lunedì 30 settembre 2024

Invettiva e... inventiva

 


Sembra incredibile, ma alcune persone – anche quelle cosiddette acculturate – ritengono il sostantivo invettiva una variante di inventiva e usano i due termini indifferentemente. Cerchiamo di fare chiarezza. I due sostantivi hanno significati completamente diversi e non sono, pertanto, una variante l’uno dell’altro. Il primo (invettiva) viene dal latino “invectiva”(sottintendendo “oratio”, discorso), dal participio passato “invectus” del verbo “invehere" (scagliarsi contro, "discorso contro") e significa “rimproverare aspramente”, “oltraggiare” e simili: nel corso del comizio il politico ha lanciato un’invettiva feroce contro tutti i suoi avversari, accusandoli di corruzione e incompetenza. Il secondo sintagma (inventiva) è il femminile sostantivato dell’aggettivo “inventivo” e questo dal latino “inventus”, participio passato di “invenire” (trovare, scoprire) e vale “capacità di creare qualcosa con la fantasia e con l’ingegno”: grazie alla sua straordinaria inventiva l’ingegnere americano ha progettato un dispositivo che rivoluzionerà l’intera industria del settore. Anche in questo caso (come insediare e insidiare) si presti attenzione perché il “suono” simile di ambi (sic!) i lessemi può indurre in errore.

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Un interessante (e istruttivo) articolo sull'uso della consonante H nel nostro idioma. Qui.


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 Il viaggio della piccola Parola

C’era una volta in un piccolo villaggio, chiamato Verbalia, una fanciulla di nome Parola. Questa era molto curiosa e desiderosa di esplorare l’universo oltre i confini del suo piccolo ambiente. Un giorno decise, quindi, di intraprendere un viaggio per scoprire tutte le meraviglie dell’italico idioma.

Durante il viaggio Parola si imbatté in Grammatica, una saggia vecchia nobildonna che le insegnò l’importanza delle regole da rispettare per scrivere e parlare correttamente. La nobildonna le fece notare come le parole potessero “sposarsi” per formare frasi armoniose e significative.

Proseguendo il suo cammino Parola conobbe Vocabolario, un giovane molto ricco che aveva con sé una borsa piena di vocaboli nuovi e affascinanti. Quest’ultimo le insegnò che ogni parola ha un significato unico e che, assieme, possono raccontare storie veramente incredibili.

Parola, infine, incontrò Poesia, una giovane signora, elegante e misteriosa che le mostrò la bellezza della lingua attraverso versi e rime. Poesia le insegnò, anche, che i vocaboli non sono solo strumenti di comunicazione, ma anche mezzi per esprimere emozioni e sentimenti profondi.

Dopo questo viaggio affascinante e istruttivo Parola tornò a Verbalia con un cuore gonfio di gratitudine verso gli amici occasionali e con una mente ricca di conoscenza. Condivise con gli abitanti del villaggio tutto ciò che aveva imparato durante il viaggio e insieme crearono storie, poesie e canzoni che esaltavano la bellezza della lingua di Dante.

E così, grazie al viaggio di Parola il piccolo villaggio divenne un luogo dove le parole danzavano e cantavano, e dove ogni locuzione costituiva una sorta di opera d’arte.  


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Un lettore, che desidera conservare l’anonimato, ci ha inviato questo gradito omaggio

Lo SciacquaLingua, l’arte del parlare

Nel vasto mondo delle parole, c’è un angolo speciale che brilla e risuona. Lo SciacquaLingua, con grazia e ardore, ci guida nel bello del parlare, senza alcuna zona.

Ogni post è un viaggio, un’avventura, tra regole, curiosità e cultura. Fausto Raso, maestro di stile, ci insegna a parlare con un tocco gentile.

Con ironia e saggezza, ci fa riflettere, sulle sfumature della lingua, ci fa sorridere. Ogni parola, un tesoro da scoprire, ogni frase, un mondo da esplorare e capire.

