mercoledì 2 febbraio 2022

Lanaia - 1 - Negare i nomi: "involontà" e "involontariato"

 


di Alfio Lanaia*

1. Due eventi giornalistici

In due articoli pubblicati su un giornale online («NuovAtlantide»),  dedicati alle votazioni per eleggere il ‘nuovo’ Presidente della Repubblica, sono state usate due parole che hanno attirato la nostra curiosità: involontà e involontariato.

1.1 La prima è stata usata da Fausto Anderlini in un commento ironico-sarcastico  del 30 gennaio 2022 sull’avvenuta elezione, dal titolo Fiat voluntas sua 

La volontà di Mattarella è stata fatta. A sua ‘insaputa’. Per involontà sovrana di un parlamento in scadenza. 

1.2 La matrice ironico-sarcastica si trova anche nel commento di Luigi Altea dal titolo Involontariato del 28 gennaio 2022:

La politica è oggi la più alta forma d’involontariato. I partiti sono diventati delle associazioni d’involontariato (salvo poche eccezioni, quasi nessuna…). L’involontariato, contrariamente al volontariato, è un’attività che si svolge per ottenere un vantaggio per sé o per i propri cari. Molti, ancor prima di scendere nel campo della politica, avevano maturato un’esperienza d’involontariato nel campo della renitenza fiscale, lavorativa, militare, legale, vaccinale…

 

      2. Involontà come ‘mancanza di volontà’ nell’italiano dal Seicento all’Ottocento

Nessuno fra i dizionari monovolumi registra la nostra forma. Per trovarla bisogna rivolgersi ai dizionari plurivolumi. Il Grande dizionario [storico] della lingua italiana (GDLI VIII 467) a cura di Salvatore Battaglia la registra la voce come voce ant[iquata]. col significato di ‘mancanza di volontà’. Stessa definizione nel Grande dizionario dell’uso (Gradit) diretto da De Mauro. La voce viene datata al 1736 con un esempio tratto dalle Vite de’ pittori, scultori, ed architetti moderni. È possibile, tuttavia, grazie a google libri, retrodatare la voce di alcuni decenni, in quanto essa è usata, ad es., da Gregorio Leti nel Conclave fatto nella sede vacante seguita dopo la morte di Clemente X,  1677:

 «…il non esser successa alla prattica la sua essaltatione, la colpa sopra all’involontà del compagno, tacendo la propria …» (p. 63).

Altre attestazioni della voce si trovano in opere dell’Ottocento, mentre gli usi novecenteschi sono rarissimi. Viene usata, per esempio, da Pasquale d’Ercole ne Il saggio di panlogica, ovvero l'Enciclopedia filosofica dell'hegeliano Pietro Ceretti (1911):

I momenti storici di questa opposizione da idealizzare sono in primo luogo la volontà astratta che assume in sè la involontà astratta, in secondo luogo la volontà astratta che assume in sè la non - volontà astratta, in terzo luogo la volontà concreta che assume in sè la subbiettivazione autologica della volontà astratta che si oppone a sè volitiva e nolitiva (p. 461).

3. Sull’origine di involontà

Il citato GDLI spiega involontà come un composto (modernamente: derivato) di in- con valore negativo e di volontà. L’interesse della voce consiste nel fatto che di solito il prefisso in- con valore privativo viene usato a) per formare aggettivi e sostantivi deaggettivali di origine latina, b) produttivamente  con valore privativo e negativo davanti ad aggettivi, ma solo sporadicamente, come nel nostro caso, c) davanti a nome, come in inoccupazione, insuccesso. Considerata, tuttavia, la matrice letteraria e storico filosofica degli usi della nostra forma, è possibile ipotizzare, come si vedrà, un’origine diversa, non solo per la nostra voce, ma anche per altri casi di derivati con in- + Nome.

3.1 Involontà è un falso derivato?

Come abbiamo visto, il GDLI considera involontà un derivato di in- + volontà; allo stesso modo il De Mauro considera inoccupazione e insuccesso altrettante neoformazioni di in- + Nome. L’esiguo numero di casi con in- che esprime contrarietà e privazione con nomi fa dubitare, come scrive Claudio Iacobini, nel volume sulla Formazione delle parole dell’italiano a cura di Maria Grossman e Franz Rainer, che si tratti di un vero e proprio processo di derivazione. Alcuni di questi nomi, come incuria, inedia, inimicizia, insipienza sono di origine latina; altri nomi  in -ione e -(z)a (impreparazione, inadempienza, incompetenza, insoddisfazione) sono riconducibili ai corrispettivi aggettivi in -nte o in -to (ad es. impreparato + -sione, inadempiente + -sione). Non rimarrebbero allora che poche parole, come incultura, inesperienza, incertezza, insicurezza, illiceità, insuccesso, irrealtà, inoccupazione, a dimostrare la presenza di neoformazioni con in- + Nome. A una analisi più dettagliata, tuttavia, molte di queste parole risultano a) latinismi: inesperienza < lat. med. inesperientia, irrealtà < lat. med. inrealitas; b) prestiti da altre lingue europee: incultura < fr. inculture, insuccesso < fr. insuccès; c) derivati da aggettivi prefissati: incertezza < incerto, insicurezza < insicuro ecc.

