mercoledì 4 gennaio 2023

Sgroi - 144 - Promuoviamo lo studio e la diffusione della lingua italiana. E non più ideologie (destrorse) sull'italiano dinanzi all'anglo-americano



di Salvatore Claudio Sgroi

 

 

1. L'intervento ideologico del capo del governo ...


Giovedì 22 dicembre 2022, si è appreso in Internet dell'"intervento del premier [Giorgia Meloni] all'assemblea degli ambasciatori alla Farnesina". Questa la dichiarazione del primo ministro:

 

«Una cultura complessa e profonda che passa anche attraverso la nostra lingua. Tutti, a partire dalla sottoscritta, grande patriota, siamo travolti dalle parole straniere, dagli inglesismi, perchè la nostra è una lingua molto complessa. Utilizzare di più la lingua italiana significa utilizzare più in profondità la nostra cultura».

 

Diciamo che in questa asserzione, a metà passatista, il premier mette sullo stesso piano il ricorso agli anglicismi, che condanna in quanto "travolgerebbero", -- in realtà un arricchimento per l'italiano -- e l'utilizzazione della lingua italiana (macro-fedeltà linguistica), certamente da potenziare sempre più in Italia e all'estero.

 

2. ... e del ministro della cultura


"Il pesce...dalla testa" si potrebbe dire. Il 29 dicembre il ministro della cultura, Gennaro Sangiuliano, ha rilasciato un'intervista a Ernesto Menicucci sul "Messaggero" che riprende nel titolo un'affermazione del ministro:

 

«Usare parole straniere è snobismo radical chic. L’Italiano come identità».

 

Alla domanda dell'intervistatore:

 

"Anche a lei non piacciono le parole inglesi da usare al posto delle italiane, come ha raccomandato il premier Giorgia Meloni agli ambasciatori?",

 

questa la sua risposta:

 

«Credo che un certo abuso dei termini anglofoni appartenga a un certo snobismo, molto radical chic, che spesso nasce dalla scarsa consapevolezza del valore globale della cultura italiana. E anche della sua lingua, che invece è ricca di vocaboli e di sfumature diverse».

 

Dinanzi a tale affermazione ha avuto buon gioco il giornalista Mattia Feltri, che lo stesso giorno riguardo all'uso di due "doni", -- l'anglicismo radical chic e il francesismo adattato (non invero anglicismo) snobismo -- ha osservato su Huffpost:

 

"Fa ridere la sua difesa della lingua italiana con una frase che contiene due anglicismi: snobismo e radical chic. [...] Le lingue evolvono, e noi non possiamo farci niente".

 

3. Una Accademia della Crusca più autoritaria?


A sostegno della sua idea il ministro Sangiuliano ha menzionato anche l’Accademia della Crusca, che avrebbe voluto più "autoritaria":

 

«In Italia, ad esempio, non esiste un’autorità pubblica con poteri giuridici come sono ad esempio l’Académie française e il Conseil International, per la Francia, o la Real Academia Espanõla per la Spagna. Abbiamo, è vero un’istituzione prestigiosissima come l’Accademia della Crusca, fondata nel 1583, autorevole ma priva di strumenti giuridici».

 

E questo malgrado il presidente della Crusca, Claudio Marazzini, in una precedente intervista di Federico Guiglia del 27 dic., su "ilGazzettino.it", "Italiano nella costituzione, il presidente dell'Accademia della Crusca: «Lo Stato si faccia carico di far conoscere la nostra lingua», avesse espresso tutt'altra opinione. Alla domanda dell'intervistatore:

 

"Però in Spagna la Real Academia è un punto di riferimento imprescindibile per la lingua spagnola. Perché alla Crusca non si riconosce un ruolo analogo in Italia? O siete voi troppo timidi nel farvi avanti?".

 

Marazzini aveva infatti reagito con un realistico outing:

 

"In certi momenti anch'io avrei auspicato questo potere pubblico per l'Accademia ma, col senno del poi, dico che forse ci avvantaggia dare consigli, anziché imposizioni. Io stesso, influenzato dall'indicazione dell'Académie française, all'inizio mi ero intestardito con ingenuità nel dire la Covid. Ma la lingua è nelle mani dei popoli. E gli italiani hanno decretato il Covid."

 

4. Il presidente della Crusca dinanzi alle parole straniere


L'intervistatore F. Guiglia aveva invero incalzato il presidente della Crusca con una precisa domanda:

 

"Rispetto alle altre Nazioni-sorelle noi siamo i soli a non tradurre o rendere in italiano molte delle parole che provengono dall'inglese. Nella sanità la dose di richiamo è battezzata booster. Come spiega questo atteggiamento di sudditanza e di provincialismo da parte di chi rappresenta una lingua così antica, bella e ricca come l'italiano?".

