martedì 25 gennaio 2022

Sgroi - 121 - Non dire mai "non esiste". A proposito di "splenduto"


di Salvatore Claudio Sgroi

 

 1. L'evento mediatico

Nel corso della domenicale tramissione su Rai-3 "Le parole per dirlo" del 12 dic. 2021, 10h20, Geppi Patota, grammatico e storico della lingua, -- oltre a giudicare esig-ito part. pass. del verbo esigere come errato, in quanto forma analogica non-etimologica, diversamente dal corretto esatto (su cui cfr. l'intervento 119 del 10 gennaio) -- ha anche ricordato il pp. di splendere ovvero splend-uto, giudicandolo non meno errato, anzi affermando "che non esiste" proprio.

 2. La disconferma di "splenduto"

L'espressione "non esiste" in bocca spesso ai (neo)puristi per giudicare -- senza alcuna esplicita motivazione -- "errato" un uso linguistico, richiama la tecnica indicata dagli psicologi nel rapporto con gli altri con il termine "disconferma", quando cioè si ignorano del tutto gli interlocutori, nei cui riguardi si nega anche il giudizio esplicito di dire "non sono d'accordo con te".

Nel caso specifico il "non esiste" equivale a dire non che splenduto è "errato", ma se ne nega l'esistenza, tout court. Il che è paradossale, perché in realtà la forma esiste, solo che non la si giudica degna di un esplicito giudizio di condanna.

 3. Vitalità di splenduto

Il ricorso a Internet e a "Google libri ricerca avanzata" consente in realtà di documentarne una certa vitalità e polisemia, tra usi propri e usi figurati, in  testi anche di personaggi illustri.

Intanto, la forma participiale splenduto è databile almeno dal 1598 con il noto John Florio: "SPLÉNDERE, SPLENDO, SPLENDEI, SPLENDUTO, to shine, to glister, to glitter, to be bright and beautifull. Also to have a very good grace or become passing well" (A Worlde of Wordes, a critical edition by ‎Hermann W. Haller, University of Toronto Press·2013, p. 674).

 

         3.1. Usi del '900 e del terzo millennio

Tra gli usi propri e figurati del '900 riportiamo:

 (i) Giuseppe Cosentino·1906: "‎coi loro incantesimi corruttori avevano sperato di poter sedurre la generosa coppia di amanti che è qui, e che aveva profferito il voto di non libare alle dolcezze del letto coniugale prima che splenduto avesse per loro la fiaccola d'Ismeneo" (Le commedie di Shakespeare, L. Beltrami, p. 237).

 (ii) Friedrich Nietzsche 1888 tr. it. 1908, 1910, rist. 2019: «Ci sono tante aurore che non hanno ancora splenduto»; questa scritta indiana sta sulla soglia del libro. Dove cerca il suo autore quel nuovo mattino, quel rosso tenero non ancora scoperto, con cui comincia ancora il nuovo giorno, ah! tutta una serie, tutto un mondo di giorni nuovi?" (Ecce Homo. Come si diventa ciò che si è, Bocca p. 89, e Blowing books 2019).

(iii) Renato Serra 1938 [av. 1915] : "coeli ardentis species affulserat, il cielo aveva splenduto come un mare di fuoco, Liv." (Scritti di Renato Serra, a c. di Giuseppe De Robertis, ‎Alfredo Grilli, Firenze, Le Monnier, vol. 2, p. 152).

(iv) Andrea Sorrentino 1927: "La vetta del suo nuovo edifizio, canta i funerali per l'idolo che sempre vivo era splenduto durante i travagli della sua mente. Si presenta, così , il problema di quanto Vico dovesse ad Aristotele e di quanto lo spogliasse" (La retorica e la poetica di Vico: ossia, La prima concezione, Milano, Bocca, p. 160).

 (v) Ernesto Balducci 1940-1945: "chi comincia a nutrirsi della sua riflessione immagina di scoprire ciò che non era conosciuto per lo innanzi; un nuovo sole ha splenduto" (Diari 1940-1945, ed. Maria Paiano, Firenze, Olschki 2002, vol. 1, p. 197).

(vi) Eugenio Pennati 1945: "se la questione etica e religiosa si fosse risolta in una suprema rinunzia , quella che fu la grande civiltà moderna dei popoli d'Occidente non avrebbe mai splenduto" (Fondamenti di una filosofia della politica, Istituto Editoriale Italiano, p. 144).

