I linguisti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, con il manualetto "Piuttosto che, le cose da non dire, gli errori da non fare" (Sperling & Kupfer, 163 pagine), intendono istruire il lettore circa "le cose da non dire e gli errori da non fare", e mettono alla gogna finanche nel titolo l'errore supremo: il "piuttosto che" usato in senso balordo. Oso dire un po' brutalmente, ma molto onestamente, che questa operetta denunciante "gli errori da non fare" è forse anche un esempio di libro "da non scrivere". O da non scrivere nel modo in cui gli autori l'hanno fatto. La prova ci è data da un libretto che dissoda lo stesso terreno, ossia gli errori correnti in italiano, ma attraverso il quale l'autore, Sabrina Carollo, ottiene risultati infinitamente superiori: "Parlare e scrivere senza errori" (editore: Giunti Demetra).
Questa mia recensione giunge in
ritardo - il libro è stato pubblicato nel 2013 - ma anche se la mia vocetta
fosse stata tempestiva, essa non avrebbe alterato il coro di lodi che gli
addetti ai lavori e gli amici degli amici riversarono a suo tempo su questo
lessico degli errori. Lessico che non contiene certamente gli errori
più comuni, perché in esso le lacune
sono tante.
Noi sappiamo che nella normale
lingua italiana, "piuttosto che" significa, o dovrebbe significare,
"anziché". Ma, ci avvertono i dizionari (vedi lo Zingarelli): esiste
un uso colloquiale sballato di "piuttosto che" che gli fa prendere il
posto di "o", "oppure", "o anche"...
Il "piuttosto che"
dell'errore, anzi dell'orrore, è visto dagli autori come una sorta di metastasi
minacciante la lingua italiana, ed è pertanto fatto bersaglio di mille anatemi:
"tossina grammaticale", "immonda accezione disgiuntiva",
"sciatteria linguistica", "infelice novità lessicale",
"sgrammaticatura"...
Nell'illustrare i termini
erronei, che paginetta dopo paginetta gli autori ci propongono per ordine
alfabetico, è dato un esempio concreto dell'errore, e anche spesso dell'autore
di questo, con un invito al lettore di non seguire un tal cattivo esempio.
L'invito prende la forma di "Non fate come...". E dopo i
punti di sospensione appare il nome dell'autore della frase contenente
l'errore.
L'enfasi sembra addirittura
posta più che sul peccato sul peccatore. Detto altrimenti: traspare da questo
libretto il desiderio di mettere alla berlina l'autore dell'errore d'italiano
denunciato. E Berlusconi e la sua compagine sono i destinatari preferiti delle
frecciate linguistico-(politiche) contenute nel libretto.
Nel capitolo introduttivo dal
titolo solenne: "Splendori e miserie del 'piuttosto che'", ci si
aspetterebbe che gli autori dessero spiegazioni chiare circa il significato
degenere di "piuttosto che". Anzi, la prima cosa da fare, per gli
autori, sarebbe stata di darci il significato corretto di "piuttosto
che" (che nel suo uso normale significa: "anziché", "invece
di…"); e ragguagliarci quindi sull'uso scorretto che invece taluni ne
fanno. Ma niente di tutto ciò: gli autori ci forniscono, in più di sei pagine, in apertura di libro una
farragine di elementi informativi sulla storia, il tralignamento, gli adepti, i
persecutori del "piuttosto che"; e non si capisce bene quando gli
autori parlano del "piuttosto che" legittimo e quando invece si
riferiscono a quello illegittimo. Torno a ripetere: il tutto è presentato in
una maniera così confusa
da lasciare perplessi.
La scarsa chiarezza
dell'introduzione si trasforma in vera oscurità quando gli autori, con
l'intenzione di darci un esempio di "Piuttosto che" ("più tosto") nobile e antico, citano
contemporaneamente Brunetto Latini e Dante. Ma non si capisce se il passo
letterario trascritto appartenga a Dante o invece al Latini, dato l'uso ambiguo
che è fatto dei due punti introducenti il brano storico che vanta uno dei primi
"piuttosto che" della nostra letteratura.