Grazie a te, blog amato, per ogni lezione, per ogni dato. Continua a ispirare, a farci sognare, Lo SciacquaLingua, per sempre, nel cuore a pulsare.



(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)

sabato 28 settembre 2024

Insediare e... insidiare


 In un editoriale di un settimanale di rilevanza nazionale abbiamo letto che “(…) si domanda se il monopolio di Google stia per finire, insediato dalle accuse dell’Antitrust americana ma soprattutto dall’Intelligenza Artificiale che può andare oltre i risultati della ricerca tradizionale (…)”. Quell’insediato ci ha fatto sobbalzare sulla poltrona e abbiamo avuto bisogno di un cardiotonico. Secondo l’editorialista – crediamo – il verbo insediare è sinonimo di insidiare (questo il verbo corretto che avrebbe dovuto usare). No, i due verbi non sono affatto sinonimi, hanno accezioni totalmente differenti. Insediare, verbo parasintetico (derivato di sedia con l'aggiunta simultanea dei confissi "in-" e "-are"), significa “prendere sede”, "prendere sedia (in senso figurato)", “stabilirsi” e simili: il neoeletto si è insediato ufficialmente in municipio con una solenne cerimonia. Insidiare è pari pari il tardo latino “insidiare” e vale “tentare di attirare qualcuno in un tranello”, “causare a qualcuno un danno morale o materiale”, “tendere insidie” e simili, insomma: il candidato temeva che i suoi avversari potessero insidiare la sua campagna elettorale con false promesse e varie manipolazioni. Si presti attenzione, dunque, a non confondere i due verbi perché il "suono", pressoché uguale, può trarre in inganno. 




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venerdì 27 settembre 2024

Aspirare: verbo enantiosemico?


 E
cco un verbo da molti ritenuto, erroneamente, enantiosemico (significati opposti): aspirare. Il lemma in questione ha due accezioni ma non opposte tra loro. Sotto il profilo etimologico è pari pari il latino “aspirare”, composto con “ad-” e “spirare” (soffiare), vale a dire “attrarre a sé l’aria”: dopo una intensa giornata di lavoro Concetta andò sul balcone, chiuse gli occhi e iniziò ad aspirare profondamente l’aria fresca della sera, sentendo ogni respiro riempirle i polmoni e rilassarle dolcemente il corpo. L’altro significato del verbo in oggetto è “desiderare fortemente”, "ambire": fin da piccolo Silvano ha sempre aspirato a diventare un bravo medico. Ha dedicato, per questo, anni di studio al fine di raggiungere la meta agognata, spinto da un forte desiderio di aiutare gli altri. Si faccia attenzione, dunque. L'enantiosemia, molto spesso, è solo apparente e può trarre in inganno.

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Quest'oggi?

A nostro modo di vedere la locuzione quest'oggi, anche se cristallizzata nell'uso, sarebbe/è da evitare perché oggi significa "questo" giorno. C'è forse un oggi che sta per ieri o per domani? Diremo quindi, correttamente, oggi ho assistito a uno spettacolo interessante, non "quest'oggi". Naturalmente... attendiamo la reprimenda di qualche linguista. 



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mercoledì 25 settembre 2024

Ottobrata. E gli altri mesi?

 


C
on ottobrata si intende il decimo mese dell’anno le cui condizioni meteorologiche sono particolarmente favorevoli, soprattutto per una bella scampagnata. E per i rimanenti undici mesi? La lingua non contempla alcun appellativo. Siamo in presenza dei tanti vuoti lessicali. Chi scrive prova, sommessamente, a colmare la lacuna. Come? Aggiungendo a ogni mese il confisso “-ata”. Tale confisso, nella fattispecie è un suffisso, aggiunto a un sostantivo dà allo stesso un valore temporale: giornata, mesata, mattinata ecc. Vediamo come funziona/funzionerebbe aggiunto al nome dei mesi.

