mercoledì 31 gennaio 2018

Grammatica: i "quiz" della Crusca


Mettete alla prova la vostra conoscenza grammaticale con i nuovi "quiz" redatti dall'Accademia della Crusca.

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"Razza" e "razzismo", un interessante articolo di Paolo D'Achille (Crusca).

martedì 30 gennaio 2018

I «due» Gabrielli



Ancora una volta dobbiamo constatare che il vocabolario di Aldo Gabrielli in rete  (‘ritoccato’) e il “Dizionario Linguistico Moderno” dello stesso autore “fanno a pugni”: non concordano sull’uso corretto del verbo ‘reclamare’. Per il dizionario in rete cliccate su reclamare. Vediamo, ora, ciò che scrive nel suo “Dizionario Linguistico Moderno”.

(Reclamare) In buona lingua italiana è soltanto intransitivo, e vale protestare, lagnarsi, dolersi e simili (...). Si costruisce con “a”, “contro”, “presso”, “in”: “Reclamate al governo”; “Reclamerò contro questa disposizione”; “Reclamiamo presso i superiori”; “Reclamate in direzione”; anche assoluto: “Prima obbedisci, e poi reclama”. Non è quindi corretto usarlo transitivamente, imitando il francese: “reclamare gli arretrati”; “reclamare il maltolto” e simili.; qui i verbi propri sono richiedere, domandare, rivendicare. Tuttavia, in questo senso, è già entrato nell’uso, e i dizionari già lo registrano. Da espellere dalla nostra lingua è invece nel significato, tutto francese, di esigere, richiedere, chiamare, volere: “Questa offesa reclama vendetta”*; “La terra arsa reclamava la pioggia”; i verbi sopra suggeriti sostituiranno benissimo l’improprio ‘reclamare’.

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* Questo esempio, “condannato” nel Dizionario Linguistico Moderno, è ritenuto corretto nel vocabolario in rete.


«Cosí e cosí» e «cosí cosí»

Si presti attenzione a queste due espressioni perché di primo acchito sembrano l’una sinonima dell’altra sí da potersi usare, quindi, indifferentemente. Cosí non è. Differiscono nel significato l’una dall’altra. La differenza radicale di significato la spiega, magistralmente, lo scrittore (forse poco conosciuto) Ardengo Soffici. “Ci sono degli scrittori i quali adoperano l’espressione: cosí e cosí, in luogo di quella: cosí cosí. La differenza formale tra l’una e l’altra è minima, ma quella tra i loro significati è immensa. Si dice di una cosa, di una persona, di un fatto che ci son parsi cosí cosí, per indicare che non ci son parsi né buoni né cattivi, né belli né brutti, né importanti né insignificanti, ecc. L’espressione cosí e cosí si adopera invece in tutt’altro caso; e particolarmente per indicare le varie cose che uno ha detto, o le quali si commette di dire a un altro, senza tornare a specificarle, o preparandosi a specificarle. ‘Gli dissi cosí e cosí, ed egli mi rispose cosí e cosí’. ‘Vai a dirgli cosí e cosí: che io non posso andar da lui, che lui venga da me e porti con sé quella roba’ ”.

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La parola proposta da questo portale:  grèbano. Si dice di persona rozza e ignorante, terra terra. Il vocabolo non è attestato nei vocabolari dell'uso e non è schiettamente italiano. Proviene dallo slavo "greben", sasso, rupe e indica un luogo impervio. Per estensione si è dato questo nome a chi abita questi luoghi inospitali, fuori del mondo "civile"; di conseguenza non avendo "contatti  umani" si comporta in modo rozzo.

lunedì 29 gennaio 2018

I «mangiapani», una proposta "oscena"?


