costruisce più spesso" p. 562), da cui "il n'est pas pourtant condamné".
(ii) D. Buzzati 1963 Un amore:
"Non vorrei, cara Laide, che tu abbia scambiato il mio amore per debolezza senza limiti" (rist. 1966, p. 185, cit. in Brunet 2003 ibid.).
(iii) D. Fo 1977, con l'indicativo, giudicato da nativi come "colloquiale":
"Ma non vorrei che dopo lei si offende..." (Le commedie di Dario Fo, p. 93, cit. in Brunet 2003 pp. 95, 98)
Certamente non è detto che Alvino abbia letto questi tre testi. E se li avesse letti?

2. Pervicace neopurista

Alla fine G. Alvino si riconferma ancora una volta "purista" o "neo-purista" (ribadisco per me etichetta non spregiativa ma con Migliorini descrittiva) in quanto ignora candidamente principi elementari della ricerca linguistica teorica e applicata. Mi permetterei di consigliargli di leggere o rileggere con più attenzione i maestri della linguistica otto-novecentesca.
Per es. il polacco Jan Baudouin de Courtenay, che nel 1870 poneva il seguente principio epistemologico:
"È ovvio che a tutti i fatti si riconoscono uguali diritti, e che li si possono considerare più o meno importanti, ma non se ne possono deliberatamente trascurare alcuni, ed è ridicolo lagnarsi dei fatti. Tutto ciò che esiste è razionale, naturale e legittimo: ecco il motto di tutte le scienze".
Nel testo di un autore citatissimo, ma forse ora poco o non più letto, come Ferdinand de Saussure 1916, si puntualizza:
            "la materia della linguistica è costituita anzitutto dalla totalità delle manifestazioni del linguaggio umano, si tratti di popoli selvaggi o di nazioni civili, di epoche arcaiche, o classiche o di decadenza, tenendo conto per ciascun periodo non solo del linguaggio corretto e della ‘buona lingua’, ma delle espressioni d’ogni forma".
In un testo meno noto lo stesso Saussure (1891) osservava: "il ne faut rien dire; tout ce qu’on dit a sa raison d’être".
Ancora il citato J. Baudouin de Courtenay nel 1907 avvertiva:
"any instruction in a language, whether this language be ‘native’ or ‘foreign’, is an offense against the ‘natural development of language’. When we correct ‘mistakes’ and ‘slips of the pen’, we sin against the principle of naturalness. All linguistic purism, all persecution of linguistic ‘alien’, […] are artificial devices restricting the natural course of things".
E un altro ben noto linguista americano, Leonard Bloomfield, nel 1942 sottolineava:
"Remember always that a language is what the speakers do and not what someone thinks they ought to do".
Un linguista quale André Martinet 1963 in Le français sans fard così si esprimeva:
"Je n’entrevois qu’un remède contre l’activité pernicieuse de prétendus défenseurs de la langue: apprendre aux français qu’on peut, en la matière, avoir une autre attitude que celle, strictement normative, qui est la seule qu’on leur ait enseignée. Il faut les convaincre que leur langue est à leur service et qu’ils en tireront le plus d’avantages, non s’ils s’inclinent devant de faux oracles, mais s’ils utilisent hardiment toutes ses ressources".
Non ho certo bisogno di ricordare ad Alvino quanto Giovanni Nencioni scriveva nel 1990:
"L’importante non è che la nostra lingua risponda a regole interne di coerenza logica, ma che esprima e comunichi senza ambiguità e con efficacia il nostro pensiero e il nostro stato d’animo".
E concludo con la dichiarazione più informale sulla creatività della lingua e dei parlanti, quale è quella indicata da un non-linguista, il critico cinematografico Roberto Escobar, nel "Sole 24 Ore" il 13 luglio 1987:
"La lingua è un po’ come una bella donna: finché resta pura non genera nulla. E rischia di diventare una vecchia zitella. Una lingua viva è necessariamente impura, abituata com’è a frequentare trivi e quadrivi, giornali e televisioni, cinema e caserme" (Rapallizzata, brancaleonesca eppur ben viva).

* Docente di linguistica generale presso l'Università di Catania








4 commenti:

Anonimo ha detto...

Salvatore, continui ad attribuirmi concetti (come quello di "sbagliato") che non ho mai espresso. E continui a basare le tue teorie su un numero irrisorio di attestazioni: dovresti sapere che quel che conta è l'uso della stragrande maggioranza dei parlanti/scriventi. Inoltre, gli esempi letterari che tu citi riguardano battute di dialogo, in cui è evidente l'intenzione mimetica del narratore.
Ripeto quanto ho affermato fin dall'inizio (e ti pregherei di attenerti a questo): 1) Serianni, nel suo ULTIMO intervento sulla questione, dichiara che quel costrutto RICHIEDE il cong. imperfetto; 2)non ho mai incontrato quel costrutto nelle mie letture; 3) si tratta, a mio parere, di un costrutto substandard.
Gualberto Alvino

Anonimo ha detto...