 (vii) Anne Fiedler Nossing 1948: "nel voltare in italiano 'noch in aller Glorie der Poesie blühte und glänzte' usa il participio passato “splenduto” che soltanto un Italiano del Trentino è capace di scrivere, ma che urta l'orecchio d'un Toscano" (Heine in Italia nel secolo decimonono, S.F. Vanni, p. 257).

(viii) 1955: "sui monti della Tracia e ai piedi dell'Olimpo, da quella civiltà che ha splenduto di sfolgorante luce sull'Acropoli , all'ombra del primo olivo, e che rifulse mirabilmente sull'Agorà, incamminandosi poscia per la stessa via sacra" (Redia, vol. 40, p. xvi).

(ix) Accademia toscana di scienze e lettere La Colombaria 1961: "Il sole coi raggi ha diffuso le vacche, la terra si è stesa ampia col dorso, il fuoco è splenduto sulla vasta superficie" (Atti e memorie, Firenze, Olschki, vol. 26, p. 110).

(x) Marialuisa Cicalese 1973: "l'insegnamento hegeliano - spaventiano sarà compreso nella sua parte migliore che «ha splenduto invano» innanzi alle menti di Marx e Labriola pur discepoli di Hegel e Spaventa" (La formazione del pensiero politico di Giovanni Gentile, Marzorati, p. 58).

 E per quanto riguarda il 2000:

(xi) Maurice Fay 2015: "I maghi avevano creato un nuovo sole per illuminare il mondo magico che avrebbe splenduto per sempre, alimentando il cristallo che la imprigionava" (L'Occhio di Alfin: La Saga dei Mondi Gemelli, Lulu com, p. 246).

(xii) Pier Francesco De Rui 2018: "Le perdite, le sconfitte morali, le sofferenze, li avevano segnati togliendo loro quel bagliore innocente di cui avevano sempre splenduto. La pelle del viso era dura, graffiata dal vento e segnata dalle ferite" (Il sentiero delle lacrime, Youcanprint, p. 430).

(xiii) Aldo Parisi 2018: "Il sole delle tenebre non avrebbe splenduto su questa terra. Né ora né mai" (Sumus Tenebris Solem, Youcanprint, p. 170).

(xiv) Angelo Santoro 2019: "Loro ti vendevano il sole, ti dicevano per te sarebbe splenduto un sole raggiante, anche se non riuscivi a fare a meno di vedere sopra la tua testa solo le nuvole di un cielo che più plumbeo non si può (Gattopardi. 70 storie di neosatira, Goware).

(xv) Alessandro Moscatelli 2020: "Sono certo che dopo la tempesta il sole tornerà a splendere come sempre ha spleso...splenduto... credo pioverà ancora un pochino, ma se dovesse accadermi qualche cosa [...] Quale ricordo lascerei?" (L’albero degli smartphone, Gruppo Albatros il Filo, e-book).

Ecc.

 3.2. Usi letterari del '400 e del '900

Quanto agli usi letterari, col Battaglia (vol. XVI, 1992) riportiamo un es. del '400 e due dannunziani del '900 (sub risplendere), ripresi questi ultimi anche nella BIZ (Biblioteca Italiana Zanichelli):

 (i) G. D'Annunzio 1905: "La luce è risplenduta / a noi per la tua forza" (La nave) (accezione n. 12).

(ii) G. D'Annunzio 1907: "Necessità del fuoco, hai risplenduto" (Canzone per la tomba di Giosue Carducci) (accezione n. 2).

 (iii) Amabile di Continentia '400: "È stata la iustizia che in te sempre è resplenduta" (accezione n. 7)

 4. E i puristi?

Qual'è al riguardo la posizione dei puristi e neopuristi?.

V. Ceppellini, Dizionario grammaticale (Istituto Geografico De Agostini 1962, VI ediz.) sotto splèndere riporta: "Part. pass.: splendúto (usato raramente)".

G. L. Messina, Dizionario dei neologismi, dei barbarismi e delle sigle (Angelo Signorelli 1983)

per splèndere fa presente che "È un verbo difettivo, perché non ha il p.p. e quindi i tempi composti"; al pari di incombere "difettivo, perché non ha il p.p. e quindi i tempi composti". Ma per risplendere osserva che "non si adopera nei tempi composti, perché il p.p. risplenduto è ormai disusato".

