lunedì 13 maggio 2024

Si è specialisti ed esperti "di" (qualcosa) non "in" (qualcosa)

 


Ci piacerebbe, anzi sarebbe il caso che l'Ordine Nazionale dei Medici Chirurghi "costringesse" - per il "bene dell'italico idioma" - i suoi iscritti a un uso corretto della lingua nell'intestazione dei ricettari, nelle targhe affisse nei portoni e nei biglietti di (sic!) visita. E ci spieghiamo. Si legge sempre, per esempio, "dott. Caio Sempronio, medico chirurgo specialista in cardiologia". Contrariamente a quanto sostengono alcuni 'linguisti d’assalto’ si è specialisti "di" qualcosa, non "in" qualcosa: specialista di arte antica; specialista di arti marziali; specialista di dermatologia ecc. La preposizione "in" è adoperata correttamente solo con l'aggettivo specializzato: medico specializzato in pediatria. Insomma, in buona lingua italiana, si è "specialista di qualcosa" e "specializzato in qualcosa". Occorre aggiungere, in proposito e per curiosità, che tanto "specialista" quanto "specializzato" quando videro la luce nella lingua di Dante furono avversati dai puristi perché ritenuti francesismi, ma con il tempo hanno ottenuto il pieno riconoscimento della "cittadinanza linguistica italiana". Il medesimo discorso per quanto attiene all’aggettivo esperto: non si è esperti in qualcosa, ma di qualcosa: esperto di storia antica.



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sabato 11 maggio 2024

Sulla concordanza del verbo


L’
accordo del verbo con il soggetto è, molto spesso, causa di dubbi. Vediamo, per quanto possibile, di scioglierli. La norma stabilisce che il verbo concorda con il soggetto nel numero (singolare e plurale) e nella persona: io parto; tu cammini; noi leggiamo; essi dormono. Se una proposizione (o frase) ha due o piú soggetti il verbo si mette - in linea generale - nella forma plurale: Pasquale e Carlo erano amici d’infanzia. Esiste, tuttavia, una deroga alla norma generale, cioè il verbo può avere sia la forma singolare sia la forma plurale nei seguenti casi: a) quando il soggetto è rappresentato da un nome collettivo seguito da un complemento di specificazione: un gruppo di scolari partí / partirono per una gita (in linguistica si chiama “sillessi” o concordanza a senso); b) quando i soggetti sono separati tra loro dalle congiunzioni disgiuntive “o”, “oppure”, “né”: né la forza né la persuasione è / sono bastata / bastate. ; c) quando i soggetti sono riuniti dalla preposizione “con”: Giovanni con Daniela passeggiava / passeggiavano in giardino; d) quando i soggetti inanimati sono considerati un tutt’uno, quando esprimono, cioè, un’unica idea: l’amore e la comprensione del padre fu / furono determinante / determinanti; e) quando i soggetti si intendono riferiti a uno stesso verbo: tuoni, fulmini e lampi si abbatté / abbatterono sul Paese. Un’ultima notazione. Quando i soggetti sono di genere diverso il verbo si pone sempre nella forma plurale maschile: Pasquale, Giovanna e Serafina furono rimproverati dal direttore. Se si tratta, però, di soggetti inanimati (di cose) il verbo può concordare col soggetto piú vicino: aerei e navi furono avvistate, ma anche (e forse è meglio) avvistati (in questo caso si chiama accordo per attrazione).

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Giulio, ti prego, non mi malmeggiare

Ci piace portare all’attenzione degli amici blogghisti, che seguono le nostre modeste noterelle, un verbo “sconosciuto” perché non attestato nei maggiori vocabolari in uso: malmeggiare. , ‘malmeggiare’ , che significa ‘maltrattare’, ‘malmenare’ e simili: quel losco individuo non fa altro che malmeggiare la moglie. Secondo il GDU del De Mauro il verbo suddetto è un incrocio di ‘malmenare’ con ‘palpeggiare’ ed è “nato” nel XIV secolo. Secondo Ottorino Pianigiani, invece, è composto di “ mal” e “maneggiare”, maneggiare male, quindi maltrattare, malmenare. 