Sí, siamo sicuri, saremo colpiti dagli strali di qualche linguista se, per caso, si imbatterà in questo sito. Stiamo per fare una proposta "oscena" sotto il profilo linguistico; proposta che - naturalmente - sarà avversata dai glottologi. Perché "oscena"? Perché vogliamo pluralizzare il sostantivo "mangiapane" quando tutti i vocabolari lo ritengono invariabile. A nostro avviso, questo sostantivo deve seguire la regola del plurale dei nomi composti che, se formati con una voce verbale e un sostantivo maschile singolare, restano invariati solo se si riferiscono a un femminile come, per esempio, ficcanaso: il ficcanaso / i ficcanasi; la ficcanaso / le ficcanaso. Mangiapane non è composto - come ficcanaso - di una voce verbale (mangia) e di un sostantivo maschile singolare (pane)? Perché, dunque, deve rimanere invariato? Diremo: Carlo è un mangiapane; Giulio e Luigi sono dei mangiapani; Lucia è una mangiapane; Rossana e Stefania sono delle mangiapane. Una ricerca in rete sul plurale di mangiapane ha dato 15.100 occorrenze per "i mangiapane" (invariabile) e 13.200 per "i mangiapani" (variabile). La differenza  è esigua. Quindi... Si veda qui e qui.



E a proposito di pane, alcuni proverbi che riguardano questo alimento:
Chi dà del pane a cani altrui spesso viene abbaiato dai suoi || chi accumula e altro ben non fa sparagna il pane e all'inferno va || sott'acqua fame e sotto neve pane || a fame pane a sete acqua a sonno panca || al pan duro dente acuto || casa mia donna mia pane e aglio vita mia || chi compra pane al fornaio legna legate e vino al minuto non fa le spese a sé ma ad altri || al povero manca il pane al ricco l'appetito || aprile freddo sera e mane gran copia di vino e pane || chi ara da sera a mane d'ogni solco perde un pane || aria a fette lampi e saette; aria a scalelli acqua a pozzatelli; aria pecorina se non piove la sera piove alla mattina; aria a pane se non piove oggi pioverà domane || assai mane fan presto il pane || biada di mugnaio vin di prete e pan di fornaio non fare a miccino || bisogna dire pane al pane || cacio serrato e pan bucherellato || chi ha buon pane e buon vino ha troppo un micolino || chi ha buon pane e buon vino ha troppo un micolino || chi ha del pane mai non gli manca cane || alle tre si cuoce il pane (o si corre il palio o si dà il cavallo) || alla certosa è un cert'uso chi vi va e non ha fretta tocca un pane e una mezzetta || a Roma ci vogliono tre cose: pane panni e pazienza || chi ha denti non ha pane e chi ha pane non ha denti || a pane di quindici giorni fame di tre settimane || a chi fa il pane e staccia non gli si ruba focaccia || a mezzo gennaio mezzo pane e mezzo pagliaio || al pan si guarda prima che s'inforni || a chi ha lardo e pane non mancano gli ospiti || chi ha pane e vino sta meglio che il suo vicino || a Natale mezzo pane; a Pasqua mezzo vino || ai ragazzi pane e scarpe || chi imita la formica nell'estate non va a chieder pane nell'inverno || chi non ha imparato nulla vivrà di pan stentato || chi mangia sempre pan bianco spesso desidera il nero || chi non ha pane lavorato agosto diventa maggio.



(da: Dizionario Italiano a cura di Enrico Olivetti)


domenica 28 gennaio 2018

Sí, forse stiamo esagerando...


ARABIA SAUDITA


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Sí, ci rendiamo perfettamente conto che forse stiamo esagerando nel condannare la "lingua" degli operatori dell'informazione, ma il titolo su citato, di un quotidiano in rete, "puzza" di anfibologia. Sembra che l'hotel sia diventato di lusso "per corruzione ". A nostro modo di vedere, per non creare ambiguità e incertezza (anfibologia o anfibolia), il titolo "corretto" avrebbe dovuto recitare: «[...]al-Waleed: da tre mesi ai domiciliari per corruzione in un hotel di lusso».  A proposito di anfibologia rimandiamo a un nostro vecchio intervento.