  Per quanto riguarda involontà, si tratta di un calco sul latino cristiano involuntas. Secondo il Kalb e il Leopold (cit. da Emilio Costa, Papiniano, vol. I, Bologna 1894, p. 291), infatti, presso gli scrittori ecclesiastici africani sono frequenti i sostantivi composti (modernamente: derivati) con il prefisso in- privativo come, ad es., invaletudo, involuntas, immisericordia ecc. Per conto nostro possiamo aggiungere che involuntas -atis ‘mancanza di volontà’ è già in Tertulliano (II-III sec.), come si legge, ad es.,  nel Vocabolario della lingua latina di Castiglioni-Mariotti. E,  d’altra parte, l’esempio del par. precedente, tratto da Pasquale d’Ercole, risale alla traduzione italiana che Carlo Badini fece dell’opera di Pietro Ceretti, scritta interamente in latino, dal titolo Pasaelogices specimen.

 

4. Involontariato non registrato dalla lessicografia

Mentre registra dei derivati dell’agg. involontario, come involontariamente ‘per caso, senza intenzione’ e involontarietà ‘l’essere involontario’, la lessicografia non registra involontariato il cui significato ironico si deduce da Fruttero e Lucentini, Il cretino in sintesi, 2002, pp. 275-276: «Attività esplicata senza il minimo entusiasmo, malvolentieri, "per nelle circostanze non potersi altro fare" (Machiavelli)». Il testo così continua:

 

Vi si ispirano in tutto il mondo numerose associazioni, quali l’Involontariato fiscale […]. l’involontariato  scolastico […], l’Involontariato del Lunedì […]

 

Più recentemente la nostra forma è stata usata nell’e-book di Francesco Muzzopappa, Il primo disastroso libro di Matt (2020):

Mentre cerco di spiegarle che il mio non è VOLONTARIATO, ma INVOLONTARIATO, lei continua a sbellicarsi.

 

Il 2002, anno di pubblicazione dell’opera di Fruttero e Lucentini, non si può considerare la data di prima attestazione della voce, in quanto essa si trova in un’opera del 1989 di Giuliano Gramigna, La festa del centenario (p. 202):

 

O Jem, o Gemma del vicus ricircolatorio, non era tuttavia questo circolo che il meschino si proponeva – neppure, con ogni rispetto, l’Involontariato della Memoria … Non le Memorabiglie semmai  le Maleveglie del qui e ora.

 

5.  Involontariato nel linguaggio tecnico-scientifico

 Oltre che nel registro ironico della prosa letteraria, involontariato è usato anche nella prosa tecnico-scientifica della sociologia, come nel seguente esempio, tratto da un articolo di Niccolò Bertuzzi e Paolo Borghi,  Lavoratori della conoscenza: resistenza e resa? Dialogo sulle pratiche e le teorie, uscito sul n. 5 (2015) della rivista «Sociologia italiana. AIS Journal of Sociology»,  in cui assume il significato di ‘prestazione di lavoro non retribuita in quanto considerata o trasformata in volontariato’:

 

[…] fatto che ci consente di parlare di una nuova forma di prestazione tipica della contemporaneità, in grado di trasformare il lavoro in volontariato o di qualcosa di  molto vicino ad esso, producendo dunque forme di vero e proprio involontariato professionale (corsivo nel testo).

 

6. Un consiglio non richiesto ai lessicografi

Trattandosi, infine, di una parola ben formata dal punto di vista morfologico e usata in ambito  giornalistico, letterario e tecnico-scientifico, è auspicabile che anche la lessicografia ne prenda atto è  registri involontariato nelle nuove edizioni dei vocabolari della lingua italiana.

7. Sommario

1. Due eventi giornalistici

2. Involontà come ‘mancanza di volontà’ nell’italiano dal Seicento all’Ottocento

3. Sull’origine di involontà

    3.1 Involontà è un falso derivato?

4. Involontariato non registrato dalla lessicografia

5. Involontariato nel linguaggio tecnico-scientifico

6. Un consiglio non richiesto ai lessicografi


* Docente di linguistica generale presso l'università di Catania






 

 

 



(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi: saranno prontamente rimosse)


3 commenti:

Anonimo ha detto...

Gli avverbi volontariamente e involontariamente ci sono già, così pure gli aggettivi volontario e involontario. Quasi assente è la presenza del nome involontà. C'è qualcuno che sa spiegare questo fatto?

Renato P.

Alfio Lanaia ha detto...

Rispondo al sig. Renato P., che ringrazio. Una regola della formazione delle parole dice che il prefisso in- con valore negativo si può legare SOLO agli aggettivi. Così da 'volontà' si forma 'volontario' poi 'involontario' e da questo e 'involontariamente' ma anche involontariato. 'Involontà', come cerco di spiegare nell'articolo, sembrerebbe contraddire la regola generale e quindi costituire un'eccezione, in quanto in- si lega a un nome, come inoccupazione, insuccesso ecc. In realtà l'eccezione è solo apparente, in quanto a un'analisi più dettagliata si scopre che 'involontà' è un prestito, e propriamente un calco, dal latino cristiano 'involuntas'. Evidentemente in latino questo tipo di formazione, come negli esempi riportati cui si può aggiungere 'immemoria', da in- + 'memoria', era possibile. Che le attestazioni di 'involontà' siano soprattutto dei secoli XVII-XIX credo dipenda dalla dimestichezza degli autori con il latino e anche dal tipo di opere, di matrice religiosa e filosofica.
Alfio Lanaia

Anonimo ha detto...

Sono io che ringrazio il professor Alfio Lanaia per la spiegazione. Ora mi è tutto più chiaro di prima.

Vorrei poter dire "A buon rendere!"

Renato P.