lunedì 29 maggio 2017

Sgroi - Linguistica educativa e inglese veicolare


di Salvatore Claudio Sgroi *



Che cos'è la linguistica educativa di Massimo Vedovelli e Simone Casini (Carocci 2016) è un'aurea "bussola" (pp. 126) articolata in tre sintetici capitoli sul tema.

L'etichetta "Linguistica educativa" (LE), diffusa a partire dal 2000 (T. De Mauro 2002, 2005, 2012, ecc.), è un calco sull'ingl. "Educational linguistics" risalente a B. Spolsky (1972) (p. 24). Che in italiano appare già nel 1973 nella "Rassegna Italiana di Linguistica Applicata" (RILA) diretta da Renzo Titone: "La linguistica educativa o linguistica applicata". La LE in italiano era stata comunque designata soprattutto da T. De Mauro (1971), nel solco della tradizione pedagogica italiana (Lombardo Radice 1913, don Milani 1967, M. Lodi, G. Rodari, B. Ciari, ecc.), come "Educazione linguistica".

Oggetto e materia della LE (cap. I) è costituito dall'apprendimento-insegnamento (e incremento) della lingua nazionale e della sua architettura nelle diverse varietà agli italiani (dialettofoni e italofoni). Ma come apprendenti vanno inclusi anche gli stranieri in Italia (per l'italiano L-2 o Lingua seconda), e gli italiani per le lingue straniere (L-2), prima oggetto della "Glottodidattica" o "Didattica delle lingue moderne". Senza peraltro dimenticare l'insegnamento, almeno a livello di comprensione, delle lingue classiche (latino e greco). Il tutto da prospettive teorico-pratiche pluridisciplinari, delle scienze del linguaggio.

Gli AA. ricordano opportunamente che il "linguaggio verbale" presenta gli "intrinseci tratti di vaghezza, di indeterminatezza e di apertura" o "creatività" (pp. 13, 97). E che la lingua, in quanto "sistema socialmente condiviso" è regolata dalla "norma", coserianamente intesa, "sul come si dice e non sul come si deve dire", ovvero "sul come si può dire meglio e più efficacemente" (pp. 57, 91-92).

Nel cap. II gli AA. caratterizzano lo sviluppo della Linguistica Educativa nel ventennio tra il 1975 ("Dieci Tesi per una educazione linguistica democratica" di T. De Mauro e del Giscel) e il 1996 (il QCER "Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue; apprendimento, insegnamento, valutazione" del Consiglio d'Europa).

Nel cap. III si soffermano su alcuni "temi caldi". Ovvero si affronta il tema del "vecchio plurilinguismo" dei dialettofoni-italofoni e il "neoplurilinguismo delle lingue immigrate" (oltre 5 milioni di immigrati, 9% circa degli italiani, p. 75). Si analizza poi il tema della "Programmazione" nella scuola italiana: dal "programma" (1963) alla "progammazione" (1979), al Glottokit (1983), alla "valutazione" nelle diverse forme del testing, della "certificazione linguistica", dell'"autovalutazione" (pp. 81-108).

"Una sfida" per la LE è costituita dal CLIL, ovvero "Content and Language Integrated Learning" (Commissione Europea Libro bianco del 1995; 2012, Commissione Maalouf 2008, Eurydice 2006). In soldoni, si tratta dell'uso veicolare della lingua straniera (solitamente l'inglese) nelle scuole superiori per insegnare le discipline curriculari (matematica, scienze, geografia o filosofia, ecc.). Gli Autori si mostrano al riguardo ottimisti. Ma le perplessità non sono invero poche. Ricorrere all'inglese al posto della lingua nazionale implica inevitabilmente un depotenziamento di quest'ultima, in quanto se ne riducono i domini d'uso alti, con conseguente impoverimento del lessico settoriale. In secondo luogo, chi dovrebbe insegnare in lingua straniera la matematica ecc.? Il docente italiano di matematica improvvisato anglofono?. Con dubbi sia sulla qualità del suo inglese (lingua straniera) che sull'efficacia della disciplina insegnata. Oppure bisognerebbe ingaggiare solo "native speakers of the target language" (p. 107), con competenze di glottodidattica! Sembrerebbe invece più ragionevole potenziare nella scuola (e poi all'università) l'insegnamento dell'inglese (in inglese) da parte dei docenti specialisti di lingua-2 (italiani e nativofoni inglesi) non solo nel settore della letteratura, ma in quello più ampio della "cultura" del paese straniero.