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La parola proposta da questo portale e non a lemma nei vocabolari dell'uso: amniomanzia.

venerdì 26 gennaio 2018

Sgroi - Occhio alla grammatica profonda del Ministro! Atto secondo

di Salvatore Claudio Sgroi *



1. La frase "fatale" in bocca al Ministro

La frase del ministro Valeria Fedeli, a capo del MIUR, pronunciata il 20 dicembre 2017 ‒ «[...] perché offrano percorsi e assistenza SEMPRE [enfatizzato] || più migliori a studenti e studentesse» ‒, ha attirato l'attenzione dei lettori e sollecitato risposte da più parti sia di giornalisti (per. es. Adriano Sofri sul Foglio del 21 dicembre 2017), sia di studiosi-universitari (Stefano Bartezzaghi 22 dicembre su Twitter in risposta a Mattia Feltri, giornalista ed ex docente di semiotica, e in HUFFPOST; Massimo Arcangeli nel FattoQuotidiano.it / BLOG di Giocabolario del 27 dicembre; Francesco Sabatini a Uno mattina in famiglia 31 dicembre) e ora da ultimo la risposta di Paolo d'Achille al servizio di consulenza della Crusca del 5 gennaio 2018. Il problema sollevato dalla frase è duplice: da una parte riguarda l'analisi linguistica al livello morfosintattico e di pronuncia (comparativo di maggioranza, di stampo popolare?), dall'altra il giudizio normativo (frase corretta o no?). Quanto al giudizio di correttezza, sia Sofri che Bartezzaghi hanno dichiarato che «non è un errore», non così invece M. Arcangeli («uno svarione»; «Ammetta [la ministra] il suo errore, non le costa niente») né Francesco Sabatini (solo "una svista"). Dopo la nostra analisi Occhio alla grammatica profonda del Ministro, del 24 dicembre 2017, ritorniamo sul tema per analizzare la risposta della Crusca («Cerchiamo di essere sempre più... obiettivi!») del 5 gennaio, con analisi grammaticale e giudizio diversi dal nostro (poco importa), ma che ci sembrano invero contraddittori nelle argomentazioni e dell'analisi e del giudizio. Avanziamo nel contempo una nuova Analisi prosodica (§ 4) della frase.

2. Un comparativo analitico erroneo

Per la Crusca si tratta innanzi tutto di «errore [...] innegabile», ovvero di «improprietà linguistica  [...] innegabile», di «inaccettabilità del costrutto», di «costrutto [...] erroneo», meritevole di «censura grammaticale», dinanzi al quale ‒ conclude drammaticamente D'Achille ‒ è «soprattutto la scuola che, in circostanze del genere, si sente ferita».

2.1. «Più migliore» non rientrerebbe nell'«italiano popolare e dei testi semicolti»

Tale errore tuttavia ‒ a giudizio dello stesso D'Achille ‒ «non va però inserito nella tipologia dei comparativi organici preceduti da più propria dell’italiano popolare e dei testi semicolti». Questa classificazione è decisamente insolita. Trattandosi, come pure si sostiene, di «comparativ[o] organic[o] precedut[o] da più», si tratta indubbiamente di un uso tipico dell'italiano popolare. E ciò col conforto anche della rinomata Enciclopedia dell'italiano della Treccani 2011 dove il «più migliore» è correttamente citato tra gli ess. della morfologia dell'«Italiano popolare» (p. 725). E quindi si può giustificare ‒ non per D'Achille però ‒ che si sia «grida[to] allo scandalo», trattandosi di una frase in bocca al Ministro della P.I.

