di Salvatore Claudio Sgroi
(Docente di linguistica generale presso l'Università
di Catania)
«L'italiano
è in declino?» con riferimento alle «(in)competenze linguistiche» degli studenti dei vari ordini di scuola, non
esclusa l'Università, è attualmente il tema di un acceso dibattito nei vari
mass media e in rete.
"La Repubblica" del 26.II. ha
dedicato un servizio di ben 6 pagine con titolo cubitale "Italiano per
principianti" e interventi di più autori. In quello di Valeria della Valle
("Quali sono gli errori più comuni") si additano 8 errori per
dimostrare l'incompetenza linguistica degli studenti.
Ma in quel "più comuni" l'A.
trascura il fatto che si tratta di usi diffusi in tutt'Italia, e tra parlanti
anche colti (scrittori, intellettuali, giornalisti, ecc.) e non già parlanti
popolari. Il che mette in discussione il giudizio di condanna neopuristica,
basata per lo più su criteri storico-etimologici. Come se il cambiamento della
lingua di una comunità ("massa") di parlanti non fosse fisiologico.
Si tratta dei seguenti "capi
d'accusa": (i) "piuttosto che" col valore di "o", censurato
in quanto motivo di (presunti, invero) "equivoci e ambiguità"; in
realtà solo perché di origine dialettale, per di più milanese.
(ii) "Un pò" anziché "un
po'" errato in quanto "forma abbreviata", ovvero
etimologicamente derivante da "po(co)".
(iii) "Vicino Roma/casa" e
"davanti l'edicola" al posto di "vicino a Roma/casa" e
"davanti all'edicola" erronei perché "l'avverbio 'vicino'/'davanti'
non può mutare in "preposizione". Ma "vicino"/"davanti"
diventano preposizioni per analogia con "dietro la casa".
(iv) "Qual'è/era" al posto di
"qual è/era" sbagliato in quanto (etimologicamente) troncamento in
formule fisse dell'italiano antico (es. "qual buon vento"), ma invero
oggi elisione nell'italiano moderno (chi dice oggi: "qual ragazza hai
visto?"?).
(v) "Aereo-porto" per
"aero-porto" è errato perché composto col sost. masch.
"aereo" rispetto all'opaco grecismo "aero-" da
"aer" 'aria'.
(vi) L'infinito "redarre" è addirittura
ritenuto "forma inesistente" al posto del latinismo
"redigere" ed errato in quanto (da "redatto") analogico su
"tratto/trarre" ecc.
(vii) La forma pronom. "mi
auspico" per "auspico" è (logicisticamente)
"sbagliata" in quanto "significa già 'augurarsi'", ma per
il parlante è analogica proprio sul pronom. "augurarsi".
Infine, (viii) il verbo "parlare [=
dire] che", es. "Giulia parla che ama Carlo" è scorretto; invero
presente in contesti orali e informali.
In realtà, tutti e gli 8 casi di
"errori comuni" non sono affatto "errori" in quanto tutte
forme comprensibili e soprattutto adottate da parlanti e scriventi colti o mediamente
colti, in contesti medi, o riconosciuti come corretti negli stessi dizz.. Così "redarre" è in De Mauro (2000); "auspicarsi" in De Mauro e in
Devoto-Oli-Serianni-Trifone (2004); e "qual'è"
in F. Fochi (1964).
Di quasi tutti questi casi ci siamo
occupati, con varia documentazione di usi illustri, in "Per una grammatica
laica" (Utet 2010) e in "Il linguaggio di Papa Francesco"
(Libreria Editrice Vaticana 2016). Da ultimo in questo articolo, il
lettore ricorderà "un pò".
Insomma, si tratta di usi che non
possono essere giudicati errati, ma che i grammatici più avvertiti dovrebbero
riconoscere come esempi di "ri-standardizzazione", a non voler passare
per giudici che condannano platealmente degli "innocenti".
Il problema reale della competenza linguistica
degli studenti è invero quello della comprensione di un testo e della costruzione
di testi dotati di chiarezza, di un filo logico, debitamente argomentati.
***
Auguri a tutte le gentili lettrici che seguono le nostre noterelle sulla lingua italiana.
9 commenti:
L illustre dociente di linguistica forse non si rende conto che, col suo permisivismo ad olltranza, a la fine ariveremo a giustificare tutti gli straffalcioni posibili, perche, tanto, ci si chapisce lostesso!
Eviva!
Cordialli saluti.
Otto
Insomma, siamo passati dalla grammatica normativa alla grammatica "facciamo un pò come cavoli ci pare", dove ogni raglio d'asino ha diritto al suo posto in paradiso.
I due commenti sono l'occasione per chiarire la mia 'filosofia' in fatto di grammatica normativa, alla base di tutti i miei interventi. Un parlante dovrebbe chiarire a sé stesso sulla base di quali criteri considera un uso linguistico sbagliato o corretto, anziché aprioristicamente decidere se un uso è da censurare o no. Se si legge più attentamente quanto scritto all'inizio dell'intervento, si argomenta che gli otto ess. sono corretti in base a due criteri: a) non solo perché gli usi in questione sono comprensibili (Condizione necessaria ma non sufficiente), ma soprattutto b) perché si tratta di usi documentati da parlanti colti e illustri, e non già da parlanti "incolti" o "semicolti". (Senza poi dire del riconoscimento per due ess. da parte di testi istituzionali). Se poi il primo commentatore si diverte a "ragliare" (avrebbe detto il suo Anonimo collega) più o meno fingendo in "italiano popolare", la lingua glielo permette in questo contesto, non certamente in altre situazioni (per es. in una prova concorsuale), dove, ahimè, sbaglierebbe perché verrebbe bocciato (infatti non soddisfa la condizione (b)).
