di
Salvatore Claudio Sgroi *
Almeno
6 cari amici, in contemporanea e in tempo reale, sapendomi estraneo
(refrattario, restio, riluttante...) a facebook, mi hanno girato un post su fb
del 30.III di «un mastrocolista a metà» (come leggo nel «subject/oggetto»
dell'e-mail), ovvero di un «letteratissimo collega».
Stimolato
dal recente dibattito «Contro il degrado dell'italiano a scuola» denunciato dalla
Lettera aperta di 600 docenti, reso incandescente dagli attacchi al vetriolo prima
di L. Tomasin (contro la «Lettera ad una professoressa»), poi di E. Galli Della
Loggia (contro T. De Mauro, all'indomani della sua scomparsa, e l'«Educazione
linguistica Democratica» da lui teorizzata) e ora della professoressa P.
Mastrocola (contro don Milani e contro T. De Mauro), -- il «letteratissimo
collega» «deprec[a]» a sua volta «l'assenza di nozioni di analisi grammaticale
e analisi logica negli studenti che [gl]i arrivano dalle loro scuole».
E
chiede ai «colleghi linguisti, che apprezz[a] e in cui confid[a], [...] con
quali diabolici algoritmi vadano sostituite [tali nozioni]». Nello stesso post egli
prende (giustamente) le distanze da «i linguisti indulgenti per l'abuso, pronti
a convertire qualsivoglia uso in norma, lautamente permissivi e convinti che
tutto ciò che è reale ha da esser razionale».
Nel
suo serrato argomentare il «letteratissimo collega» non rifugge da una concreta,
plausibile esemplificazione riguardo all'«uso» -- giudicato un «abuso» --
convertito in «norma» dal linguista -- presuntivamente -- «indulgente» e «permissivo»,
inventandosi un verisimile dialogo:
«[Un]
collega [...] un giorno m'incontra in corridoio e mi chiede a bruciapelo: "Secondo
te si dice sopruso o sorpruso?".
"Sopruso", gli dico. E lui: "Ma siccome molti sbagliando dicono
sorpruso, ora è legittimo dirlo"». Alla fine, un suo "outing" (politico-linguistico):
«senza essere un conservatore, anzi guardando con curiosità e favore
all'innovazione, continuo a impugnare e con più foga la mia matita rossa e
blu».
Mettendomi
ora nei panni del linguista non però «indulgente» né «permissivo», ma piuttosto
con la «matita rossa e blu», provo a definire i confini dell' "errore".
Condizione
n.1: è errato tutto ciò che è incomprensibile, contraddittorio, oscuro, ecc. La
differenza tra "sopr-uso" e
"soRpr-uso" in verità non
viola tale condizione. Ma ciò non basta per sfuggire all'errore.
Condizione
n. 2: è errato un uso che, pur comprensibile, sia però prerogativa di italofoni
poco acculturati, parlanti il tipico "italiano delle classi
popolari".
La
variante "soRpr-uso",
diffusa o non diffusa che sia, è prerogativa dei parlanti popolari? Una scorsa
a "Google libri", fornisce invero una ricca esemplificazione di tale
uso proprio tra i letterati, per es. in "Nuovi Argomenti" 1963: "protesta civile di fronte al
sorpruso" (p. 155); in Memorie,
autobiografie e diari nella letteratura italiana: "un sorpruso
intollerabile" (ETS 2008, p. 52). E non solo, anche ne I Problemi della pedagogia 1974: " la storia di violenza e di
sorpruso" (p. 402), ecc. ecc.
Morale
della favola: "soRpruso" è
proprio "illegittimo"? Significa essere "permissivi" se si
dice che il "soRpruso"
nell'uso scritto, letterario e non, coesiste onorevolmente accanto all'etimologico
"sopr-uso"? E quindi non è
affatto "errato"?.
Se
poi il linguista vuol individuare la "regola" alla base della forma dizionaristica
("sopr-uso") dirà che alla
base c'è la Regola-1 etimologica ("der. o comp. di uso con sopra-").