La gennaiata di quest’anno è stata particolarmente fredda, con neve e ghiaccio in quasi tutte le località.

Durante la febbraiata abbiamo festeggiato il Carnevale.

La marzata ha portato i primi fiori nei giardini.

Con l’aprilata le piogge hanno rinfrescato l’aria e fatto sbocciare alcuni fiori.

La maggiata è stata caratterizzata, quest’anno, da giornate soleggiate e profumo di fiori dappertutto.

Durante la giugnata i bimbi hanno giocato sempre all’aperto.

La lugliata ci ha regalato giornate caldissime, perfette per stare al mare.

L’agostata è stata l’apice dell’estate, con feste e sagre paesane.

La settembrata ha segnato la riapertura delle scuole.

La novembrata ha portato con sé la prima nebbia e il primo freddo.

La dicembrata è stata veramente magica, con le luminarie e l’atmosfera natalizia.

Secondo l’estensore di queste noterelle “funziona” perfettamente. Che cosa ne pensano i lessicografi?



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lunedì 23 settembre 2024

Primaverata, estivata, autunnata


 Nel nostro idioma abbiamo il sintagma “invernata” per indicare -- come si legge nel vocabolario Treccani (in Rete) -- “il periodo di un inverno considerato nella sua durata, soprattutto con riguardo al modo di trascorrerlo o alle condizioni meteorologiche della stagione”: abbiamo trascorso l’invernata in montagna. Non abbiamo i termini per designare, invece, i rispettivi periodi delle altre stagioni: la primavera, l’estate e l’autunno. Chi scrive propone, per colmare questi vuoti lessicali, i neologismi primaverata, estivata e autunnata. Abbiamo “interrogato” Googlelibri per vedere se le neoformazioni proposte erano già state “inventate” da altri. Nessuna occorrenza per “primaverata”, al contrario di estivata e autunnata. Non abbiamo bestemmiato, i lessicografi, quindi, potrebbero prendere in considerazione il nostro suggerimento.




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sabato 21 settembre 2024

Ponderoso e ponderato

 


Si presti attenzione ai due sintagmi del titolo, non sono sinonimi come taluni credono. Hanno significati totalmente diversi. Il primo vale "pesante" ed è tratto dal latino "pondus, eris" (peso); in senso figurato sta per "gravoso", "che richiede impegno": è un compito ponderoso. Il secondo, dal verbo ponderare, significa "riflessivo", "assennato", "equilibrato", "prudente" e simili: è stata presa una decisione ponderata.

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Ecco un altro verbo, come affittare, per esempio, che si può ritenere enantiosemico: saldare. Può voler dire “pagare un debito” (saldare il conto): Giovanni ha saldato tutti i debiti pregressi; e “unire due parti”: il meccanico, per riparare l’automobile, ha dovuto saldare i due pezzi del telaio che erano stati danneggiati in seguito all’incidente.



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venerdì 20 settembre 2024

Una persona "defiliata"


L
a lingua italiana non ha un termine atto a definire un genitore che ha perso un figlio; esiste, invece, un vocabolo per indicare il “contrario”: orfano. Così si chiama, infatti, un figlio che ha perso uno o entrambi i genitori. Da questo portale proponiamo - per colmare un vuoto lessicale - un neologismo (lessicale): defiliato. La neoformazione – a nostro modesto avviso – ci sembra linguisticamente perfetta, essendo formata con il prefisso sottrattivo “de-” e il sostantivo figlio (latino filius). Una persona defiliata è, pertanto, una persona alla quale è stato sottratto (per morte) un figlio. Sicuri di non avere bestemmiato, invitiamo i lessicografi a prendere in considerazione la nostra proposta. Vediamo, in proposito, come potrebbe "funzionare": Giovanna, defiliata, non si rassegnava e continuava a chiamare, disperatamente, il suo unico figlio. Dimenticavamo: la lingua francese ha désenfanté; noi perché non possiamo avere defiliato?