2.2. Documentazione «saltuaria», «marginale», «non letteraria»

In realtà, il «SEMPRE // più migliori» del Ministro (si noti la presenza del «sempre») non è un comparativo pacificamente popolareggiante. Un dubbio dev'essere venuto allo stesso D'Achille stando alla esemplificazione sette-otto-novecentesca ‒ 5 esempi ‒, da lui meritoriamente fornita, ma svalutata («documentata saltuariamente e marginalmente, in testi di scarso impegno qualitativo»), e anche perché «assente dalla tradizione letteraria alla base della norma». Per D'Achille la frase del Ministro sarebbe alla fine il risultato di un «incompleto intervento correttorio su un testo precedente». Sinceramente, non saprei dire quale percorso ideativo abbia seguito chi ha scritto la "vituperata" frase. Alla fine, c'è un risultato finale che va analizzato così com'è, e valutato.

2.3. Il "Sempre più[,] migliori" esempio corretto solo perché non è un comparativo popolare

Per D'Achille «non bisogna neppure arrampicarsi sugli specchi per considerare la frase corretta a tutti i costi (come hanno fatto altri)». Chi ha giudicato corretta la frase (gli autori su menzionati e io nell'intervento del 24 dic.), lo ha fatto perché non l'ha analizzata come es. di comp. di maggioranza.

3. Analisi sintattica delle due possibili letture

Provo ora a sintetizzare il percorso seguito nella mia analisi linguistica.

3.1. Lettura del Ministro

Questa la frase scritta del Ministro: (1) «[...] perché offrano percorsi e assistenza sempre più migliori a studenti e studentesse», che è stata letta (sentendola in bocca al Ministro) con il «SEMPRE» enfatizzato, focalizzato e raggruppando «più migliori», con una pausa di stacco da «sempre», ovvero: (1.a) «[...] perché offrano percorsi e assistenza SEMPRE // più migliori / a studenti e studentesse», creando così un comparativo di maggioranza analitico (sintagma aggettivale «più migliori») di tipo popolare, e quindi normativamente errato. Nella frase (1.a) il «più» si riferisce a «migliori» rafforzandone con ridondanza il significato, dipende da «migliori» (che è "la testa"), con cui forma, come detto, un "sintagma aggettivale" («più Migliori» tipico dell'italiano popolare).

3.2. Lettura alternativa della frase del Ministro

Ma la stessa frase (1) poteva essere lettera con diversa pausa(zione), inequivoca se ci fossero state due virgole, ovvero: (1.b) «[...] perché offrano percorsi e assistenza, /sempre più/, migliori a studenti e studentesse», creando così un "sintagma avverbiale" («sempre più»), per nulla popolare, e quindi normativamente corretto. Nella frase (1.b) il «più» si riferisce a «sempre», rafforzandolo semanticamente, dipende da «sempre» (che è "la testa"), con cui forma, come detto, un "sintagma avverbiale" («Sempre più») per nulla popolareggiante. E a questo punto non è neppure necessario riferire il sintagma avverbiale «sempre più» al verbo reggente («offrano»): (1.c) «[...] perché offrano sempre più percorsi e assistenza migliori a studenti e studentesse», come pure io avevo suggerito.

3.3. La variante "Sempre di più migliori"

L'analisi di cui sopra risulta ancora più chiara se al posto dell'avv. «più», si inserisce il gruppo "Di più" (sintagma preposizionale): (2) "[...] perché offrano percorsi e assistenza sempre di più / migliori a studenti e studentesse”. A questo punto, l'ombra o la minaccia dell'italiano popolare scompare del tutto. Il gruppo "Sempre di più" forma un sintagma avverbiale con "sempre" che ne è la "testa" che regge "di più" (sintagma preposizionale). Il "Sempre di più" dipende a sua volta da "percorsi e assistenza" (che formano un Sintagma nominale). D'Achille cita peraltro un es. a fagiolo del 1784 ried. 1816 con "di più", sottovalutato: «sarò in istato di darle sempre di più migliori nuove».

4. Analisi prosodica del segmento /sempre più migliori/

A questo punto, rispetto alla nostra precedente analisi, possiamo analizzare più attentamente la frase incriminata, sotto il profilo prosodico. Il ritmo dell'italiano, determinato dall'alternanza di sillabe atone e sillabe toniche, è prevalentemente di tipo piano, cioè con "piedi" bisillabi (es. bène), a volte sdrucciolo con piedi cioè trisillabi (es. fàcile).