Per S. Novelli, Si dice? Non si dice?. Dipende (Laterza 2014), la risposta iconica riservata a "Splenduto, risplenduto" è invece prescrittiva: non sono né da scrivere né da dire (p. 108).

 4.1. La lezione anti-puristica del purista Aldo Gabrielli

Per converso stupisce 'alla grande' A. Gabrielli [1898-1978] in Si dice o non si dice? (Milano, Club degli Editori 1976) che, ampliando l'analisi ad analoghi verbi presuntivamente "difettivi" come risplendere e soccombere, non si può non condividere, su tutta la linea:

"come tutti gli altri verbi della seconda coniugazione [...] hanno il participio passato in -uto: quindi, [...] splendúto, risplendúto [...], soccombúto" (p. 210): forme "corrette [...], non ci son santi" (ibid.); "e fanno male, malissimo i dizionari e le grammatiche a ignorarle, e peggio a dire che non esistono affatto" (ibid.).

L'autore è peraltro attento anche agli usi reali, sottolineando che "Esempi di questi 'brutti' participi, non mancano, soprattutto presso gli antichi, ma neppure i moderni li hanno sempre ignorati" (ibid.). E ricorda che "Il D'annunzio usò moltissime di queste forme; una per tutte, dalla Canzone per la tomba di Giosue Carducci: 'Necessità del fuoco, hai risplenduto!" (p. 211).

Conclude con un monito: "i dizionari smettano di dar l'ostracismo a questi participi" (ibid.).

Ma prima, nell'ambito dell'educazione linguistica, suggerisce agli studenti la tecnica dell'evitamento per non farsi "fregare" da insegnanti iper-tradizionalisti:

"Capisco che un ragazzo di dodici anni rifacendosi a questi esempi letterari potrebbe andare incontro, nel migliore dei casi, a un fregaccio rosso dell'insegnante: ma per uno scolaro c'è sempre modo di evitar questi rischi. Nel vocabolario italiano c'è tanta varietà di parole e di forme che resta solo l'imbarazzo della scelta: 'Il sole ha risplenduto tutto il giorno': diciamo che 'ha brillato' e siamo a posto" (ibid.), ecc.

Nell'omonimo, ma diverso, Si dice o non si dice (Mondadori 1969), Gabrielli si sofferma solo su soccombuto, con diversa opinione. Alla domanda "se esiste il participio passato del verbo soccombere" (p. 245) la risposta è: "Sì, esiste, è soccombúto." seguito dall'osservazione "Ma nessuno, credo, lo ha mai usato" (ibid.), con la precisazione del criterio perché tali forme possano essere giudicate corrette: "non credo che abbiamo esempi letterari per sostenersi" (ibid.). In realtà, usi letterari al riguardo non mancano, come i 2 seguenti dell'800, riportati nel Battaglia (vol. XIX, 1998), che definisce il "part. pass. rar. soccombuto":

(i) A. Rosmini av. 1855: "quella loro volontà (....) sarebbe soccombuta"; e

(ii) F. Petruccelli della Gattina av. 1890: "Il suo fez di velluto ha soccombuto alla fine (...), ed è scomparso".

In maniera sobria lo stesso Gabrielli nel suo Dizionario linguistico moderno (Mondadori 1956, 19693) aveva scritto sotto splèndere: "splendúto, raro nell'uso" (p. 1123); risplèndere: "risplendúto, raro" (p. 1062); soccόmbere: "soccombúto, raro" (p. 1108).

Il Grande Dizionario Illustrato della lingua italiana di A. Gabrielli, a cura di Grazia Gabrielli (Mondadori 1969) sub splèndere indica: "pp. splendúto, ma rariss., e perciò rari anche i tempi composti"; sub risplèndere: "risplendúto, raro"; sub soccόmbere: "pp. raro soccombúto".

Sulla stessa linea A. Gabrielli, Si dice o non si dice?. Guida all'italiano parlato e scritto, nuova ediz. a c. di Paolo Pivetti, con la coll. di Grazia Gabrielli (Hoepli 2009): "verbi col participio passato, diciamo così, raro" (p. 266) sono splenduto, risplenduto, soccombuto, che "non sono forme sbagliate: sono soltanto così poco frequenti da metterci in imbarazzo" (ibid.).

