venerdì 13 marzo 2020

Sgroi - 44 - Tutto ciò che hai sempre voluto sapere sul linguaggio e sulle lingue

Dal sito "Treccani"

Tutto ciò che hai sempre voluto sapere sul linguaggio e sulle lingue

a cura di Francesca Masini e Nicola Grandi
Cesena, Caissa Italia Editore, 2017 (rist. 2019)

di Salvatore Claudio Sgroi

Tutto ciò che hai sempre voluto sapere sul linguaggio e sulle lingue, a cura di F. Masini e N. Grandi, è un aureo volumetto destinato ai non-specialisti, curiosi di capire che cos'è la linguistica, nella molteplicità delle varie specializzazioni che hanno dato luogo a varie "scienze del linguaggio".
Un libro di grande leggibilità, di seria divulgazione scientifica, -- meritatamente "Vincitore del Premio nazionale di Divulgazione scientifica" -- che in 44 capitoli, con percorsi di lettura liberi, non unidirezionali, ognuno contenuto in 4 pagg., di ben 39 studiosi, con diversa collocazione accademica nell'università, affronta criticamente ritagliando con varia abilità un tema centrale nell'ambito dei vari settori di studio. E una nota bibliografia essenziale, alla fine di ogni capitoletto, per chi ne voglia sapere di più.

I 44 capitoli sono raggruppabili, con inevitabile margine di soggettività, per temi diversi e per varie discipline.
Un avvio bibliografico alle scienze del linguaggio, costituito da alcuni classici della linguistica, è il cap. 43 di S. Scalise (Dieci opere che un linguista deve leggere), scelta inevitabilmente "incompleta e parzialmente soggettiva" (p. 181; per conto mio avrei aggiunto per es. Pensiero e linguaggio di L.S. Vygotskij 1933 tr. it. Laterza 1990).
L'approccio descrittivista non prescrittivista nell'analisi delle lingue del mondo, tipico della linguistica, è ben chiarito fin dal cap. 1 da N. Grandi - F. Masini (La linguistica, questa sconosciuta), quando avvertono che il linguista non è un banale "poliglotta" (p. 13) o parlante più lingue, né tanto meno un "grammar nazi" (p. 15) cioè "un fustigatore dell'uso scorretto della lingua" (ibid.) ovvero un "correttore seriale di [presunti] errori" (p. 12).
Oggetto di studio della linguistica è la facoltà di linguaggio e le lingue del mondo attuali (oltre 7mila p. 19) e del passato (cap. 2 N. Grandi, Parliamo una lingua o un linguaggio?). L' approccio è di tipo sia teorico che applicato (cap. 44 A. Sansò, A che cosa serve la linguistica?). Le lingue del mondo sono studiate nella prospettiva della tipologia linguistica (cap. 6 C. Mauri - A. Sansò, Come variano le lingue nel mondo?), degli universali linguistici (cap. 7 G.F. Arcodia, Quando le lingue sono tutte uguali), della complessità linguistica (cap. 8 G.F. Arcodia, Esistono lingue facili e lingue difficili?), del rapporto tra linguaggio e pensiero (cap. 9 F. Masini, Le lingue influenzano il nostro modo di pensare?).

Il lettore è informato sugli ambiti classici della linguistica: Scrittura (cap. 41, G. Sanga: Quanti modi ci sono per scrivere le lingue? I sistemi di scrittura); -- Fonologia (cap. 33 A. Vietti, Quali e quanti suono per le lingue?); -- Morfologia (cap. 34 C. Iacobini - A. Thornton, Come si costruiscono le parole?); -- Sintassi (cap. 35 M. Frascarelli, Come si costruiscono le frasi?); -- Semantica (cap. 36 A. Lenci, Come si costruiscono i significati?cap. 37 F. Masini, Quando il linguaggio non è letterale); -- Pragmatica (cap. 38 C. Mauri, Possiamo fare cose con le lingue?); -- Linguistica storico-comparata (cap. 5 C. Gianollo, Quando le lingue sono parenticap. 24 E. Magni, Come cambiano le lingue?cap. 31 D. Baglioni Come ricostruiamo la storia delle parole?: l'etimologia diacronica). L'oggetto concreto degli usi linguistici, inevitabilmente parziali, sottoposti all'analisi è a sua volta attingibile a fonti diverse (cap. 32 F. Tamburini Quali risorse usa (o crea) il linguista?: corpora, dizionari, atlanti).