4.1. Lettura piana con tre "piedi"

Nel leggere la sequenza «sèmpre più migliòri» il Ministro ha seguito (inconsciamente) la Regola fonologica del ritmo "piano", ovvero, con tre "piedi" bisillabi piani: 1) /1SÈMPRE//,  /2ppiù-mmi/3gliòri/, collegando quindi "più" a "migliori", con raddoppiamento fonosintattico. Ma tale combinazione ("più migliori") sul piano morfologico rientra nell'italiano popolare, ed è normativamente errata. La "Regola prosodica" ha così avuto il sopravvento sulla "Regola morfologica" dell'italiano canonico (comparativo organico sintetico "migliore" e non già comparativo analitico "più migliore").

4.2. Lettura "degenerata" con quattro "piedi"

Una diversa lettura che teneva conto della Regola morfologica canonica avrebbe dovuto staccare "più" da "migliori", e realizzarsi senza raddoppiamento fonosintattico come: 2) /1sèmpre/2ppiù//, /3mi/4gliòri/. Ma in tal modo il ritmo prosodico sarebbe cambiato, non più di 3 piedi bisillabi, ma di 4 piedi, di cui due bisillabi, e due monosillabi "degenerati" (/2ppiù/ e /3mi-/. Volendo mettere a confronto i due ritmi, con cesure diverse: 1) /1SÈMPRE//, /2ppiù-mmi/3gliòri/ --  2) /1sèmpre/ 2ppiù//, /3mi/4gliòri/. La Regola morfologica ha quindi avuto la peggio rispetto alla Regola del ritmo piano nella realizzazione fonica del Ministro.

4.3. Enfasi fonologica (di «SEMPRE») e morfosintattica (di «più migliori»)

Va anche detto che il Ministro nella sua lettura piana (con 3 piedi) ha enfatizzato, fonologicamente l'avv. SEMPRE staccato e morfo-sintatticamente (ma in italiano popolare), l'agg. «più migliori»: 1) /1SÈMPRE//, /2ppiù-mmi/3gliòri/. La lettura "degenerata" (con 4 piedi) avrebbe invece comportato un'enfasi sintattica dell'avv. "sempre più" e non dell'agg. "migliori": 2) /1sèmpre/ 2ppiù//, /3mi/4gliòri/.



4.4. Lettura implicita del redattore con ritmo asimmetrico

È anche ragionevole ritenere che il testo nelle intenzioni di chi lo ha redatto, nell'insieme non certamente caratterizzabile come italiano popolare, sottintendeva la lettura con ritmo asimmetrico (con due piedi "degenerati") che avrebbe privilegiato la Regola morfologica del comparativo canonico.

4.5. Costrutto emendato ("sempre migliori")

D'altra parte la eliminazione (puristica?) del "più" con lettura "degenerata" (con 3 "piedi"): 3) /1SÈMPRE//, /2mi/3gliòri/, o anche con lettura simmetrica (in 2 "piedi" sdrucciolo e piano): 3.a) /1sèmpre /mi/2gliòri/, avrebbe anche significato un depotenziamento del «sempre più» pur voluto dallo scrivente.



5. Visualizzazione dei rapporti di dipendenza

Possiamo infine visualizzare la diversità dei rapporti sintattici della frase secondo le due diverse pronunce e i due diversi ritmi, ricorrendo a delle "scatole".

Scatola n. 1 (grammatica canonica): "Sintagma avverbiale [sempre più] + compar. organico canonico [migliori]":





Scatola n. 2 (grammatica popolare): "Avverbio [sempre] + sintagma aggettivale popolare [più migliori]":





6. Valutazione finale

Concludendo, il Ministro parlando ha realizzato con un ritmo simmetrico un comparativo popolare, errato normativamente, potenziando nel contempo fonologicamente il valore semantico del «SEMPRE», ma il testo scritto non era affatto di stampo popolare e mirava anzi a una implicita lettura con ritmo a-simmetrico ed enfasi dell'avv. «sempre più», normativamente corretta.