Parlo qui, senza presunzione,
ma da bibliotecario che conosce e rispetta le regole delle citazioni se non
altro come esse vengono fatte in Canada e negli USA.
Il chiarimento del tipo
di errore che noi facciamo, quando usiamo la locuzione incriminata, è
liquidato, nel farraginoso capitolo consacrato a "piuttosto che", con
la seguente spiegazione laconica: l'uso errato di questa espressione avviene
quando ce ne serviamo "in funzione disgiuntiva", ossia
come un "o disgiuntivo". Quanto al significato di
"disgiuntivo", al lettore non rimarrà altro che consultare la
grammatica o il vocabolario di casa.
Perché non aver aggiunto
"o anche", "oppure" a questa striminzita vocale
"o", disgiuntiva o non disgiuntiva che sia, che spiega ben poco?
La condanna senza appello
dell'uso erroneo di "piuttosto che" è motivata non solo dal fatto che
l'uso erroneo perverte il significato di ciò che si vuol dire (ma solo una
volta troviamo l'avvertimento "crea ambiguità nella comunicazione")
ma anche dal carattere snob della cerchia presso la quale - secondo gli autori
- questa "infelice novità lessicale" è nata e si è diffusa. "È
utile e istruttivo (e, lo confessiamo, anche divertente) fare le bucce a chi di
comunicazione vive e vegeta" leggiamo nel volumetto. Programma
chiaro che sottoscrivo, come se fosse il mio, in questa mia modesta recensione.
Io non sono un difensore del
condannabile errore, che gli autori presentano come diffusissimo: "il
piuttosto che" usato al posto di "o", "oppure",
"o anche", ma che io ho incontrato rare volte, tanto da averci messo
un bel po' - come dicevo - prima di capire nelle confuse prime
pagine del libretto l'uso erroneo fattone dai personaggi che gli autori mettono
alla gogna. Insomma ho stentato un po' a capire qual è l'uso inappropriato del
famigerato "piuttosto che…" che loro denunciano con veemenza e
disdegno. E come me altri lettori saranno rimasti disorientati circa la scarsa
chiarezza del testo.
Il "piuttosto che"
usato in senso erroneo è, secondo me, da condannare soprattutto perché travisa,
distorce, capovolge il senso del messaggio in cui è inserito. Ma gli autori non
si attardano tanto sull'ambiguità che crea un "piuttosto che" usato
in maniera erronea. Il loro bersaglio principale sono i mal
parlanti. E apprendiamo che Michela Vittoria Brambilla (ministra del turismo
del quarto governo Berlusconi) è la detentrice del record italiano
di "piuttosto che" sbagliati, pronunciati nello stesso discorso. I
due giustizieri linguistici denunciano numerosi altri abusi grammaticali e
sintattici della Brambilla, tanto che questa potrebbe, secondo me, rivendicare
il titolo di coautrice del manualetto, vista la sua sostanziosa contribuzione
ai testi in esso contenuti.
Il chiaro orientamento
politico, anti-destra e progressista, di questo libretto dedicato agli
"errori da non fare" spiega anche il commento elogiativo espresso, a
suo tempo, da Silvana Mazzocchi dalle colonne di "Repubblica" nei
confronti di questo, secondo lei, prezioso "breviario". Un breviario
dai toni politico-moralistici che non enuncia nessuna regola, ma dà la versione
sbagliata e quindi la correzione di un certo numero di termini erronei, scelti
non si sa bene in base a quali criteri.
Il numero dei termini erronei
riportati nel libretto è assai limitato. Abbondano invece nell'operetta gli
spazi bianchi e le pagine vuote, quasi che gli autori volessero riempire il
numero di pagine prefisso senza preoccuparsi troppo dei contenuti. Ampi spazi
sono poi occupati da testi carichi di lunghe frasi; il tutto per mettere in
evidenza una sola parola errata. Sarebbe stato più logico estrarre dal testo la proposizione
contenente la parola censurabile, e omettere l'intera pappardella usata come
riempitivo. Ad esempio la condanna di "coefficente", al posto del
corretto coefficiente, ci frutta una mezza pagina di lunghe frasi cariche di
cifre e percentuali. La sola citazione del sito web da cui questo lungo testo è
tratto occupa ben tre righe.