Sull'analoga presenza esclusiva dell'inglese veicolare nei corsi magistrali e nei dottorati dell'Università Italiana si è peraltro opportunamente dichiarata la Corte Costituzionale (sentenza n. 42 del 21.II), ponendo precisi paletti.

Punctum dolens è costituito altresì dalla "neoemigrazione italiana verso l'estero", dal 2013 giunta a oltre 94mila espatriati (p. 109), peraltro scolarizzati, spesso diplomati e parlanti una L-2 ("straniero-foni"), con complessi problemi di adattamento e integrazione linguistico-sociale secondo i diversi paesi di accoglienza (Europa settentrionale, Inghilterra, Germania, o Spagna, Canada, Argentina, ecc.), non esclusi quelli del rientro in Italia, ecc.

Per una rassegna sulla produzione nell'ambito della "Linguistica educativa" il lettore potrà rifarsi  utilmente al bilancio della Società linguistica italiana La linguistica italiana all'alba del terzo millennio (1997-2010) (Bulzoni 2013), ricco di ben 5 capp. (pp. 149-368) a più mani: A. Giacalone Ramat - M. Chini - C. Andorno ("Italiano come L-2"), S. Ferreri ("Educazione linguistica: L1"), P. Polselli ("Educazione linguistica: L2"), S. Dal Negro - A. Marra ("Minoranze territoriali e politiche linguistiche") e  A. Vietti ("Minoranze non territoriali").


* Docente di linguistica generale presso l'Università di Catania

Autore tra l'altro di

--Per una grammatica ‘laica’. Esercizi di analisi linguistica: dalla parte del parlante (Utet 2010);

-- Scrivere per gli italiani nell'Italia post-unitaria (Cesati 2013);

--Dove va il congiuntivo?  (Utet 2013);

-- Il linguaggio di Papa Francesco. Analisi, creatività e norme grammaticali (Libreria Editrice Vaticana 2016)


12 commenti:

  1. Cortese prof. Raso,
    seguo il suo blog da quando è nato e lo trovo molto, molto istruttivo (insieme con il suo libro "Un tesoro di lingua"). Non ho mai postato un commento, lo faccio ora per esprimerle i miei ringraziamenti per ospitare i dotti articoli del Prof. Claudio Sgroi, articoli che danno un valore aggiunto al suo prezioso sito.
    Con i migliori saluti.
    Corrado (Venezia Mestre)

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  2. Pregiatissimo signor Fausto Raso,
    faccio mie le parole di Corrado da Mestre.
    Distinti saluti
    Tiberio, Carbonia

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  3. Ringrazio, di cuore, Corrado e Tiberio.
    FR

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  4. Purtroppo non mi sento di fare miei gli apprezzamenti di Corrado e Tiberio. A mio parere gli interventi del prof. Sgroi sono troppo specialistici e non portano alcun beneficio all’italiano medio.
    Trovo, invece, sempre utilissimi i consigli e le osservazioni del dott. Raso, che non si può non ringraziare per il suo instancabile lavoro di paladino della nostra lingua e per la chiarezza con cui motiva le sue convinzioni.
    Cordiali saluti. Otto

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  5. Buon giorno,
    concordo molto con Otto: per quanto interessanti, gli articoli del professor Sgroi (in particolar modo gli ultimi) servono poco allo scopo di "sciacquare la lingua".