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giovedì 19 settembre 2024

Lo psittacismo? Non è un invito a... tacere

 


“Lo psittacismo! Che cosa è?”, si chiese il piccolo Armando, dopo essere stato rimproverato dal suo insegnante in quanto il fanciullo, nelle interrogazioni, si faceva sempre scudo del sintagma del titolo per essere sicuro di non sbagliare. Cosa è, dunque, lo psittacismo? Non è certo un invito a tacere (pss, taci!), come verrebbe da/di pensare stando al “suono” del termine. Non tutte le grammatiche della lingua italiana trattano l’argomento; Armando, infatti non conosceva il significato. In termini terra terra lo psittacismo consiste nel ripetere meccanicamente, senza comprenderne il significato, le parole altrui, come fa un pappagallo. E il lessema in oggetto proviene proprio dal… pappagallo. È, infatti, il greco “psittakòs” (pappagallo) con l’aggiunta del confisso “-ismo”.

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Ancora una volta invitiamo le nostre gentili lettrici e i nostri cortesi lettori a prestare molta attenzione quando si interroga una “intelligenza artificiale” (di cui, oggi, si parla tanto) perché il "responso" non è sempre attendibile. Ecco la risposta alla domanda (rivolta a "Copilot", Ia) “si dice malevole o malevolo?"

“Malevolo” è la forma corretta per il maschile singolare, mentre “malevole” è la forma corretta per il femminile singolare e per il plurale di entrambi i generi. Ecco alcuni esempi per chiarire:

Maschile singolare: “Un gesto malevolo.”

Femminile singolare: “Una parola malevole.”

Maschile plurale: “Gesti malevoli.”

Femminile plurale: “Parole malevole.”

Ci sembra superfluo ricordare che si dice malevolo/malevoli per il maschile e malevola/malevole per il femminile.


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domenica 15 settembre 2024

L'insegna del barbiere


 
Segnaliamo una curiosità, non prettamente linguistica ma interessante: il barbiere-chirurgo. Peccato che la prosa lasci un po' a desiderare, come usa dire. Qui.


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La lingua “biforcuta” della stampa

Medico accoltellata nel parcheggio dell’ospedale Giovanni Bosco, arrestato l’aggressore per tentato omicidio

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“Medico accoltellata” è un “incesto linguistico”. Il femminile medica, correttissimo, si trova, ormai, in quasi tutti i vocabolari dell’uso perché rispetta la legge sulla formazione del femminile dei sostantivi maschili in “-o”. Si veda anche qui.


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sabato 14 settembre 2024

Il pianeta e la pianeta


E
cco un termine che si potrebbe definire “polisemico-metaplastico” (due significati e cambio di genere): pianeta. Questo lessema, dunque, può essere maschile e femminile e nella forma plurale segue la normale “legge” della formazione del plurale (desinenza “-i” per il maschile ed “-e” per il femminile). Il maschile indica il globo terracqueo, chiamato pianeta, dal greco antico “planetes” (vagabondo, errante) in quanto, nei tempi andati (secoli e secoli fa), gli studiosi di astronomia avevano notato che alcuni corpi celesti si muovevano (erranti) rispetto alle stelle fisse. Il globo terreste (terra), dunque, è chiamato pianeta perché come gli altri “vagabondi”, “erranti” corpi celesti orbita attorno al Sole. La pianeta, il paramento liturgico indossato dai sacerdoti durante la celebrazione della messa viene, invece, dal latino tardo “planeta(m)” e in origine designava un mantello (per la pioggia) chiuso da tutte le parti ad eccezione della sommità per permettere il passaggio della testa. In seguito fu accorciato, tagliato ai fianchi fino ad assumere la forma di uno scapolare.