La linguistica, data la complessità del suo oggetto di studio, costituito dal linguaggio e dagli idiomi del mondo, si rifrange come accennato in una molteplicità di "scienze del linguaggio", tra cui: la Paleoantropologia attenta al problema dell'origine del linguaggio (cap. 3 T. Pievani, La lingua ci ha salvato dall'estinzione?: Homo sapiens); -- la Neurolinguistica (cap. 26 V. Bambini, Dove risiede il linguaggio?cap. 27 A. Cardinaletti, Quando non riusciamo (più) a parlare: patologia del linguaggio); -- l'Interlinguistica (cap. 25 F. Gobbo, Lingue inventate); -- la Linguistica computazionale (cap. 15: A. Lenci, Che lingua parlano i computer?: lingua naturale vs lingua artificiale); -- la Psicolinguistica (cap. 16 M. Vayra, Come si impara ['acquisisce'] la lingua nativa?: acquisizione L-1; cap. 17 R. Pugliese, Come si impara una lingua straniera); -- la Traduttologia (cap. 39 A. Manco, Possiamo dire la stessa cosa in un'altra lingua?); -- la Zoosemiotica (cap. 4 S. Masin, Animali parlanti... solo nelle favole?); -- la Semiotica (cap28 A. Di Rienzo - V. Volterra, Altre voci: Lingua dei segnicap. 40 M. Voghera, Perché gesticoliamo?: linguaggio dei gesti).
Nell'ambito della sociolinguistica rientrano non pochi capp. centrati sulla variazione diafasica (con registri e linguaggi settoriali), variazione diamesica, diatopica, diastratica (cap. 10 M. Cerruti, Una frase giusta ma al momento sbagliatocap. 11 G. Berruto, Parliamo come scriviamocap. 13 A. Scala, Parlare per non farsi capire?cap. 14 F. Chiusaroli, scritture brevi); -- su lingua vs dialetto (cap. 12 G. Iannàccaro, Quando finisce una lingua e comincia un dialetto?); -- sul plurilinguismo (cap. 18 S. Dal Negro, Quando le lingue sono più d'una); sul contatto interlinguistico (cap. 19 R. D'Alessandro, Come si mescolano le lingue?: "con buona pace dei fautori della petizione dilloinitaliano" a favore di "alternative italiane a parole inglesi" p. 86); -- sulla politica linguistica (cap. 20 F. Toso, Quando una lingua è di minoranzacap. 21 G. Iannàccaro, Quale politica per le lingue?); -- su morte e nascita di una lingua (cap. 29 A. Marra, Come muore una lingua?cap. 30. B. Turchetta, Come nasce una lingua?: i pidgin).