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  6. Prof. Salvatore Claudio Sgroi30 maggio 2017 alle ore 11:29

    Il giudizio del lettore naturalmente mi dispiace, per quanto riguarda me, anche se non si può accontentar tutti... Se lui trova “troppo specialistici” i miei interventi ne prendo atto, “specialistici” però solo nel senso che sarebbero per lui “poco comprensibili”! Ad altri lettori appaiono sì “specialistici” ma pur sempre comprensibili. E poi, è vero, i miei articoli andrebbero non solo letti, ma anche ri-letti, perché sono mini-lezioni di linguistica generale avente per oggetto soprattutto l’italiano, rivolte “a tutti”. E che richiedono un qualche impegno intellettuale. E secondo una “filosofia” laica-anti-puristica, che non sto qui a ribadire.
    Quando il lettore sostiene che “non portano alcun beneficio all’italiano medio”, mi sembra però che dei mei articoli egli non critichi tanto l’essere “troppo specialistici”, quanto il fatto che si ispirano a una “filosofia del linguaggio laica, anti-purista”, che lui non condivide. Libero ovviamente di dissentire, ma lo dica con “chiarezza”.
    Cordialmente
    prof. Salvatore Claudio Sgroi

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  7. Prof. Salvatore Claudio Sgroi30 maggio 2017 alle ore 13:07

    Per Monmartre
    Mi fa naturalmente piacere che il lettore trovi “interessanti”, e quindi comprensibili, i miei interventi (pur “specialistici”). Ma è poi vero che servano “poco allo scopo di ‘sciacquare la lingua’”?. Se il lettore ci fa caso, provo anche, come posso, a spiegare i sottili, complessi, inconsci meccanismi dello “sciacquare la lingua”, e a renderlo più consapevole di quello che fa un pò (sic!) meccanicamente. La lingua/il linguaggio con la sua ‘onnipotenza semantica’ si presta a una ricchezza di operazioni e di analisi, ovvero ad essere insomma “sciacquata” o indagata, da un’infinità di punti vista...
    prof. S.C.Sgroi

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  8. Ha ragione, colendissimo prof. Sgroi, non si può accontentare tutti... soprattutto per quanto attiene alla lingua e i vocabolari sono una prova: chi dice una cosa, chi un'altra. Ma lei continui così, demolendo le false regole che ci hanno insegnato a scuola: qual è (rigorosamente senza apostrofo), po' (rigorosamente con l'apostrofo). Sarebbe interessante conoscere la sua opinione circa l' "obbligo" del congiuntivo nelle interrogative indirette. Grazie per le sue lezioni, anche se non sempre "sciacquano la lingua", come direbbe un lettore.
    Con stima
    Teodoro

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  9. Cortese Teodoro,
    il prof. Sgroi, se lo riterrà opportuno, le risponderà.
    Cordialmente
    FR

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  10. Egr. Dott. Raso, mi rivolgo a lei quale rigoroso censore della “lingua biforcuta”.
    Avrà sicuramente letto e ri-letto (!) il recente scambio di opinioni a proposito degli interventi nel suo blog del prof. Sgroi, definito “colendissimo” da un suo sviscerato ammiratore. Ma ognuno è libero di usare gli aggettivi che vuole, ci mancherebbe altro.
    Il punto non è questo. Il punto è che lei ci ha più di una volta ribadito che i prefissi, “tutti i prefissi”, vanno appiccicati alla parola che li segue, senza spazi, dunque, e senza trattini. Ebbene, se ha la pazienza di rileggere uno degli interventi del suddetto professore troverà scritto quanto segue: “mini-lezioni di linguistica”, “filosofia laica-anti-puristica”, “filosofia del linguaggio laica, anti-purista”.
    La domanda sorge spontanea: come mai non interviene a censurare queste espressioni con la stessa encomiabile solerzia che impiega verso giornali e tv? Forse che tutte quelle lineette acquistano la loro ragion d’essere in virtù del loro autore...?
    Chiedo scusa del sarcasmo e le porgo cordiali saluti.
    Otto

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  11. Vale a dire: ora si è toccato il fondo.
    Emanuele (Sorzo)

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  12. Cortese Otto,
    il linguista prof. Sgroi ha una visione "laica" della grammatica e il suo libro la dice lunga in proposito. Io, invece, ho una visione "tradizionale" che si rifà, per lo piú, ai classici. Quanto alla stampa sarà sempre censurata, da parte mia, quando si "allontana" dalla grammatica tradizionale perché, per "istituzione", è tenuta a divulgare la lingua secondo i "canoni" che la regolano.
    Con viva cordialità
    FR

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