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mercoledì 8 maggio 2024

Sul verbo "ripetere"

 






È interessante ciò che dice il linguista Luciano Satta circa l'uso corretto del verbo ripetere: 

«Si legge spesso: 'Il fatto si è ripetuto per la seconda volta'. Bisogna pensarci bene: un fatto che si ripete per la seconda volta è un fatto che accade per la terza volta. Se non è così, meglio usare verbi come accadere, avvenire eccetera». 

Chi ha il coraggio di contraddirlo? 


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La lingua “biforcuta” della stampa 

Gasolio taroccato in due distributori: sequestrate 15 tonnellate di carburante in provincia di Latina 

Denunciate due persone per frode in commercio. In uno dei due benzinai, poi, non erano esposti correttamente i prezzi 

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I benzinai, vale a dire gli addetti ai distributori, non indossavano la pettorina con l’indicazione dei prezzi della miscela? Gesummaria, che orrore! Ci rendiamo conto del fatto che i titolisti non volevano ripetere – giustamente – il termine “distributore” ma avevano a disposizione un vocabolo che faceva alla bisogna: esercizio. In buona lingua, quindi: in uno dei due esercizi, poi, non erano esposti correttamente i prezzi. 


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sabato 4 maggio 2024

Una critica *malevole

 


Navigando in Internet abbiamo scoperto che buona parte delle persone “di cultura” ritengono che si dica “malevole” e non, correttamente, malevolo. Credono, insomma, che l’aggettivo in oggetto appartenga alla seconda classe, come “facile”, per esempio e abbia, quindi, un’unica desinenza, tanto per il maschile quanto per il femminile ('-e', maschile e femminile singolare; 'i', maschile e femminile plurale). No, la forma corretta è malevolo perché viene dall’aggettivo latino ‘malévolus’, della seconda declinazione, e la desinenza ‘-us’ latina si tramuta normalmente nella terminazione ‘-o’ del maschile italiano. È, quindi, un aggettivo della prima classe, come “buono”, le cui desinenze sono ‘-o’ e ‘-i’ per il maschile singolare e plurale, ‘-a’ e ‘-e’ per il femminile singolare e plurale. Diremo, quindi, “uno scritto malevolo”, con il plurale “malevoli” e “una critica malevola” con il plurale “malevole”. Identico discorso per “benevolo”. 

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Divisione sillabica "particolare" 

Abbiamo notato che molte persone si trovano in difficoltà sulla divisione delle sillabe in fin di riga (o di rigo) con le parole formate con prefissi “speciali”: ben-, in-, mal-, cis-, dis-, pos-, trans- o tras-. Le parole così composte possono dividersi in sillaba senza tener conto del prefisso (che fa sillaba a sé) oppure considerare il prefisso parte integrante della parola. Ci spieghiamo meglio con un esempio. Dispiacere si può dividere considerando il prefisso sillaba a sé; avremo, quindi, dis-pia-ce-re, oppure, “normalmente”, di-spia-ce-re. Trastevere – altro esempio – si può dividere secondo l’una o l’altra “regola”: Tras-te-ve-re o Tra-ste-ve-re. Consigliamo vivamente, a coloro che non sono in grado di distinguere con assoluta certezza i prefissi componenti, di attenersi – nell’andare “a capo” – alla normale divisione sillabica. Eviteranno, in questo modo, di incorrere in spiacevoli strafalcioni. In caso di dubbio si può consultare una buona grammatica dove, nel sillabo, sono riportati tutti gli argomenti trattati, messi anche in ordine alfabetico. 


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La lingua “biforcuta” della stampa

L'OPERAZIONE

Viterbo, maxi evacuazione da trentamila persone per disinnescare una bomba inesplosa: ecco cosa succederà il 7 maggio

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A parte quel “maxi” che, correttamente, va unito alla parola che segue e il “da” che, sempre correttamente, deve essere un “di”, sarebbe interessante sapere a quanto ammonta la spesa per l'acquisto dei lassativi al fine di fare evacuare trentamila persone.