 

La risposta di Marazzini era stata duttile, giustificando l'opportunità di una traduzione per garantire la chiarezza della comunicazione:

 

«Trattandosi di vaccinazioni la questione è ancor più delicata. Scegliere parole oscure per il popolo italiano non è vantaggioso: è una sciocchezza. Dipende da una evidente carenza scientifico-tecnologica di chi dimentica il suo modello. Nessun medico con radici umanistiche userebbe il booster per esortare gli italiani al richiamo. Dobbiamo riscoprire la fiducia nella nostra lingua. Tradurre è anche un modo per riflettere. Diceva Umberto Eco: la lingua dell'Europa è la traduzione».

 

Un problema, quello delle "parole oscure", che riguarda in generale anche le leggi, da lui sottolineato nella risposta a un'ulteriore domanda dell'intervistatore.

 

"Che cosa si può fare per pretendere che almeno le leggi vengano scritte in un buon italiano, anziché coi piedi?",

 

aveva chiesto l'intervistatore. Risposta:

 

«Farle rivedere dall'Accademia della Crusca. Ma in parte veniamo già consultati, per esempio dal comitato delle pari opportunità della Corte Cassazione per il linguaggio di genere e la chiarezza nella comunicazione sociale».

 

5. Promozione o difesa della lingua italiana?


Se il ministro Sangiuliano aveva insistito sul "gruppo di lavoro" della Crusca, indicato con il "bel nome latino, “incipit”, che prova a suggerire definizioni alternative italiane a definizioni straniere abusate nella comunicazione pubblica", Marazzini invece, rispetto alla strategia da adottare dinanzi alle parole straniere, aveva dichiarato che "il nostro approccio non debba essere difensivo, intimorito dall'aggressione dell'inglese o dai particolarismi, ma propositivo".

Trovava "perciò che il modello portoghese sia il più originale», in quanto, come sottolineato dall'intervistatore, "la lingua [è] da usare non solo in chiave difensiva, ma soprattutto in termini di promozione verso l’estero".

"Che cosa la convince dell'esempio portoghese?" lo stesso intervistatore aveva chiesto a Marazzini, ricevendo come risposta:

 

«Che il riferimento alla lingua sia inserito nei compiti fondamentali dello Stato, fra i quali rientra, appunto, l'assicurare l'insegnamento e la valorizzazione permanente, difendere l'uso e promuovere la diffusione internazionale della lingua portoghese. Un compito attivo, di promozione. Che compare fra quelli di garantire l'indipendenza nazionale e i diritti di libertà».

 

Ovvero, come evidenziato nel titolo dell'intervista, «Lo Stato si faccia carico di far conoscere la nostra lingua».

 

6. Il segretario della Dante Alighieri


Una strategia analoga a quella sostenuta nell'intervista di Federico Guiglia del 23 dic. su "Nuovo Quotidiano d Puglia.it" dal segretario della Dante Alighieri, Alessandro Masi, «Sì alla lingua italiana in Costituzione. E il mondo vuole poterla imparare»:

 

«Questo è un momento straordinario e alcune scelte possono contribuire ad aprire una nuova pagina linguistica – esordisce Masi –. Non riusciamo a coprire le richieste all’estero per l’italiano, che si moltiplicano nelle aree tradizionali del Mediterraneo e dell’America latina, così come in luoghi come Hong-Kong, Kuwait o San Pietroburgo».

 

"Il punto forte è la richiesta. E quello debole?" incalzava l'intervistatore, ricevendo questa risposta:

 

«Non si investe più nella formazione dei professori all’estero. Noi avevamo indetto un corso di formazione, ma siamo stati costretti a chiudere la piattaforma, perché non reggeva: 1.200 iscritti quasi subito. Presto tornerò in Brasile, dove 80 scuole hanno un interesse per la nostra lingua. Ma non si trovano più i docenti».

 

Alla successiva domanda dell'intervistatore:

 

"La svolta arriverà dalle scuole e dai centri linguistici italiani all’estero?",

 

questa la risposta conclusiva di Masi:

 

«La scuola è la grande sfida su cui puntare, come ricorda sempre il nostro presidente, Andrea Riccardi. Ma spesso sono scuole italiane “orfane”, cioè non hanno un padre istituzionale che le sostenga. Oggi l’insegnamento dell’italiano si salva se si certifica con parametri europei. L’epoca dei corsi improvvisati nel sottoscala non esiste più. Ecco perché è così importante un segnale dall’alto». 

 

Sommario


1. L'evento ideologico del capo del governo ...

2. ... e del ministro della cultura

3. Una Accademia della Crusca più autoritaria?

4. Il presidente della Crusca dinanzi alle parole straniere

5. Promozione o difesa della lingua italiana?

6. Il segretario della Dante Alighieri






5 commenti:

  1. Non credo di avercela con i termini stranieri - prevalentemente inglesi - per partito preso o, peggio, per precise ragioni ideologiche. Molti "inglesismi" sono ormai di uso comune, quindi praticamente insostituibili. Penso a computer (ma i Francesi insistono su ordinateur), marketing, email, design, ecc.
    Mi dà però molto fastidio trovarne infilati qua e là a sproposito. Esempi (li scrivo volutamente come li sento pronunciare):
    - per essere féscion, devo fare sciopping nell'autlet, o nello stor di un brènd trendi, acquistando abbigliamento cul [cool]; se mi provo una giacca, mando subito un selfi a mia moglie.
    - per star bene di salute, oltre a sottopormi periodicamente a un cecap, devo evitare lo stritfud, ma ricorrere al maindful iting, al fitness, con contorno di uolching, spinning, crossfit, parcur ... sperando che la palestra non sia soldaut.
    - la pandemia ha imposto il locdaun, con il conseguente smartuorching; fortunatamente è arrivato il buster; ma attenzione alle feic nius.
    Recentemente mi sono trovato di fronte un manifesto pubblicitario con la scritta "La box contiene: ...". Evidentemente avevano in mente la scatola, ma box ha preso il sopravvento.
    Il ministro ha usato l'espressione "radical chic": avrebbe dovuto dire "sinistra al caviale"? Si tratta però di un modo di dire usato in Italia sin dal 1971 (pare che la prima sia stata Lietta Tornabuoni), che ha assunto una connotazione di sbeffeggiamento o scherno, forse non apprezzata dal giornalista.

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  2. In pratica stanno dicendo di continuare così com'è ora, e si vedono tutti gli effetti di depauperamente della lingua. A che serve rafforzare l'insegnamento dell'italiano all'esteto per diletto, al pari di una lingua morta come latino e greco antico, se poi non viene parlata nella lingua di tutti i giorni? La lingua rimane viva se la parlano quotidianamente dei madrelingua, quanto è seconda o terza lingua non vale nulla. Come al solito i timori di difesa della lingua italiana passano per la paura dei linguisti e delle istituzione di sembrare passatisti, o nostalgini del Ventennio.

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  3. Prof. Salvatore Claudio Sgroi5 gennaio 2023 alle ore 17:26

    Con riferimento al sig. FALCONE sull'uso dei termini stranieri "a sproposito", per conto mio l'opportunità di usarli, per colmare vuoti lessicali dell'italiano o per ragioni di prestigio, dovrebbe tener conto, come nel caso delle sigle, della comprensibilità rispetto ai destinatari. Quanto al giornalista Mattia Feltri, se ho colto bene, non è che lui non apprezzasse "radical chic", ma evidenziava la contraddizione del ministro della cultura che si dichiarava contrario agli anglicismi, facendo però ricorso a un anglicismo.
    S.C. Sgroi

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  4. Prof. Salvatore Claudio Sgroi5 gennaio 2023 alle ore 17:28

    Riguardo all'intervento dell'ANONIMO lettore, non riesco sinceramente a condividere pressoché nulla. Sull'opportunità di ricorrere, con quale accortezza, agli stranierismi ho appena detto. Ribadisco quindi il mio punto di vista. 1) I contatti interlinguistici sono segno di vitalità. La "difesa" di una lingua è solo chiusura e "autarchia" di altri tempi. 2) Una lingua è viva se parlata da nativofoni, e ancor di più se è parlata da stranieri (o "allofoni"). Vedi l'INGLESE, stando a Internet: "Oggi, con circa 2 miliardi e mezzo di parlanti nel mondo, l'inglese è la lingua più parlata. Di questi anglofoni, ci sono quasi 400 milioni di persone che parlano inglese come prima lingua". Quanto alla LINGUA ITALIANA, "secondo Ethnologue (2020) è parlata da 68 milioni di persone, di cui 64,6 milioni circa sono parlanti L1 e 3,1 milioni circa sono parlanti L2. Tuttavia, ci sono fonti secondo cui il numero totale di italofoni, tra madrelingua e non, si attesterebbe sugli 80 milioni nell’Unione europea, senza contare i Paesi extraeuropei".
    S.C. Sgroi

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  5. Non credo che l'alternativa sia "Promozione o difesa della lingua italiana?" (titolo del 5° Paragrafo). Del resto il titolo dello scritto del prof. Sgroi è "Promoviamo lo studio e la diffusione della lingua italiana".
    Tornando alla pseudoalternativa, non si può promuovere una lingua se prima non si cerca di difenderla dagli usi impropri o errati, nonché dai sempre più invadenti barbarismi, introdotti a sproposito, laddove esistono vocaboli italiani noti a tutti, da coloro che parlano alla radio, alla TV e nei vari "social", al solo fine di mostrare la presunta "superiorità culturale" di chi vi fa ricorso.
    Le frasi che io ho riportato non sono frutto di fantasia: sono una sintesi brutale di quanto si può trovare in rete, cercando video o "post" su qualsivoglia argomento. Io mi sono limitato a cercare "fashion", salute e pandemia; dagli sproloqui in video di alcuni sedicenti esperti ho tratto "fior da fiore". Essendo ultraottantenne, conosco molte persone della mia età; quasi tutti parlano un buon italiano. Alcuni erano preoccupati perché avevano ricevuto la terza dose di vaccino, ma non il "buster"...
    Se questo è l'italiano che si intende promuovere e diffondere (anni fa, studiando il francese, l'inglese e il portoghese, avevo trovato utilissimo l'ascolto di trasmissioni radiofoniche in dette lingue), non posso augurare successo all'operazione. Meglio che ci adattiamo tutti a parlare e scrivere in inglese.

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