Come già detto, G. Grandi e F. Masini si preoccupano nel cap. 1 di non confondere il linguista col "poliglotta" (p. 11) o col grammarnazi, cioè col "correttore seriale di errori" (p. 12). Come dire che la linguistica e i linguisti si occupano del linguaggio e delle lingue in prospettiva descrittivista e non prescrittivista, in quanto sono costituzionalmente anti-puristi. Nel cap. 42 C. De Santis (Cinque cose da sapere sulla lingua che parliamo ogni giorno, pp. 177-80) appare invece paradossalmente sostenitrice di punti di vista puristici su vari problemi, che fanno a pugni con una visione scientifica del linguaggio.
(i) Riguardo al congiuntivo, l'A. sostiene infatti che “Il congiuntivo esprime spesso una ‘modalità’: dubbio, probabilità o eventualità nelle frasi completive (Penso sia graveCredo che sia mortoPer chi temesse; ecc.); possibilità nelle frasi ipotetiche (se fosse morto...)” (p. 177).
Ma si tratta di fanta-grammatica, com'è stato dimostrato da tempo e da più parti. I contro-esempi al riguardo abbondano: per es. (aCredo che Dio esista in bocca a credenti "sinceri" che non mettono in dubbio la loro credenza; -- (bBenché/sebbene piova, io esco = anche se piove, io esco; -- (cIl fatto che lui venga, mi fa piacere, ecc. Nel periodo ipotetico, la eventualità è indicata solo dalla congiunzione se non già dal congiuntivo, tant'è vero che il parlante può anche dire all'indicativo: Se era morto..., con pari grado di ipoteticità.
Allorché poi la stessa A. aggiunge: "ma è tollerato l'uso dell'indicativo al posto del congiuntivo/condizionale (se accettava te lo dicevo)" e che "quando il congiuntivo e l'indicativo sono entrambi ammessi, il primo è percepito come forma più accurata e attenuata, quindi più cortese (Voglio che lo dici vs Voglio che tu lo dica)", -- non sembra rendersi conto di cadere in tal modo in contraddizione, in quanto attribuisce alla scelta del "cong. / indic." ora un valore semantico versus (secondo la tradizionale teoria grammaticale) ora un valore stilistico vel (secondo la teoria sociolinguistica). Senza dire del ricorso alle etichette "ammesso" e "tollerato" che sa di puzza sotto il naso, ed è poco confacente con l'atteggiamento descrittivista proprio del linguista.
(ii) Passando al piuttosto che "con valore disgiuntivo inclusivo" di 'oppure' (pp. 178-79), l'A. osserva che risale "agli anni Novanta" del '900 ed è proveniente dal "parlato delle classi agiate del Nord" (p. 179), ma lo ritiene -- con giudizio puristico -- un "uso improprio", un "vezzo sintattico, sconsigliabile sia nel parlato e sia nello scritto" (ibid.), per concludere che "i linguisti" sono stati indotti alla fine "alla rassegnazione" (ibid.).
(iii) Quanto agli "anglismi" (p. 180), l'atteggiamento dell'A. è di totale chiusura, a favore di una "purezza" linguistica o "fedeltà alla lingua" d'altri tempi. L'A. si oppone ai prestiti "integrali" (blogger) o "ibridi" (chattare), ovvero ai doni stranieri a causa del loro "effetto di opacità e tecnicizzazione" (jobs actspending review), o, in quanto non "prestiti di necessità" ("leader per capoweb per rete"), ed anche agli stessi "calchi" (missione 'obiettivo'). La conclusione dell'A. è che gli anglicismi avrebbero il risultato di "renderci più provinciali che internazionali" (ibid.) e quindi: "proviamo a dirlo in italiano: quasi sempre ci riusciremo" (ibid.).
Naturalmente una posizione del genere stride non poco con la presenza di anglicismi nel testo da parte degli altri linguisti, e con la posizione di chi come R. D'Alessandro, occupandosi del contatto interlinguistico (cap. 19 Come si mescolano le lingue?), descrittivamente osserva in polemica con la posizione dei puristi:
"Se, per esempio, la lingua di contatto è ritenuta prestigiosa, i parlanti cercheranno di usarla di più, e prenderanno in prestito da essa tutto il possibile. Pensate all'inglese, a locationbriefing, partycooltopglamourfashionmisunderstanding o selfie: con buona pace dei fautori della petizione  dilloinitaliano, che proponevano una lista di alternative italiane a parole inglesi, molte di esse sono ormai entrate nell'uso quotidiano" (p. 86).
(iv) Più descrittivista è invece l'analisi della frase "segmentata" a me mi piace (p. 178), mentre è omessa l'analisi del più intrigante pur preannunciato A me mi preoccupa (p. 177). Di a me mi piace l'A. fa presente con giudizio non proprio descrittivista che va "tollerato nei contesti appropriati, in particolare nel parlato informale" (p. 178), e riprende l'osservazione che "l'errore di oggi, in molti casi, è la regola di domani" (ibid.).
(v) Infine, più descrittivista del precedente è l'analisi del "femminile di nomi di carichepubbliche (p. 17), per es. sindaca, ministraassessora, e dei "nomi di professioni" (ibid.), per es. medicaavvocataingegnera.

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