Caro Gualberto, capisco che capirsi è sempre difficile...
Noto intanto 1) che ora parli di "costrutto substandard", epperò non capisco perché ora tu prendi (o prenda?) le distanze dalla nozione di "sbagliato", quando a) avevi insistito sul giudizio di uso "erroneo" emerso dalla tua inchiesta in facebook e quando b), citando Serianni 2006 per l'indicazione prescrittiva (in positivo) "richiede" l'imperf., tu dimentichi però che nello stesso testo si asteriscava la frase incriminata per indicarne la "non grammaticalità", cioè l'erroneità (a p. 5 n.1, da me citata, non da te).
2) Che gli ess. letterari siano esempi di dialogo cambia poco con il compito per un linguista di spiegare la grammatica di tali usi. E non giustifica certamente la loro comoda "liquidazione" (neo-purismo), solo perché tu non li hai mai incontrati (o forse notati).
3) Noto anche che hai cambiato opinione non parlando più di "eccezione" bensì di "numero irrisorio" di attestazioni. Ma anche queste sono da esaminare e da spiegare, pena l'atteggiamento ancora da neo-purismo.
Considero, per conto mio, chiuso il confronto su questo punto, senza escludere una futura discussione su altri problemi teorici e descrittivi.
E ti auguro una serena settimana.
Salvatore Claudio Sgroi

Anonimo ha detto...

Caro Gualberto, capisco che capirsi è sempre difficile...
Noto intanto 1) che ora parli di "costrutto substandard", epperò non capisco perché ora tu prendi (o prenda?) le distanze dalla nozione di "sbagliato", quando a) avevi insistito sul giudizio di uso "erroneo" emerso dalla tua inchiesta in facebook e quando b), citando Serianni 2006 per l'indicazione prescrittiva (in positivo) "richiede" l'imperf., tu dimentichi però che nello stesso testo si asteriscava la frase incriminata per indicarne la "non grammaticalità", cioè l'erroneità (a p. 5 n.1, da me citata, non da te).
2) Che gli ess. letterari siano esempi di dialogo cambia poco con il compito per un linguista di spiegare la grammatica di tali usi. E non giustifica certamente la loro comoda "liquidazione" (neo-purismo), solo perché tu non li hai mai incontrati (o forse notati).
3) Noto anche che hai cambiato opinione non parlando più di "eccezione" bensì di "numero irrisorio" di attestazioni. Ma anche queste sono da esaminare e da spiegare, pena l'atteggiamento ancora da neo-purismo.
Considero, per conto mio, chiuso il confronto su questo punto, senza escludere una futura discussione su altri problemi teorici e descrittivi.
E ti auguro una serena settimana.
Salvatore Claudio Sgroi

Anonimo ha detto...

Caro Salvatore,
permettimi di dirti che il tuo comportamento è quanto meno bizzarro: perché dovresti essere tu a decidere quando chiudere il confronto? Non siamo forse in due a confrontarci? Per quanto mi riguarda, chiuderei volentieri il confronto se di confronto si trattasse, ma purtroppo si tratta piuttosto di un monologo: di un tuo monologo.
1) Perché mi identifichi con i miei intervistati in Facebook? Sono loro a ritenere errato quel costrutto, non io.
2)Perché mi identifichi con Serianni? Mi sono limitato a comunicarti (nel mio primo commento)che Serianni, nel suo ultimo intervento in materia, ha scritto "richiede", non "più spesso". Ripeto: Serianni, non il sottoscritto, il quale si è limitato a dirti di non aver mai incontrato quel costrutto nelle sue letture.
3) Confondere la parola del narratore con la parola dei personaggi è un grave errore, caro Salvatore. Ricordi l'accellerare (con -l- doppia) in Pizzuto? Non era Pizzuto a raddoppiare la -l-, ma il suo personaggio (ironia dell'autore).
4) Spiega pure il "numero irrisorio di attestazioni": te l'ho forse impedito? Ma tu non vietare a me di affermare (e ti assicuro che sono in buona e folta compagnia) che quel costrutto è considerato errato dalla maggioranza dei parlanti/scriventi (non dal sottoscritto! Mi affretto a specificarlo perché altrimenti - come sei solito fare - parti in quarta contro di me).
Gualberto Alvino