7. Sommario

La lettura dei titoli dei paragrafi in sequenza potrà alla fine fungere da 'riassunto' della "grammatica del parlato e dello scritto" relativamente a questo caso:
1. La frase "fatale" in bocca al Ministro
2. Un comparativo analitico erroneo
2.1. «Più migliore» non rientrerebbe nell'«italiano popolare e dei testi semicolti»
2.2. Documentazione «saltuaria», «marginale», «non letteraria»
2.3. Il "Sempre più[,] migliori" esempio corretto solo perché non è un comparativo popolare
3. Analisi sintattica delle due possibili letture
3.1. Lettura del Ministro
3.2. Lettura alternativa della frase del Ministro
3.3. La variante "Sempre di più migliori"
4. Analisi prosodica del segmento /sempre più migliori/
4.1. Lettura piana con tre "piedi"
4.2. Lettura "degenerata" con quattro "piedi"
4.3. Enfasi fonologica (di «SEMPRE») e morfosintattica (di «più migliori»)
4.4. Lettura implicita del redattore con ritmo asimmetrico
4.5. Costrutto emendato ("sempre migliori")
5. Visualizzazione dei rapporti di dipendenza
6. Valutazione finale


* Docente di linguistica generale presso l'Università di Catania.

Tra i suoi ultimi libri Il linguaggio di papa Francesco (Libreria editrice Vaticana 2016), Maestri della linguistica otto-novecentesca (Edizioni dell’Orso 2017), Maestri della linguistica italiana (Edizioni dell’Orso 2017).




giovedì 25 gennaio 2018

E se riscoprissimo la nostra meravigliosa lingua italiana?


In questo sito sono elencate TRECENTO parole "barbare" che si possono perfettamente scrivere e dire in lingua italiana (gli operatori dell'informazione, per primi, ne prendano atto: conosciamo molte persone che non comprano piú i giornali perché sono stanche di essere costrette a portarsi dietro il vocabolario d'inglese per leggere un giornale... italiano). Si veda anche qui.

martedì 23 gennaio 2018

"Sono" seduto o "ho" seduto? Dipende...


Stupisce il constatare che i "sacri testi" (grammatiche e vocabolari) in nostro possesso indichino solo il verbo essere da adoperare per la coniugazione dei tempi composti del verbo "sedere". Sí, d'accordo, il verbo sedere, come buona parte dei verbi intransitivi, prende l'ausiliare essere: sono andato; sono uscito; sono seduto. Ci sono dei casi, però - non riportati, come dicevamo, nei testi grammaticali - in cui il verbo in questione prende l'ausiliare "avere". Quando sedere vale "occupare un posto"; "svolgere una funzione"; "prendere parte"; "rivestire una carica" e simili: Tizio e Caio hanno seduto in Parlamento per due legislature; Giovanni ha seduto in presidenza fino alla quiescenza. Sedere, del resto, non è parente di "presiedere"? E questo, intransitivo, con le varie accezioni (coordinare, sovrintendere, dirigere e simili) non richiede l'ausiliare avere? Caio e Sempronio hanno presieduto ai lavori della prima riunione della commissione. Il verbo sedere coniugato con l'ausiliare "avere" si trova, peraltro, in queste pubblicazioni.

lunedì 22 gennaio 2018

Darsele di santa ragione


Pregiatissimo dott. Raso,
ero in cerca di una regola grammaticale e un caro amico mi ha segnalato il suo blog: l'ho spulciato e ho trovato la regola che cercavo. Inutile dirle che l'ho messo subito tra i preferiti. Ne approfitto per una curiosità linguistica. Perché quando due si picchiano si dice che se le danno di santa ragione? È "santa"  la ragione, cioè il motivo dell'uno o dell'altro? Dov'è la "santità" nel picchiarsi? Proprio non capisco: può svelarmi questo "mistero"?
Grazie e complimenti vivissimi per il suo lodevole e istruttivo impegno.