Per
la Regola-2 alla base della variante "soRpr-uso"
si può invece invocare il fatto che il parlante, pur colto, non percepisce
più la natura di prefissato/composto con "sopra-" ed è condizionato dalla pressione (paradigmatica) esercitata
da un termine comune come "sorpr-eso"
(e famiglia). Nella lingua non esistono, ahimè, rassicuranti, matematici, «algoritmi»
ma "regole" sociali, variabili, gestite dai parlanti in funzione dei
loro bisogni espressivi, comunicativi e cognitivi.
Il
senso dell'affermazione riportata dal «collega letteratissimo»: «Tutto ciò che
è reale ha da esser razionale» non vuol dire allora che tutto dev'essere
approvato. Vuol dire solo che "tutto ciò che esiste (linguisticamente) ha
una sua ragione", ha cioè una Regola, da scovare. Qui, due sono le forme esistenti
("sopr-uso/soRpr-uso"), due
sono quindi le Regole (etimologica e non-etimologica) consce o inconsce, e non
sempre facili da individuare.
Quanto
all'approvazione dell'uso, cioè il riconoscerne il valore di "norma",
per il linguista "laico", occorre tener conto delle due condizioni di
cui sopra. Un uso è "norma (colta)" se comprensibile e a un tempo non
tipico dell'italiano di "parlanti subalterni", altrimenti è
"norma popolare" o "errore", certamente da segnare con la
matita rossa e blu.
Ma
la storia non finisce qui. Perché in realtà esiste una terza variante: "soPPruso"! Errore? Invitiamo allora
il "collega letteratissimo" a un "compitino": a) cerchi in "Google libri" le
non poche testimonianze di usi (colti!) di tale variante senza pregiudizi e b) studi i grammatici in grado di
individuare le regole stabilite dai parlanti (colti e incolti).
*
Docente di linguistica generale presso l'Università di Catania
Autore tra l’altro di
Autore tra l’altro di
--Per una grammatica ‘laica’. Esercizi di analisi linguistica: dalla parte del parlante (Utet 2010);
-- Scrivere per gli italiani nell'Italia post-unitaria (Cesati 2013);
--Dove va il congiuntivo? (Utet 2013);
-- Il linguaggio di Papa Francesco. Analisi, creatività e norme grammaticali (Libreria Editrice Vaticana 2016)
-- Scrivere per gli italiani nell'Italia post-unitaria (Cesati 2013);
--Dove va il congiuntivo? (Utet 2013);
-- Il linguaggio di Papa Francesco. Analisi, creatività e norme grammaticali (Libreria Editrice Vaticana 2016)
4 commenti:
Buon giorno,
il Suo concetto di "uso" differisce dal mio: non è perché 3 autori hanno usato (sbagliato?) una parola, allora si possa dire che tale parola è "usata".
Se guardiamo la ricorrenza, si vede non c'è mai stato un vero uso della parola "sorpruso":
https://books.google.com/ngrams/graph?content=sopruso%2Csorpruso%2C+soppruso&year_start=1500&year_end=2008&corpus=22&smoothing=6&share=&direct_url=t1%3B%2Csopruso%3B%2Cc0%3B.t1%3B%2Csorpruso%3B%2Cc0%3B.t1%3B%2Csoppruso%3B%2Cc0
Diverso è il discorso per reboante e roboante. La prima è la "versione" corretta; la seconda, originariamente errata, sí che è entrata nell'uso e, rispettando la R1 e R2, si può definire accettabile. Come già commentai: bisogna distinguere fra corretto e accettabile; un conto è "tutto va bene" un altro è "essere consapevoli che esiste una scala di correttezza\bontà".
https://books.google.com/ngrams/graph?content=reboante%2Croboante&year_start=1500&year_end=2008&corpus=22&smoothing=6&share=&direct_url=t1%3B%2Creboante%3B%2Cc0%3B.t1%3B%2Croboante%3B%2Cc0
Cordiali saluti
Il termine "uso" ha naturalmente molte accezioni. Ma a me pare che lei confonda l'"Uso" con la "Frequenza". Non è che una parola con scarsa frequenza (o ricorrenza) non è/sia una parola "usata"! Una parola, se adoperata una sola volta, da una sola persona avrà certamente una frequenza bassissima, ma per il linguista costituisce sempre un "termine usato".