All'obiezione che un paio di
righe per ogni voce erronea sarebbe bastato, si potrebbe opporre che l'errore
compiuto da quel particolare mal parlante ricorre diverse volte nel suo scritto
e che quindi è opportuno, per fini didattici, mostrare l'intero testo in
cui l'errore in questione è stato ripetuto dallo scrivente. In
realtà, dandoci l'intero testo, con l'errore ripetuto, gli autori mostrano che
il loro intento principale è di prendersi beffe di colui che lo ha commesso, e
del quale ci forniscono il nome, il cognome, la funzione… Si trattasse di testi
letterari, di documenti ufficiali, di sentenze di tribunale, la cosa sarebbe
interessante, ma non nel caso di un pinco pallino che è fatto balzare agli
onori della cronaca linguistica solo per un oscuro svarione.
Il risultato di questa
ripetitività, quando una sola delle tante frasette sarebbe bastata, è di
sottrarre utili spazi nel libro, che è già di per sé molto misero di contenuti.
Ma la carenza maggiore di questo manualetto è proprio il dilettantismo, in
apparenza privo di rigore metodologico. L'acribia (con l'accento sulla seconda
"i") se vogliamo...
"Elementarietà" al
posto del termine esatto "elementarità" è una voce che permette ai
due autori di sovraccaricare un'intera pagina con un testo scritto, malamente,
da altri. Elementare, Watson? Direbbe Sherlock Holmes, il quale subito
capirebbe che lo scopo di tante lunghe citazioni, inserite nel lessico per
darci l'esempio di un semplice termine sbagliato, è una maniera assai comoda di
riempire un lessico senza troppo curarsi della sua sostanza.
Il metodo del libretto è basato
sull'enumerazione dei termini errati. Ma la lista di queste parole erronee è
ben magra; non solo, ma gli errori sono presentati a noi lettori passivamente
senza che gli autori si preoccupino di enunciare la regola che ci permetterebbe
in futuro di evitarli nel caso in cui una tale regola esista. Scorrendo i
termini inseriti nel lessico, viene il sospetto che i termini denunciati siano
stati scelti a caso e non per la loro frequenza o gravità, e che persino errori
di battitura siano stati inclusi in questo breviario. Non manca poi la denuncia
di errori tratti dalla Rete. Ma gli scritti postati in Internet, blog, forum, e
altri spazi del genere sono opera di gente che scrive affrettatamente, senza
eccessive preoccupazioni per la grammatica. Noi sappiamo che in Rete l'ultima
delle preoccupazioni è il rigore nello scrivere. Ad esempio: "Non fate
come... Flavio Briatore, imprenditore, Twitter, 11 dicembre 2012: non
dovrei arrabiarmi".
Vengono poi messi alla gogna
errori poco diffusi, come "d'avvero" al posto di "davvero".
Gli autori denunciano persino gli errori di pronuncia. Alla voce
"laurea" gli autori si prendono burla di Elena Guarnieri del Tg5 che
avrebbe detto "laura ad honorem" al posto di "laurea ad
honorem".
Si tratta di lingua parlata, e
quando si parla può scivolare un errorino. Oltretutto, chi può veramente
distinguere il suono di "ea" da quello di "a", inserito in
una parola pronunciata rapidamente in televisione?
Nel libretto vi è un numero
limitato di termini inglesi (al plurale) e per ognuno di essi gli autori
specificano che la parola va usata solo al singolare. Prendiamo
"films". "La parola films è invariabile; non bisogna aggiungere
la s finale al plurale" ci è detto, senza che gli autori si preoccupino di
enunciare la semplice regola: in italiano il termine straniero va in genere
usato solo al singolare.
