mercoledì 19 gennaio 2022

Anche i verbi si "alterano"


 Come avviene per i sostantivi e gli aggettivi, anche il verbo, cioè la “parola principe”, può subire modificazioni piú o meno profonde che giungono fino ad alterarne il significato. Anche il verbo, insomma, può subire quelle alterazioni (accrescitivi, diminutivi, vezzeggiativi) cui possono essere “vittime” i nomi e gli aggettivi. Le desinenze, vale a dire le “parti finali” del verbo non consentono, però, l’utilizzo di quelle alterazioni (“ello”, “accio”, “one” ecc.) proprie dei sostantivi e degli aggettivi. Ma la nostra lingua non si “arrende” e ricorre a suffissi e prefissi atti ad attenuare o a rafforzare l’azione espressa dal verbo. I verbi cosí alterati sono detti “frequentativi” o “intensivi” perché esprimono un’azione ripetuta o compiuta a gradi di un altro (verbo) da cui derivano. Sono, per tanto, formazioni alterate, mediante prefissi o suffissi, di un verbo principale. “Sbattere”, per esempio, è la forma frequentativa, cioè “alterata”, di ‘battere’ e vale “battere piú volte”. 

Tutti i verbi transitivi o intransitivi, inoltre, possono assumere significato frequentativo se, posti al modo gerundio presente, si fanno precedere e reggere da “venire” o “andare”: veniva cantando allegramente; andava dicendo le stesse cose. I verbi frequentativi propriamente detti, però - come si accennava all’inizio di queste noterelle - sono quelli derivati da una forma “primitiva” con l’aggiunta di prefissi o suffissi che conferiscono al verbo stesso, appunto, valore frequentativo. Vediamo, ora, la “meccanica” di tali verbi. Quelli piú comuni sono rappresentati dalle ‘preposizioni prefissali’ e  ─ sarà bene ricordarlo ─ richiedono il raddoppiamento della consonante iniziale del verbo che alterano: contraddire; sopraggiungere. Altre, invece, subiscono esse stesse qualche leggera trasformazione: coabitare (con-abitare); immettere (in-mettere).

 Numerosissimi sono i prefissi di diretta provenienza latina che concorrono all’alterazione dei verbi, basti pensare, per esempio, ai prefissi “ante-”; “post-”; “ex-”; “trans.”. Detti prefissi chiariscono, il piú delle volte, il significato del verbo che alterano dando l’idea, per esempio, della ‘precedenza’ (anteporre, porre innanzi), della “antitesi” (contrapporre, porre contro), della “derivazione” (esporre), della “posizione intermedia” (frapporre), della “sottomissione” (sottoporre), della “ripetizione” (riporsi), del “trasferimento” (trasporre). Si faccia attenzione, però, perché qualche prefisso può trarre in inganno le persone sprovvedute in fatto di lingua. I prefissi “dis-” e “s-” possono alterare il verbo in modo intensivo o negativo; occorre prestare molta attenzione, quindi, per non prendere delle clamorose cantonate: “disperdere” è l’intensivo di ‘perdere’, mentre “sfiorire” è il “negativo” di ‘fiorire’. 

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La parola proposta da questo portale: allofilo. Sinonimo di "forestiero". Termine aulico essendo composto con le voci greche "allos" (altro, diverso) e "phyle" (gente).


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"Kingmaker"

Riceviamo e pubblichiamo

Ormai, in tutte le ciance sulle prossime elezioni del Presidente della Repubblica, si sente parlare di kingmaker. Però l'art. 1 della Costituzione "più bella del mondo" (sarebbe meglio al mondo) recita: "L'Italia è una Repubblica democratica ...".

Il termine kingmaker invece evoca chiaramente un re, altro che repubblica; forse perché abbiamo avuto sul Colle un "re Giorgio"?

Ciò che più mi infastidisce è l'idea che ci possa essere un individuo (il "maker") che lo piazza sul trono. Altro che democrazia!

Ma tant'è: i nostri giornalisti, opinionisti, commentatori e - in generale - professionisti della parola, quando si innamorano di un'espressione, specie se in lingua inglese, la ripropongono in continuazione, senza badare al significato. Immagino che la usino anche quando fanno sesso con il (o la) partner.

Per chi vuole davvero la democrazia non c'è scampo: non resta che trasferirsi in Gran Bretagna. Là c'è davvero la monarchia, il che rende inutili da tempo i kingmakers; ma c'è anche un Parlamento democraticamente eletto che funziona meglio di quello italiano (d'accordo, ci vuole poco).