In statistica, poi l'USO risulta dalla "Frequenza X Ripartizione (o Distribuzione o Dispersione)". Tale calcolo è per es. alla base dell'individuazione, a partire da un corpus (scritto e/o parlato), del "vocabolario di base" dell'italiano di T. De Mauro (1980 e ora in II ed. 2017, on line). Ma non va confuso col problema della “norma” (‘approvazione degli usi’), ovvero della “correttezza” o “accettabilità”.
Lei propone la differenza tra "corretto" e "accettabile". Espliciti però sulla base di quali criteri, se non vuol ricadere nel puro soggettivismo. Io ho scritto tempo fa un articolo in cui sostenevo che il periodo ipotetico della possibilità o irrealtà es. "Se potrei lo farei" è "scorretto" sì ma "non sgrammaticato". Intendiamoci: dico "scorretto" cioè "errato" (lei forse direbbe "non accettabile"?) perché tipico dell'italiano delle classi popolari, ma "non è sgrammaticato", perché è generato da una Regola (la Regola-2 del doppio condizionale potenziale), diversa dalla Regola-1 (“Se + cong. + condiz.”) dell'es. "Se potessi lo farei" proprio dell'italiano colto e quindi giudicato corretto. Ripeto i due ess. sono entrambi "non sgrammaticati", ma l'uno è"corretto", l'altro (col doppio condizionale) "scorretto" ("non-accettabile").
Ritornando agli ess. soRpruso e soPpruso, sono entrambi corretti (ovvero accettabili) non sulla base della loro frequenza, ma perché documentati negli scritti di utenti colti. Una paziente ricerca in Google libri le consentirà un'analisi "qualitativa" di testi rilevanti, e tra l'altro ben più di tre (capirà che ho dovuto limitare la mia esemplificazione).
Cordialmente
Salvatore Claudio Sgroi
Buon giorno,
La ringrazio per la sua cortese disponibilità.
Chiarisco il mio concetto di “corretto” e “accettabile”, per far capire che non è soggettivo. Lei ha proposto due regole per valutare la “bontà” di una frase italiana; io ritengo che queste due regole hanno un peso diverso: la prima che si basa sulla tradizione, storico-etimologica, ha un valore maggiore rispetto alla seconda sull’innovazione, sincronica. La prima si fonda su secoli di scritti che, in quanto sono giunti fino a noi, hanno una forte “autorevolezza” intrinseca; la seconda soddisfa la richiesta di “farsi capire” dai parlanti ed è testimoniata anche da scritti che non supereranno la prova del tempo.
Una parola, o una frase un costrutto, li ritengo corretti anche se soddisfano solo la regola 1. Preciso che una frase corretta potrebbe essere “non accettabile” se utilizzata in un registro sbagliato, specialmente se orale: se parlando col vicino dicessi: “Mio figlio è a letto egro”, la frase è correttissima, ma non rispetterebbe la regola 2; già se tale frase la usassi in un romanzo sarebbe piú accettabile poiché ci si aspetta una “comprensibilità” maggiore da parte del lettore.
Una parola, o una frase un costrutto, li ritengo accettabili se soddisfano la regola 2 (senza tralignare troppo dalla 1). Se il vicino dicesse: “Del libbro che mi hai dato mi è piaciuto sopratutto le pagine con delle figure di animali”, tale frase si potrebbe ritenere accettabile nel parlato, ma in nessun caso sarebbe corretta poiché non rispetta la regola 1. (Faccio notare che “libbro” ha una frequenza maggiore di “sorpruso”.)
Ringrazio nuovamente Lei e il dott. Raso per l'impegno istruttivo che dedicate ai vostri lettori.
Buongiorno. Ho trovato la versione di sorpruso nel romanzo di Denis Diderot La religiosa. Ed. Alberto Peruzzo Editore, collana nuovi classici Peruzzo, Romanzi, stampato il 30 dicembre 1965 da La tipografica Varese, Pag.22.Un cordiale saluto.
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