Se non ricordiamo male, abbiamo sempre sostenuto - da questo portale - l’importanza della “scienza etimologica” e abbiamo esecrato il fatto che questa “scienza” non sia tenuta nella dovuta considerazione: la scuola - per quanto ne sappiamo - la ritiene, nei migliori dei casi, la cenerentola della grammatica. Non deve essere cosí, amici amatori della lingua. Questa scienza ci fa scoprire delle cose... sorprendenti. Ci fa scoprire, per esempio, che ciò che state leggendo in questo momento (immaginate che sia una pagina di un giornale cartaceo o di un libro) ci riporta al mondo rurale. La pagina, infatti, non è altro che il latino “pagina(m)”, derivato del verbo “pangere” (piantare, conficcare). I nostri antenati Romani chiamavano “pagina” una pianta, specialmente di viti. Questo stesso nome fu dato, in seguito, a un “insieme di righi di scrittura” e, per estensione, al foglio di carta che li conteneva. Perché? Il motivo è piú semplice di quanto si possa credere: per coloro che erano abituati ai lavori agricoli il foglio scritto appariva simile a un... campo con tanti filari. Da pagina abbiamo la “pagella”, cioè una “piccola pagina” dove sono riportati i voti ottenuti dagli studenti in ogni materia. C’è ancora qualcuno che sostiene la “barbosità” dell’etimologia?
E veniamo al solecismo. Il termine non è - come il suffisso “-ismo” farebbe pensare - una disquisizione filosofica sul... sole; il vocabolo, da non confondere con il barbarismo, è un grossolano errore di grammatica, di pronuncia e di sintassi. Proviene, manco a dirlo, dal greco “soloikismòs”, derivato dalla città di Soli, in Cilicia, dove si parlava un greco assai scorretto. I Greci, dunque, chiamarono “solecismi” tutte quelle parole che nella pronuncia, nella grafia e nei vari costrutti non rispecchiavano la “purezza” della lingua. Il termine è poi giunto a noi con lo stesso significato: grossolano errore. Sono solecismi, vale a dire veri e propri errori, per esempio, “piú meglio”, “a gratis”, “vadi”, “venghi”, “un’uomo”, “coscenza”, “soddisfando”, “stassi”, “se mi darebbero”, “ce n’è molti”, “la meglio cosa”, “qual’è” (questo, però, è un caso controverso, come anche un po'/pò), “ci ho detto”, “gli uovi”, “è bello come tu”, “autodròmo”. Potremmo continuare ancora essendo molti i solecismi riferiti alla pronuncia: “zàffiro” in luogo di “zaffíro”; “rùbrica” invece di “rubríca”; “leccòrnia” in luogo di “leccornía”; “guàina” in luogo di “guaína”; “mòllica” invece di “mollíca”; “pesuàdere” al posto di “persuadére”. Potremmo andare avanti, ma non vogliamo tediarvi oltre misura e offendere i vari “oratori” che dai numerosi salotti televisivi ci “propinano” i loro sfondoni immortalati anche nei libri, che le persone accorte in fatto di lingua non compereranno mai.
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La parola proposta da questo portale: biatanasia. Sinonimo di suicidio, è termine aulico in quanto sostantivo composto con le voci greche "bia" (violenza) e "thanatos" (morte). Da "biatanasia" si ha biatanato, cioè il suicida.
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La lingua "biforcuta" della stampa
IL RACCONTO
Violenze di Capodanno
in piazza Duomo a Milano, una delle vittime: “Mi toccavano ovunque, ho avuto
paura di morire”
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"Piú corretto": dappertutto. Per quanto attiene all'uso di "ovunque" si veda qui. Si veda, anche, questo vecchio intervento.
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Zaino “sospetto” davanti la Procura di Catanzaro, intervengono artificieri
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Correttamente: davanti alla. Si costruisce con la preposizione semplice o articolata "a". Qui.
(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico,
quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi: saranno prontamente rimosse)
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