A. Gabrielli, Dizionario della lingua italiana (C. Signorelli 1993) sub splèndere: "raro splendúto; raro nei tempi composti"; risplèndere "si coniuga come splèndere"; sub soccόmbere: "raro soccombúto".

A. Gabrielli, Grande dizionario Hoepli italiano, a c. di M Pivelli e G. Gabrielli (Hoepli 2008): splendere: "raro splendùto; raro nei tempi composti"; risplendere "si coniuga come splèndere"; sub soccόmbere: "raro soccombùto".

 

5. Altri dizionari

A metà strada è lo Zingarelli 2021 sub risplèndere: "rari e lett. il part. pass. risplendùto e i tempi composti"; per soccombere: "part. pass. raro †soccombùto"; invece per splèndere: "difett. del part. pass. e dei tempi composti".

E analogamente Sabatini-Coletti 2007 sub risplèndere: "non com. il part. pass. risplenduto"; sub soccombère: "part. pass. ant. soccombuto, oggi non in uso"; invece sub splèndere: "manca del part. pass.".

 

Sommario

1. L'evento mediatico

2. La disconferma di "splenduto"

3. Vitalità di splenduto

3.1. Usi del '900 e del terzo millennio

3.2. Usi letterari del '400 e del '900

4. E i puristi?

4.1. La lezione anti-puristica del purista Aldo Gabrielli

5. Altri dizionari







 

 

                                                                                         




 

(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi: saranno prontamente rimosse)



18 commenti:

  1. Questo articolo dimostra che le "lezioni" impartite dal Patota a spese dei tassati Rai sono essenzialmente lezioni di fantagrammatica. Cosa impara un giovane che vede "Le parole per dirlo"? Che la conoscenza dell'italiano raggiunge l'apice quando un professorone spacca il capello in quattro su minuzie lessicali (sbagliando, per giunta!)?

    Vorrei fare vedere una trasmissione di quel tipo a mio figlio, ma non lo faccio. Se il goal è farlo appassionare alla lingua italiana, lo spettacolo messo in scena dal duo Patota-Valle è controproducente: oltra a essere più spesso che no pallosissimi, raccontano cose inutili e a volte persino opinabili (come dimostrato da questo articolo).

    Patota usa la sua presenza in Rai per promulgare una visione personale di cosa (secondo lui!) dovrebbe essere l'italiano. Ditemi. Lo hanno eletto re dell'italiano e non me ne sono accorto?

    L'unica nota positiva della trasmissione in cui il professore si esibisce è la presenza della splendente, quella sì, Noemi Guerrero, che vedrei bene nel ruolo di Beatrice in un film sulla Divina Commedia. Per Patota un ruolo come dannato all'inferno. Ottava Bolgia. Consiglieri fraudolenti.

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    1. @ Luca
      Concordo con lei su tutto.
      Solo una nota, che spero voglia cogliere bonariamente: l'ultimo capoverso, già scritto (identico o quasi) in un altro suo commento.
      Vittorio Pepe

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  2. Faccio mie tutte le parole di Luca.

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  3. @Vittorio
    Credo proprio di no, o meglio, l'altro commento non esiste più. Quello che è successo è che un articolo di questo blog era stato cassato da Google per motivi a me assolutamente opachi. Venuto a conoscenza di ciò e del fatto che l'articolo era stato nuovamente proposto, sono intervenuto per inserire ancora il mio commento.

    Il fatto è che tutti questi professoroni che si danno arie da scienziati della lingua (mi riferisco a Patota) non sono stati in grado di creare le basi della loro disciplina. Rilasciano giudizi su cosa è corretto e sbagliato in italiano come se fossero sacerdoti supremi del sacro idioma. Poi quando uno guarda ai motivi a sostegno di questi loro giudizi, ci si accorge che si tratta di un gioco delle tre carte a sostegno di quelle che sono sostanzialmente opinioni personali (ora l'etimologia, ora l'uso, ora l'opinione di un altro professorone che era stato loro maestro, ora questo o quel vocabolario, ora il gusto personale). Questo non ha però impedito negli anni agli alti prelati di istigare un esercito di frustrati scassapalle sempre pronti all'attacco, frustrati leoni da tastiera in aguato costante e pronti a intervenire online per ogni divergenza (volontaria o no) rispetto ad una norma che non è mai stata definita formalmente da nessuna istituzione.