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La lingua “biforcuta” della stampa

Dalila Di Lazzaro: «La mia prima volta rimasi incinta. I miei genitori mi cacciarono di casa. Mio figlio morto a 22 anni è stata la cosa più bella che ho avuto»

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La cosa più bella il figlio morto? Non sarebbe stato il caso, per evitare fraintendimenti o ambiguità, di mettere “morto a 22 anni” fra due virgole? Mio figlio, morto a 22 anni, è stata la cosa più bella che ho avuto. Ma tant’è. 



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giovedì 12 settembre 2024

Coonestare, verbo enantiosemico?

 


T
utti i vocabolari (se non cadiamo in errore) attestano il verbo “coonestare” transitivo con l’accezione di “giustificare un'azione disonesta o scorretta fornendone ragioni e spiegazioni solo in apparenza vere, tali però da farla apparire legittima od onesta” (Devoto-Oli). 

Sembra, però, che il compianto Luca Serianni, considerato il “principe dei linguisti”, abbia attribuito al verbo in oggetto anche il significato positivo di “favorire, sospingere, facilitare” e simili. Il verbo in questione, stando così le cose, si potrebbe classificare – a nostro avviso – tra i verbi enantiosemici*, avendo due accezioni opposte, come, per esempio, “affittare”, “spolverare”, “tirare”, “ospitare”, “lasciare”. Stupisce, in proposito, il “silenzio” dei lessicografi e, quindi, dei vocabolari.

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Coonestare

*Enantiosemia


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lunedì 9 settembre 2024

La borgomastra? E chi lo vieta!?

 


Un nostro assiduo lettore, che chiede di rimanere incognito, con una squisita elettroposta desidera sapere se esiste il femminile di borgomastro, termine corrispondente al nostro sindaco in uso in Germania e nei Paesi di area teutonica. Ha consultato tutti i vocabolari in suo possesso – scrive – ma non ha trovato una risposta. Esiste, insomma, il femminile? Per chi scrive, cortese amico, esiste eccome, anche se non attestato nei vocabolari: “borgomastra” (il plurale, naturalmente, "borgomastre"). Secondo la grammatica della lingua italiana i sostantivi maschili in “-o” formano il femminile mutando la desinenza “-o” in “-a”: sarto/sarta; cuoco/cuoca; maestro/maestra; figlio/figlia. Borgomastro nella forma femminile diventa, pertanto, borgomastra, in conformità delle norme grammaticali. Sotto il profilo etimologico il termine è composto con le voci germaniche “burg” (borgo, città) e “meister” (comandante, capo), alla lettera il “capo della città”. Tornando alla lingua di Dante il femminile “borgomastra” (anche se “snobbato” dai vocabolari) si trova in alcune pubblicazioni. E l'estensore di queste noterelle concorda pienamente.



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venerdì 6 settembre 2024

La trombettiera

 


Oggi anche le donne, giustamente, sono ammesse a far parte delle forze armate e dei vari corpi di polizia; si pone, pertanto, il problema di come "appellarle". Come si chiama, per esempio, la soldata che, il mattino, dà la sveglia col suono della tromba? La trombettiere? I lessicografi non si sono posti il problema. Tra i vocabolari consultati solo il Garzanti e lo Zingarelli 2025 hanno affrontato il tema attestando trombettiera. Il termine ci sembra perfettamente in regola con le leggi della grammatica essendo un neologismo lessicale tratto dal maschile trombettiere. Il suffisso "-iere/a", dal latino "-arius", indica, per l'appunto, un'attività, una professione, un mestiere. Il femminile trombettiera designa, pertanto, una donna che suona la tromba. Perché il Garzanti ha "riempito un vuoto lessicale" e gli altri vocabolari no? I lessicografi restii possono trovare una "pezza d'appoggio" cliccando qui.