Pier Paolo Falcone


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La lingua "biforcuta" della stampa

LA STORIA

Elodie, nel foggiano per un film, contattata per salvare 8 cuccioli abbandonati: una sua foto sui social e il gioco è fatto

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Correttamente: Foggiano ("F maiuscolata"). I nomi che indicano un'area geografica si scrivono con l'iniziale maiuscola.

 



(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi: saranno prontamente rimosse)


15 commenti:

  1. Ha ragione, dottor Raso. In italiano con gli affissi si possono formare moltissimi verbi. Attinenti al verbo bere qui alcuni verbi: ribere, sbevucchiare, sbevazzare, strabere, bevicchiare, abbeverarsi,ecc.

    Ora, se penso al numero complessivo di questi verbi, ciascuno moltiplicato per duecento circa (persona, Modo verbale, Tempo verbale, ecc,) e se penso anche alla loro combinazione, con il pronome soggetto assente, preposto, o posposto, francamente, con tanta abbondanza, non sento il bisogno di ricorrere ad altre lingue per esprimermi.

    Ho preso a mo' di esempio il verbo bere ma, con un po' di creatività, si potrebbe usare all'uopo un verbo al momento inesistente, anzi direi mancante,come democratizzicchiare. Fatto questo, se lo accostassimo all'altro verbo inesistente fascisticchiare, uno si accorge che tra democratizzare e fascistizzare c'è molta più differenza che non tra democratizzicchiare e fascistizzicchiare.

    Renato P.

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    1. Si è chiesto, per caso, quanto sia difficile pronunciare i due vocaboli che propone ("democratizzicchiare" e "fascistizzicchiare")?
      Vittorio Pepe

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  2. @ Falcone
    Partendo da "kingmaker", lei percorre il sentiero del sarcasmo, persino un po' volgare (non sono un collegiale, ma il riferimento al "fare sesso" è banale e inopportuno, poiché non strappa neanche un sorriso) e giunge, infine, alla conclusione : trasferiamoci in Gran Bretagna.
    Prego, dopo di lei.
    Vittorio Pepe

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  3. Signor Pepe, mi occupo di traduzioni dal giapponese all'italiano e viceversa. Tale lavoro mi ha portato anche a contatto della lingua cinese, che tra l'altro sto provando a studiarla.

    Ogniqualvolta che sento dire o leggo commenti riguardo la lunghezza di una stringa lessicale, la pronunciabilità di una parola, o la tortuosità di una circonlocuzione sorrido pensando alla brevità degli ideogrammi.

    In particolare, la Sua osservazione, legittima, mi ha fatto ricordare la domanda di un Giapponese quando mi chiese il perché della lunghezza dell'espressione "Stagione delle piogge" quando in giapponese è molto breve:梅雨.

    Signor Pepe, mi scusi la risposta banale ma tutto è relativo.

    Una parola poi possiamo scriverla e lasciarla lì scritta, anche senza leggerla ad alta voce né usarla per comunicare verbalmente, ma solo per esternare un proprio pensiero.

    Renato P.



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    1. Non capisco il nesso tra la mia osservazione e la sua risposta, ma devo essere duro di comprendonio.
      Vittorio Pepe

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    2. Probabilmente la mia risposta non è giunta a destinazione.
      Non dubito della qualità delle sue traduzioni dal giapponese all'italiano, ma sommessamente la invito a rileggere il suo commento e...
      Evito la matita rossa, per coerenza con quanto ho espresso qui in altra occasione.
      Vittorio Pepe

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  4. Gentile signor Pepe,

    chiedo scusa a lei e a tutti coloro cui ho dato fastidio col mio scritto, un po' troppo pesante. Il mio scopo era semplicemente sottolineare il fatto che non si riesce più a parlare di cose serie (ma vale anche per quelle facete) senza infarcire il discorso di vocaboli ed espressioni inglesi, spesso usati a sproposito. Forse al solo scopo di mostrare all'ascoltatore la propria "superiorità" culturale.
    Ho scritto quanto da lei criticato sull'onda dell'indignazione, avendo sentito poco prima una conversazione - sulla prossima elezione del Presidente della Repubblica - zeppa, oltre che del vituperato "kingmaker", di "premier", "tweet", "leaders" (dei partiti), "green pass" (per i grandi elettori in arrivo dalle isole; come se chi va in aereo a Roma da Milano non dovesse averlo) e "bookmakers" (Quirinale o ippodromo?).

    P.P. Falcone

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    1. Non c'è bisogno che chieda scusa a me (e, ritengo, neanche ad altri), ma al suo "sé stesso" migliore, di cui non dubito minimimamente.
      L'indignazione non dà mai buoni frutti e il suo scritto, a mio avviso, ne è la prova.
      Vittorio Pepe

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  5. Signor Pepe, se la mia risposta è stata fuorviante me ne scuso.