    Si salva il professor Sgroi, per un motivo semplice: è coerente. Se le lingue degli uomini funzionano così e la norma la fa l'uso, allora abbiamo una base un pò più seria per parlare di "errori", che poi spessissimo non sono errori, ma squarci che permettono agli scienziati della lingua di ragionare sui processi mentali dei parlanti e non sulle supercazzole tipo SPLENDUTO che non esisterebbe.

    Qui siamo nel 2022 e ancora la scuola italiana mette sull'altare le regolette ortografiche borghesi del secolo scorso, con schiere di gente pronta a urlare all'analfabetismo di ritorno per un accento o un apostrofo. Bene, la comprensione dei numeri sul Covid ha dimostrato che anche italiani con istruzione superiore sono analfabeti totali quando si tratta di capire statistiche e dati, confondendo allegramente migliaia, milioni e miliardi, per non parlare delle proporzioni.

    Cara Rai, togliete Patota e mettette qualcun'altro. Qualcuno che faccia davvero venire ai giovani la voglia di leggere, di scrivere e di ragionare sulla lingua.

    PS: sì, ho scritto pò e qualcun'altro. Qual'è il problema?

    Luca Passani


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    1. Concordo nuovamente su tutto e la ringrazio per la risposta.
      Quanto alla mia osservazione sul suo precedente commento: era bonaria e, comunque, non sapevo che fosse stato cassato.
      Nessun problema (per come la vedo io) sui suoi "pò" e "qualcun'altro": fanno parte della coerenza di cui lei ha parlato, coerenza sconosciuta a molti, purtroppo.
      Vittorio Pepe

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  4. @Vittorio

    nessun problema. Anzi, sono contento che qualcuno legga cosa scrivo. Se poi chi legge è anche d'accordo con me, stappo pure una lattina di Coca-Cola per festeggiare. Saluti.

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  5. Gentile sig. Luca,

    anche io leggo sempre con attenzione quanto scrivono gli altri: c'è sempre qualcosa da imparare. Non mi è sfuggita la sua frase "... frustrati leoni da tastiera in aguato costante ...". Effettivamente già il Boccaccio aveva scritto "... in un bosco si ripuose in aguato". Anche Dante lo scrive così. Io, sarà un vezzo, lo preferisco con due "g".

    P.P. Falcone

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    1. @ Falcone
      "Aguato" è attestato nel vocabolario della Crusca e nel Treccani (tanto per citare fonti qui comunemente ritenute attendibili); oltre a Boccaccio, citato da Luca, anche Dante usa "aguato" nella Divina Commedia.
      Vittorio Pepe

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  6. I vocabolari danno due G di agguato come versione più moderna della parola, ma io l'ho sempre pronunciata non geminata e quindi la scrivo anche così. Per lo stesso motivo scrivo acceLLerare con due L. Io, come la maggioranza degli italiani del resto, così pronunciamo quella parola.

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  7. Mi correggo: Boccaccio e Dante sono stati citati da Falcone, non da Luca.

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  8. @ Pepe
    La ringrazio per aver riletto quanto da me scritto. Anch'io consulto abitualmente Crusca e Treccani, pur non essendo un linguista, bensì un semplice curioso.

    @ Luca
    Per cortesia, non se la prenda! Credo di averla messa in buona compagnia (Dante e Boccaccio) a proposito di "aguato". Ho solo aggiunto che io preferisco la versione "agguato". Né mi sento per questo in colpa: semplicemente, sono avvezzo ad un lessico meno attempato.
    Le suggerisco però di non esagerare: è vero che molti Italiani (preferisco usare la maiuscola, ma non intendo imporla) - anche se non la maggioranza, come lei sostiene - dicono e scrivono "accellerare"; però nessuno dice "cellere" (agg.) e "cellermente" (avv.), come nessuno osa chiamare "Cellere" il corpo speciale di Polizia. Mancano forse di coerenza?
    Del resto, molti Italiani dicono "areazione" (delle aule scolastiche), "areoporto", "Areonautica militare", "perchè", "presempio", "metereologia", e così via. Un noto conduttore televisivo (presumibilmente colto) dice abitualmente "a me non mi convince", "a me mi persuade", "a me mi colpisce", ecc.; trasferendo ai verbi transitivi il malvezzo degli intransitivi ("a me mi piace").
    Do per scontato che l'uso reale possa generare una Regola-2 (cfr. Prof. Sgroi); ma in molti di questi casi si tratta di "abuso".