Buon giorno,
mi spiace dissentire dal professore, ma concordo con Otto: il punto a - basta che sia comprensibile - può essere usato solo come giustificazione, ma non come motivazione. Io proprio non accetto che mi dice: "So che è sbagliato, ma tanto si capisce". L'affermazione stessa "so che è sbagliato" premette il fatto che quello che si sta dicendo non è corretto e non può, di conseguenza, essere considerato giusto.
Se poi una persona commette l'errore per ignoranza, non rientra nel punto b fra le persone colte.
Cordialmente
Monmartre Angeloise
Non devo essere stato chiaro nella mia precedente risposta. I criteri da me proposti per giudicare "corretta" una forma linguistica sono due (ripeto due): 1. "comprensibilità" e 2. "diffusione presso parlanti colti". E non già uno solo (1. oppure AUT 2.). Il lettore privilegia il punto 1. e sembra dimenticare il punto 2.
È poi significativo che il lettore introduca un terzo criterio per identificare l'errore. Dire "errore per ignoranza" significa ricadere nell'apriorismo della definizione di "errore". Si tratta di un terzo criterio per identificare l'errore che spiega in realtà ben poco. E da cui io prendo le distanze. E provo ad argomentare.
Alla base dell'uso linguistico di qualunque parlante (colto o incolto) a) c'è sempre una "Regola" (conscia o inconscia) che il parlante ha interiorizzato dall'interazione con gli altri, che rende comprensibile il suo linguaggio, e b) tale uso può essere giudicato positivamente o negativamente.
Un "errore" è sempre giudicato tradizionalmente come "uso sgrammaticato"; da un altro punto di vista è in realtà il risultato di una "Regola-X" che ha prodotto un certo uso (giudicato però erroneo). L'uso giudicato"corretto" è a sua volta il risultato di una "Regola-Y" diversa e alternativa alla "Regola-X".
Faccio un esempio, banale e provocatorio, di un uso errato per chiunque. L'italiano prevede la Regola-1, vitalissima, del comparativo analitico, formata da "più + aggettivo qualificativo", es. "più bello, ecc.". E la Regola-2 del comparativo sintetico, limitata agli aggettivi etimologicamente (in latino) con valore comparativo, es. peggio, meglio, ecc. I parlanti colti applicano le due regole. Il parlante incolto applica la Regola-1 in tutti casi "più bello", "più peggio", ecc. Due regole quindi in conflitto per il parlante incolto che ne applica solo una, quella più produttiva. Un uso perciò non "sgrammaticato", ma basato su una diversa Regola grammaticale.
Al momento di valutare il risultato dell'applicazione della Regola, tutti concordiamo nel giudicare errato il prodotto della Regola-2 "più peggio", perché, al di là della sua comprensibilità, è tipico dei parlanti incolti.
I "lapsus" dei parlanti colti si spiegano in fondo con lo stesso meccanismo. Dinanzi alla Regola-1 e alla Regola-2 presenti nell'inconscio del parlante colto il superego linguistico per un momento si è distratto, non è stato abbastanza vigile lasciando agire la Regola-2 più semplice e generale.
Per Otto
Mi perdoni l'intromissione, ma trovo fuori luogo il modo in cui esprime il suo punto di vista: ritengo che il sarcasmo, palese nel messaggio e negli errori grammaticali (tutti volutamente inseriti, è ovvio), sia il modo più inopportuno e sgradevole per esporre le proprie opinioni.
Ines Desideri
Buon giorno,
la sua spiegazione è stata chiarissima e, come avevo scritto, è accettabilissima come giustificazione-motivazione d'un errore o di un lapsus, ma ciò non autorizza (o "sdogana") l'uso della Regola-2. Dizionari, linguisti, scrittori e chi altro ha autorità dovrebbe ben precisare -senza se e senza ma - che è "corretta" solo la Regola-1; la Regola-2 esiste e deve essere conosciuta per poter comprendere un discorso che la contenga, ma che non è da usare. È questa netta presa di posizione che spesso manca.
Io, per potermi comportare bene, devo sapere anche quali sono i comportamenti da evitare: se tutti buttano le cartacce a terra (foss'anche un famoso attore o uno spazzino), non vuol dire che sia una cosa giusta e io so che non va fatto e cercherò di non farlo. Se poi fra cent'anni non esisteranno più i cestini e sarà "normale" gettare a terra le carte, non mi sarà insegnato che buttarle a terra non è educato. Fino a quando, però, saprò che esiste una regola "corretta", il mio impegno deve essere volto a seguire la Regola-1, non a tollerare in me la Regola-2.
Grazie per la Sua pazienza e disponibilità
Monmartre Angeloise
Gent. Ines,
come vede, il sarcasmo è servito a smuovere un po’ le acque. Non lo riterrei, quindi, inopportuno e tanto meno sgradevole. Anzi, a volte può valere di più un intervento sopra le righe di un ragionamento serioso e paludato.
Questo è il mio pensiero.
Buongiorno a lei e agli amici che ci leggono.
Otto
Per Otto
Libero di pensarla come vuole, per carità, ma la prego di rileggere la terza frase - "Anzi,..." - della sua risposta: tutt'altro che seriosa e paludata, ma ho dovuto leggerla tre volte per comprenderne il significato.
D'accordo: ho qualche limite intellettivo, io, perciò abbia pazienza.
E sarcasmo sia.
Ines Desideri
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