di Salvatore Claudio Sgroi
Un caro
amico e collega mi ha girato un articolo di Daniele Barni, a me sconosciuto
poeta (stando a Internet), dal titolo (reboante) La nuova questione della lingua: l'italiano e l'inglesorum",
apparso (con sorpresa) sulla prestigiosa rivista "Micro-mega",
online, 4 gennaio (pp. 8).
L'A. se la
prende con "accademici, scrittori, intellettuali e politici",
colpevoli di sottovalutare "l'invasione degli anglismi" nella lingua italiana
(p. 1), contro cui suggerisce la politica di "Incipit", non nominato
ma definito "gruppo apposito di linguisti peraltro già presente presso la
Crusca" (p. 5), favorevole ai prestiti adattati e ai calchi strutturali e
semantici. E propone nella grafia estraniante <zunami> l'uso del nipponismo tsunami
('onda sul porto'), ignorando che la grafia standard <tsunami> è quella accolta nei
dizionari (vedi Zingarelli 2022, De Mauro 2000, ecc.) con l'iniziale <ts-> presente anche p.e. in altre
voci come mosca tse-tse, o Mao Tse-tung. E adotta la forma anglismi al posto di
"anglicismo", perché quest'ultimo è di origine inglese, ma
contraddittoriamente sorvolando sul fatto che anglicismo è appunto un prestito adattato dall'ingl. anglicism.
Con
implicito riferimento alle interviste di Alessandro Masi del 23 dic. 2022 e di
Claudio Marazzini del 27 dic. 2022, da me citati nel mio intervento del 4
gennaio Promuoviamo lo studio e la
diffusione della lingua italiana. E non più ideologie (destrorse) sull'italiano
dinanzi all'anglo-americano, egli prende quindi le distanze dalla
"soluzione di rendere più forte ed espansiva la lingua italiana",
come indicato nel titolo, rispetto alla guerra agli anglicismi
("l'inglesorum").
A suo
giudizio, "chi lavora nelle comunicazioni deve usare la lingua italiana,
quando possibile", ovvero "i giornalisti, gli ospiti, gli esperti
[delle trasmissioni] devono reimparare ad adoperare la nostra bellissima
lingua" (p. 5), come se 'usare la lingua italiana con la presenza di
anglicismi' significasse 'non parlare l'italiano'. Ma così il nostro poeta confonde
il parlare la lingua nativa (arricchita di "prestiti" ovvero
"doni") con il parlare l'anglo-americano.
2. Un italiano "impuro"o
meglio l'anglo-americano?
Un lettore
del blog, il signor FALCONE, orgogliosamente (e invidiabilmente)
"ultraottantenne", come da lui puntualizzato, intervenendo il 6
gennaio sul mio citato art. 144, ha concluso che dinanzi a un italiano con
"sempre più invadenti barbarismi" non può augurare successo
all'operazione" da me auspicata ovvero "la promozione dello studio e
la diffusione della lingua italiana". Ma -- a suo giudizio -- è
"meglio che ci adattiamo tutti a parlare e a scrivere in inglese".
Io,
sinceramente, non rinuncerei mai all'italiano in quanto lingua nativa con
interferenze ovvero arricchita di voci straniere (anglicismi ed altro), accanto
al mio dialetto (siciliano). Né io potrei sostituire con l'anglo-americano che certamente
non si può ignorare per il suo prestigio politico-economico-scientifico e
culturale, ma che resta pur sempre lingua straniera, non-nativa, il mio nativo italiano,
lingua duttile e vitale in grado di soddisfare i miei bisogni
espressivo-comunicativo e cognitivi grazie anche ai 'doni' stranieri.
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