Questo procedere parola per
parola, senza voler darci la regoletta a carattere generale, quando essa esiste,
come se il lettore fosse impermeabile a ragionamenti solo un po' più astratti, crea un problema perché il lettore
si pone allora la domanda: E gli altri termini inglesi, ormai moneta corrente
nel linguaggio degli italiani ma che non vediamo inseriti nella lista, devono
essere usati anch'essi sempre al singolare? Il lessico condanna
ugualmente la s finale di "fans", "call centers",
"rumors", "snacks", "talent-scouts",
"budgets"... Ma tralascia tanti altri termini inglesi che gli
italiani usano ormai quotidianamente. Alla voce "Rumors" troviamo:
"questa parola, che l'inglese ha assunto direttamente dall'italiano, in
italiano è invariabile; non bisogna aggiungere la s finale al plurale: i
'rumor', non i 'rumors'." Il lettore si sarebbe anche aspettato di conoscere
il significato di "rumor", dato che la parola inglese
"rumor" (voci, dicerie) non è l'esatto equivalente dell'italiano
"rumore".
Non un solo cenno è fatto dagli
autori a questa invasione nella lingua italiana di termini inglesi, spesso
inutili e quasi sempre mal pronunciati e mal capiti, o usati solo in una sola
delle loro accezioni originarie. Gli autori, nemici dichiarati dello snobismo,
hanno perso un'occasione preziosa per difendere la correttezza della lingua
italiana contro queste importazioni abusive di termini inglesi che
rattrappiscono il nostro idioma. E che, oltretutto, ci rendono ridicoli agli
occhi di quegli stranieri che, desiderosi di imparare l'italiano, non possono
che rimaner meravigliati di fronte al nostro ridicolo spirito imitativo,
snobistico nelle intenzioni ma che tradisce, in realtà, una mentalità da
lustrascarpe, anzi da "sciuscià".
La formula del dizionarietto
con le parole poste in ordine alfabetico permette una rapida consultazione
rispetto ad altri manualetti concepiti in maniera differente. Grazie al metodo
dell'ordine alfabetico, quando si ha un dubbio ortografico su una parola, basta
cercare nel dizionarietto. Ma occorrerebbe allora che il lessico fosse
sostanzioso, ossia che contenesse un numero sufficiente di parole, anche perché
abbiamo visto che l'operetta di Della Valle e Patota ha un approccio
puramente empirico, e non dà spiegazioni sulle regole generali, quando esse
esistono. Risultato? Forse otto volte su dieci se si consulta "Piuttosto
che", desiderosi di appagare un dubbio, si va in
bianco. Apprendiamo che "regime" è una parola che
"deve essere pronunciata con l'accento sulla i, non sulla e", ma se
cerchiamo "zaffiro" e "recluta" non caviamo un ragno dal buco
perché questi termini sono assenti dal lessico.
"Finché" questa
parola deve essere scritta non con l'accento grave (è) ma con l'accento acuto
(é), ci ammoniscono gli autori. Ma mancano nel manualetto "fuorché",
"cosicché"... Strano poi che non si sia pensato di inserire "è",
voce della terza persona singolare del presente indicativo del verbo essere, la
quale va scritta con l'accento grave e non con l'accento acuto, errore
quest'ultimo molto piu' frequente del fuorché con l'accento grave.
"Abborrire: bisogna dire e
scrivere aborrire, con una sola b", leggiamo nel volumetto. Aggiungerei
io: in certe regioni un tal errore è assai frequente, a causa soprattutto della
pronuncia ossia della maniera particolare di parlare della gente del luogo. Nel
Veneto è invece frequente l'errore contrario: ossia l'uso di una sola
consonante anche quando la parola contiene una doppia.
Sempre in relazione all'uso,
nel parlare e nello scrivere, di consonanti doppie al posto delle semplici, si
stenta a capire il criterio che gli autori hanno seguito nello scegliere le
parole che illustrano questa particolare categoria di errori. Ma le parole
pronunciate e talvolta scritte alla romanesca o alla napoletana, ossia con una
consonante doppia al posto di una semplice, sono legioni in Italia.
