sabato 1 marzo 2014

Sull'uso "corretto" della preposizione «da»

Sul corretto uso della preposizione "da" non tutti i sacri testi - ci sembra - concordano. Cominciamo con il dire che detta preposizione non si apostrofa mai, salvo in alcune locuzioni avverbiali. È grave errore scrivere, per esempio, «case d'affittare», «polvere d'aspergere» e simili. Perché è un errore? È presto detto. Si potrebbe confondere - se apostrofata - con la sorella "di" (la sola legittimata a prendere l'apostrofo). Non scriveremo mai, quindi, «d'ognuno», «d'ieri» ecc., che non significano "da ognuno", "da ieri" ma "di ognuno", "di ieri". E veniamo all'uso corretto. È adoperata correttamente quando sta a indicare l'idoneità, l'attitudine, la destinazione d'uso di una determinata cosa: pianta 'da' frutto (destinata a dare frutta); bicicletta 'da' corsa (idonea per la corsa); sala 'da' pranzo (destinata per il pranzo). Non è corretto il suo uso (e va sostituita con la "di") quando si parla di una qualità specifica: una notte 'd' 'incubo; un ingorgo 'di' paura; una festa 'di' ballo. Si dovrebbe dire, quindi, «biglietto 'di' visita» (non da visita). C'è una regola empirica (non valida al cento per cento, ovviamente) che ci permette di non sbagliare sull'uso dell'una o dell'altra preposizione ('di' e 'da'). Quando la preposizione 'da' è seguita da un sostantivo che può essere sostituito con un aggettivo o con una proposizione relativa si "trasforma" in 'di'. Una notte 'da' favola, cioè una notte "favolosa", diventerà, correttamente, una notte 'di' favola; una notte 'da' re, vale a dire una notte "regale", sarà una notte 'di' re; un ingorgo 'da' paura, un ingorgo, cioè, che fa, che mette paurà, sarà un ingorgo 'di' paura. Non tutti i linguisti, però, concordano. Voi, amici, seguite il vostro "istinto linguistico", se le nostre modeste noterelle non vi convincono. 

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