    P.P. Falcone

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  9. @Falcone

    Prendermela? Ma non scherziamo. Rispetto a certe situazioni che si verificano sui social (specialmente Twitter, complice l'anonimato dietro cui il 90% degli intervenenti si cela), qui sembra di essere in un incontro della Royal Society.

    Venendo al merito, tendo a essere in disaccordo: una lingua vera è fatta di variazioni e le variazioni non sono a compartimenti stagni. Quando vedo un purista "I shoot from the hips" (sparo dalla fondina, senza neanche sfoderare, come ai tempi del far west). Chi si trova a parlare una lingua che non è quella nativa, sa bene che quello purista è un approccio sterile.
    Coerenza? Che concetto sopravvalutato! Ma qui si apre un discorso che non finirebbe più.

    Pluggo un mio articolo su questi argomenti scritto per La Voce di New York.

    Infine, segnalo anche "salsiccia" che la maggior parte degli italofoni, me compreso, pronuncia "salciccia" per qualche incomprensibile motivo.

    Luca Passani

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    1. Provo a inserirmi nella amabile conversazione su salsiccia. Potrebbe essere che ai bambini piccoli le mamme indicano carne con il termine cicci ? Che nel Friuli Venezia Giulia è abbreviazione di un tipo di carne che chiamano cevabcici ?

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  10. Ho detto in precedenza che leggo con attenzione tutti i contributi, perché c'è sempre da imparare. Quando però leggo scritti polemici, o di qualcuno che "shoots from the hips", chiudo il comprendonio. Non capisco manco bene se la lingua "non nativa", nel suo caso, sia l'italiano o l'inglese.
    Anch'io dico a volte salciccia, quindi non ho appreso nulla anche a questo proposito. Vuole avere ragione a tutti i costi? Va bene: gliela concedo, ma non la prendo ad esempio. Si consoli pure scrivendo per La Voce di New York.

    P.P. Falcone

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  11. @Falcone,

    nessuna pretesa di avere ragione, ma solo quella di esprimere la mia modesta opinione basata sulle (poche) cose che capisco di come funzionano le lingue. L'inglese è la nuova lingua globale. Va saputo. Fine. Secondum non datur. Se una frase in inglese risulta oscura, consiglio di andarne a cercare il significato piuttosto che lamentarsi. Sarebbe come se un abitante di qualche villaggio della Liguria di 2000 anni fa si fosse rifiutato di imparare il latino: ci si fa del male da soli.

    Comunque non era questo il caso, perché ho messo la traduzione a fronte e un proverbio così visivamente simpatico in italiano non c'è (sparo a vista? mmmm).

    Se uno mi dice che è purista, mi fa lo stesso effetto di chi mi dice di essere novax: deve guarire da quella specie di malattia mentale. Non ci sono alternative possibili. Goodbye.

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  12. Basta così. Non sono un purista, né voglio che mi spari. Anch'io non considero i novax, ma neanche chi si arroga il diritto di innovare le lingue a suo piacimento. Non innovi però anche il latino: è una lingua morta (si diceva "secundum").
    Buona fortuna, e attento: è sempre possibile trovare uno più svelto con la pistola.
    Da parte mia, non riceverà più risposte: non ne vale la pena.

    P.P. Falcone

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  13. @Falcone

    A Falco', è già la secunda volta che dici che non mi rispondi e invece sei ancora qui a correggere le lingue morte. Ma chi si ne frega del latino? Chi sei tu per dire che non posso innovare la mia lingua a mio piacimento? Certo che posso: è la mia, ci faccio quello che voglio per raggiungere la capacità espressiva di cui ho bisogno. Miei gli onori e gli oneri. Del resto, cosa vuoi farci? Chiamare i carabinieri? Denunciarmi alla Crusca? Già giocano a freccette con la mia effige come bersaglio lì.

    Tu quoque, piuttosto, dici di non essere purista e invece trasudi purismo da ogni sillaba. Dai, non ti nascondere dietro un dito...
    Ps: almeno una cosa dimmela, dimmi che hai più di novant'anni, ti prego.

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