"Conobbi" usato alla
seconda persona singolare del passato remoto di conoscere, al posto quindi di
"tu conoscesti" è un grave errore, ci avvertono gli autori. Ma è un
errore, aggiungerei io, strano e raro.
Tra i mal parlanti troviamo
sindaci, conduttori, burocrati, personaggi dello spettacolo, comuni cittadini…
Vi troviamo anche un cantante. Avvertono gli autori: Non fate come ... Julio
Iglesias che nella canzone "A meno che" usa i verbi all'indicativo
(accetti, uccidi, credi) e non il sacrosanto congiuntivo: "accetti,
uccida, creda." Strano che non denuncino anche l'"ammore" delle
canzoni napoletane.
Un "Qual è"
erroneamente scritto con l'apostrofo mette invece alla berlina Saviano,
patentato scrittore italiano. Ma di mira sono presi, come ho già detto,
soprattutto i politici della parte avversa. Appare evidente che i discorsi di
Berlusconi non piacciono ai due autori, che lo citano spesso dopo l'avviso
"Non fate come…". A Berlusconi gli autori rimproverano,
tra l'altro, l'uso di "avvocatessa", errato "perché contiene una
sfumatura spregiativa". Anche altri linguisti propendono per
l'uso di avvocato o di avvocata al posto di "avvocatessa", ma mi
sembra eccessivo considerarlo termine spregiativo. Anzi è forma diffusa, che
non può essere equiparata a "giudichessa", "vigilessa",
"ministressa", "generalessa", forme, quest'ultime,
d'impronta, sì , ridicola. Apprendiamo anche che
"benedire" non fa all'imperfetto "benedivo" né
"benediva", forme incorrette che i due autori giustamente condannano,
propinandoci però l'intero discorso dell'allora presidente del consiglio;
discorso evidentemente da condannare, anzi da maledire, in blocco.
"Davanti casa",
"davanti l'albergo" sono espressioni condannate, perché manca
"alla" e "allo": davanti alla casa, davanti all'albergo.
Gli autori, che propinano le loro pillole d'italiano corretto, omettono di
ricordarci che "Davanti San Guido" è uno strafalcione non dei
berlusconiani, né di Bagnasco, né di Briatore e neppure di Di Pietro o di
Elkann, ma di Carducci.
"Acrìbia: l'unica pronuncia corretta è acribìa, con l'accento sull'ultima i".
Gli autori avrebbero potuto dare contemporaneamente il significato di questa
parola di rarissimo uso. E già che ci siamo, io trovo che "Piuttosto
che; le cose da non dire, gli errori da non fare" difetta proprio di
acribìa = accurata e scrupolosa osservanza
delle regole proprie di uno studio, una ricerca e simili (Zingarelli).
(Claudio Antonelli)
La lingua "biforcuta" della stampa
Da un autorevole quotidiano in rete leggiamo: (...) Lo afferma Benedetto XVI in un libro a quattro mani con il cardinale Robert Sarah, che uscirà il 15 gennaio e del quale Le Figaro pubblica delle anticipazioni (...).
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A quattro mani si suona il pianoforte, un libro si scrive a due mani.
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(Per motivi tecnici e per un periodo non precisabile questo portale verrà "aggiornato" saltuariamente).
(Claudio Antonelli)
(Ecco cosa scrivono gli autori)
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La lingua "biforcuta" della stampa
Da un autorevole quotidiano in rete leggiamo: (...) Lo afferma Benedetto XVI in un libro a quattro mani con il cardinale Robert Sarah, che uscirà il 15 gennaio e del quale Le Figaro pubblica delle anticipazioni (...).
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A quattro mani si suona il pianoforte, un libro si scrive a due mani.
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(Per motivi tecnici e per un periodo non precisabile questo portale verrà "aggiornato" saltuariamente).
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