    Ritorniamo alla Sua domanda:

    Si è chiesto, per caso, quanto sia difficile pronunciare i due vocaboli che propone ("democratizzicchiare" e "fascistizzicchiare")?

    No, non me lo sono chiesto.

    Renato P.

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    1. Non se lo è chiesto? Nessun problema, ma - premesso che a mio avviso stiamo facendo ragionamenti di lana caprina-
      almeno potrebbe spiegarmi la differenza tra "democratizzare" e "democratizzicchiare", tra "fascistizzare" e "fascistizzicchiare"?
      Vittorio Pepe

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  6. Signor Falcone24, nell'articolo che Lei menziona io ci vedo l'ennesima occasione per usare espressioni inglesi, unicamente espressioni inglesi. Mai che una volta, tanto per cambiare antifona, venissero usate espressioni di altre lingue! Eppure ce ne sarebbero tante! Faiseur de rois; Königsmacher; Kral yapıcı; Fazedor de reis; صانع الملوك; Делатель королей; Ecc. (esempi presi da Wikipedia)

    A me pare che per alcuni l’uso dell’inglese sia finito col passare dall’essere una moda, all’essere un bisogno impellente, infine a diventare un disturbo compulsivo. Per altri invece dev'essere un ordine dall'alto. Chissà.

    A me le lingue piacciono tutte, anzi piacevano, piacevano perché con tutto questo infarcimento di inglese alla fine quest’ultimo me l’hanno fatto restare sulle scatole. Perché il troppo stroppia.


    Chiudo qui il mio intervento con questa frase.

    Nel mondo ci sono tante culture e tante lingue. Non lasciamo che ne prevalga una a scapito delle altre.
    Italiani, studiate l'arabo, le lingue del Medio Oriente, le lingue dell'Asia Centrale, le lingue africane.

    Renato P.


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  7. Gentile Renato P.,

    premesso che non credo di aver menzionato un articolo, ma una conversazione (o dibattito?) radiofonica, apprezzo il suo sforzo teso a mostrarmi che nel Mondo non si parla solo l'italiano, e che lei conosce pure i caratteri NON latini.
    Non credo però che sia opportuno - parlando alla radio o alla TV a milioni di Italiani - sostituire l'inglese con altre lingue straniere: più del 50% degli ascoltatori fatica a comprendere appieno l'italiano! Salvo voler mostrare al pubblico la propria "vasta cultura", facendone una questione di "élite, gotha, high society, intelligencija, элита, seçkinler, अभिजात वर्ग", ecc.; in contrapposizione a plebe, popolino, popolo bue, massa di ignoranti; per non dire feccia.
    Ovviamente lo si può fare se lo scopo dichiarato della trasmissione è l'insegnamento delle lingue straniere (una per volta, per favore); ma NON parlando dell'elezione del Presidente della Repubblica, per definizione (almeno si spera) di "tutti gli Italiani".

    P.P. Falcone

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  8. Signor Falcone, certamente anch'io sono d'accordo sul fatto che la lingua deve essere l'italiano. Conversazione, articolo o altro che sia, deve essere in italiano per gli Italiani.

    L'osservazione che volevo fare è che trent'anni fa ancora si poteva trovare in qualche giornale o rivista qualche termine specialistico preso a prestito dal tedesco, sulla filosofia, dal francese, sulla moda o sulla cucina, o da altre lingue ancora, su altri temi.
    Oramai sembra stabilito che le parole straniere in bocca italiana devono provenire solo dall'inglese e per giunta non devono essere adattate. Al che mi oppongo, per salvaguardare l'italiano assieme alle altre lingue.

    Renato P.

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  9. Signor Pepe, se presta attenzione all'articolo del dottor Raso noterà che stiamo parlando di verbi alterati e che la lingua italiana ha un vantaggio che molte altre lingue non hanno: gli infissi verbali.
    Il mio è stato un esempio su come si possono formare nuovi verbi iterativi sfruttando questa particolarità della lingua italiana.

    Se capisce il significato dei verbi rubacchiare, ridacchiare, tossicchiare, parlucchiare, con un po' di fantasia, o di sforzo mentale, potrebbe anche capire quello dei verbi da me usati.

    L'esempio non Le aggrada? Non è stato recepito? La pronuncia Le è difficile? Pazienza!

    D'altronde io ho commentato l'articolo del dottor Raso. Quello che ha cominciato a centellinare domande una dopo l'altra è Lei. Le domande me Le faccia tutte insieme. Guardi che non sta scritto da nessuna parte che dobbiamo punzecchiarci.

    Renato P.

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    1. Mi astengo da ogni commento: non è mia abitudine essere sgarbato; ancor meno lo è quando interloquisco tramite una tastiera.
      Vittorio Pepe

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