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Borseggiatrici beccate a rubare a Milano con neonato in braccio. Pietre, sputi e insulti contro Valerio Staffelli

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Ancora un caso di anfibologia, tanto tanto cara agli operatori dell’informazione. Chi aveva un neonato in braccio? Milano? Le borseggiatrici? Amici “massinformisti”, non sarebbe stato più chiaro e “più logico” scrivere – secondo i canoni linguistici – “borseggiatrici, con neonato in braccio, beccate a…”? Ma, forse, pretendiamo troppo.

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NAPOLI

Centouno anni, gli impiantano protesi di anca biarticolare. Nonno Salvatore: “Sto bene, cammino, voglio tornare a casa…”

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Meglio, anzi, “più corretto” centuno, con la caduta della ‘o” per effetto della crasi. E, sempre “più corretto”, centun anno.  















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giovedì 2 maggio 2024

Una donna mezzo nuda


Quel “mezzo” riferito a un femminile non fa una piega sotto il profilo linguistico-grammaticale. E il motivo sta nel fatto che “mezzo” può essere tanto avverbio quanto aggettivo, a differenza di “tutto”, per esempio, che è solo aggettivo; non si può dire, infatti, una donna *tutto nuda (spiace constatare che le grammatiche non trattino sufficientemente l'argomento). Mezzo, dunque, come aggettivo concorda nel genere e nel numero con il sostantivo al quale è preposto: mezza mela; mezzi sigari; mezze pagine; mezzi fogli. Quando, invece, è posposto al sostantivo al quale è unito con una ‘e’ resta invariato in quanto diventa ‘sostantivo’ con il significato di “una metà”: due ore e mezzo, cioè due ore e “una metà” di un’ora; cinque chili e mezzo, vale a dire cinque chili e “una metà” di un chilo. Resta altresì invariato, con valore avverbiale e significato di ‘a metà’, quando (mezzo) è unito a un aggettivo per attenuarne il significato: ragazze ‘mezzo’ matte, cioè matte ‘a metà’; la casa era ‘mezzo’ diroccata, ossia diroccata ‘a metà’; le luci sono ‘mezzo’ spente, spente a metà. “Mezzo nuda”, quindi, rientra perfettamente nella ‘regola’ sopra citata. Nell’uso, però, queste distinzioni non vengono osservate, anche se riteniamo un errore scrivere, per esempio, le “cinque e mezza”, in luogo delle “cinque e mezzo”.



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lunedì 29 aprile 2024

Ti prego, non salamistrare

 


Se non cadiamo in errore, tutti i vocabolari consultati – tranne il Palazzi, il Gabrielli, l’Olivetti e il GDU – hanno relegato nella ‘soffitta della lingua’ il verbo denominale salamistrare. A nostro modo di vedere, invece, dovrebbe riavere il posto che merita in tutti i dizionari essendo voce 'aulica' con il significato di “fare il saputello, il presuntuoso, il saccente” (e simili): Giovanni, per favore, quando parli con me non salamistrare. Leggiamo dal Tommaseo-Bellini: "V. n. ass. Fare il saccente. Buon. Fier. 1. 2. 2. (C) Oh quanti uomini ho io veduti, Or maestri, or censori, or consiglieri, Salamistrar negli esercizii altrui. E 4. 5. 16. Questa donna mi pare una di quelle Donne saccenti, che noi troviam spesso Per queste e quelle case Far delle medichesse, E delle faccendiere, Salamistrando, e che s'odon dir cose Da far muovere a riso i piè del letto". Quanto all'etimologia, come dicevamo, è un verbo denominale derivato dal sostantivo salamistro, formato dall'incrocio di Salomone con salmo (salmista).

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La lingua “biforcuta” della stampa

Accoltellato dal fratello, uomo grave nel trevigiano

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Correttamente: Trevigiano, con l’iniziale maiuscola trattandosi di un’area geografica.

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Casini: De Gasperi uomo di fede, mai succube indicazioni della Chiesa

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Grafia corretta: succubo.


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