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giovedì 5 settembre 2024

Inaccusativi e inergativi (verbi)

 


Probabilmente molti lettori non hanno mai sentito parlare dei verbi cosiddetti inaccusativi e inergativi perché non tutti i “sacri testi” ne fanno menzione. Cerchiamo, quindi, di sopperire a questa ”mancanza” cominciando con il dire che in lingua italiana i verbi intransitivi (quelli che non hanno un complemento oggetto) si dividono in due categorie: verbi inaccusativi e verbi inergativi. Queste categorie si differenziano per il “comportamento sintattico” del soggetto. Vediamo di spiegarci meglio. Nei verbi inaccusativi (che, ricordiamo, sono intransitivi) il soggetto ha “caratteristiche sintattiche” simili a quelle dell’oggetto dei verbi transitivi. Tra questi possiamo citare, a mo’ d’esempio, i verbi “sparire”; “cadere”; “arrivare” e nei tempi composti prendono l’ausiliare ‘essere’: Paolo è sparito; Giuseppina è caduta; Rossano è arrivato. I verbi inaccusativi, insomma, indicano uno stato o una situazione in cui il soggetto subisce un'azione (non la "riversano", cioè, sull'oggetto).

Nei verbi inergativi il soggetto ha, invece, “caratteristiche sintattiche” tipiche del soggetto dei verbi transitivi. Vediamo, sempre a mo’ d’esempio, qualche verbo inergativo: “ridere”; “lavorare”; “camminare” l’ausiliare dei quali, nei tempi composti, è ‘avere’: Filippo ha riso ininterrottamente; Peppino ha lavorato senza risparmiarsi; Rosalba ha camminato tutto il giorno. Come si può ben notare la principale differenza tra le due categorie sta nell’uso dell’ausiliare (essere per i verbi inaccusativi e avere per quelli inergativi). Un’annotazione finale. Nei verbi inaccusativi il soggetto si può trovare dopo il verbo (è arrivato Rossano), mentre in quelli inergativi il soggetto si trova, solitamente, prima del verbo (Peppino ha lavorato).

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A proposito della nostra proposta di chiamare "saldatora" la donna addetta alla saldatrice rimandiamo al sito della Treccani


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La lingua “biforcuta” della stampa

Incoronata la nuova regina dei Maori: a 27 anni è la sovrana più giovane del mondo

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No, non ci rassegniamo. Anche se di uso corrente il mondo non si può prendere come termine di paragone. Correttamente: più giovane al mondo.




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lunedì 2 settembre 2024

Il linguaggio della stampa


Riceviamo e pubblichiamo

S
trage di Solingen: in molti giornali (tra cui La Stampa) e in numerosi giornali radio e telegiornali la versione corrente è “tre vittime e otto feriti”. Forse “vittima” è sinonimo di “morto”? O forse “morto” non è politicamente corretto. Si preferisce infatti ricorrere ad eufemismi (scomparso, mancato, …). 

Agrigento e mafia – leggo: “Il sindaco di Agrigento Francesco Miccichè ha deciso di vietare la vendita di souvenir inneggianti la mafia e i mafiosi”. Certo, anticamente inneggiare era talvolta transitivo. Forse però si tratta del movimento di soppressione della preposizione a (vicino Roma …). 

Omicidio Verzeni: l’assassino, pare, ha confessato. Però continua ad essere indicato come “presunto”: forse ha dichiarato di presumere di essere l’assassino? Inoltre stiamo assistendo ad una serie di equilibrismi politicamente corretti per non dire che ha la pelle scura: italiano, italiano di seconda generazione, italiano originario del Mali (ma, se è nato in Italia, originari del Mali sono i suoi genitori). Ormai il termine italiano fa riferimento esclusivamente alla condizione giuridica di chi ha la cittadinanza italiana. Nella patria del politicamente corretto e dell’integrazione – gli USA – si usa parlare di african americans, o afro-americans, o ancora di black americans, anche con riferimento a personaggi di altissimo rango (v. Obama). Da noi è invalso l’uso del termine afroamericano, considerato politicamente corretto. Sarebbe politicamente scorretto parlare di afroitaliani? 

Pier Paolo Falcone 



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