Arturo A.

Rovereto (Trento)

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Gentile Arturo, la ringrazio per i complimenti. Può trovare la risposta alla sua domanda in un mio vecchio intervento. Clicchi qui.

domenica 21 gennaio 2018

Fare il negro di qualcuno

Questo modo di dire dovrebbe essere noto a coloro che operano nel mondo dell'editoria e del giornalismo. Si chiama "negro" la persona che redige articoli che, in seguito, verranno firmati da un autore più... autorevole. Si dice anche di persona che svolge lavori molto faticosi per conto di altri.

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La parola proposta da questo portale e non "lemmata" nei vocabolari dell'uso: anemòmilo. Sostantivo maschile con il quale si indica/indicava il mulino a vento.

sabato 20 gennaio 2018

Posto «da» o poto «di»?


parma



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Non ci stancheremo mai di ripetere che i giornali (ma non solo) devono divulgare la lingua in modo corretto perché entrando in tutte le case sono "fruiti" anche da persone poco avvezze in fatto di lingua e queste prendono "per buono" tutto ciò che leggono. La stampa, insomma, deve diffondere le notizie corrette anche sotto il profilo linguistico e questo, purtroppo...  Il titolo su riportato, infatti, non riflette la lingua corretta. Perché? Perché si dice "posto di infermiere", non "da" infermiere. Siamo in presenza di un normalissimo complemento di specificazione. Si specifica, infatti, di "quale" posto si tratta. Vediamo, in proposito, ciò che scrive il vocabolario Treccani in rete:

[...]  6. a. Impiego, ufficio che costituisce l’occupazione abituale e da cui si traggono, tutti o in parte, i mezzi di sostentamento: essere alla ricerca di un p.; trovare un p.; offrireprocurare un p.; avere un buon p., un ottimo p., un pmiseromodestoperdereconservare il p.; ci tengo al mio p.!; seguito dalla specificazione dell’impiegomettere a concorso trecento pdi maestroè vacante il pdi segretariodi redattore capo; anche con riferimento a cariche elevate: aspirare a un ppiù altosi sono presi i pmiglioriavereoccupare un pdi grande responsabilitàessere ai pdi comando. Con sign. più astratto, la dignità e il decoro che l’ufficio o la carica conferiscono, la stabilità economica che ne viene, la stima e il credito che ne sono il riflesso: averefarsi un pnella vitanella societàda tutti i portamenti di don Gonzalopare che avesse una gran smania d’acquistarsi un pnella storia (Manzoni)[...].

venerdì 19 gennaio 2018

«Violenti» raffiche di vento




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Ci dispiace veramente lanciare strali sugli organi d'informazione. Ma come facciamo a sottacere davanti a uno strafalcione che fa bella mostra di sé nel titolo che avete appena letto? Quale strafalcione? "Violenti raffiche". Sí, violenti in luogo della forma corretta violente. Forse i titolisti del giornale in rete non "ricordano" le classi - tre -  in cui si dividono gli aggettivi. Facciamo - succintamente - un piccolo ripasso. Perché, dunque, "violente"? Perché è un aggettivo  della prima classe (come buono). Questi aggettivi hanno la desinenza  "-o", per il maschile singolare; "-a" per il femminile singolare; "-i" per il maschile plurale ed "-e" per il femminile plurale: buono, buona, buoni, buone. Quindi: violento, violenta, violenti, violente. Appartengono alla seconda classe gli aggettivi che hanno un'unica desinenza tanto per il maschile e femminile singolare quanto per il maschile e femminile plurale, e sono  "-e" e "-i": facile (maschile e femminile singolare), facili (maschile e femminile plurale). Fanno parte della terza classe, infine, gli aggettivi che hanno la desinenza "-a" per il maschile e femminile singolare e "-i" ed  "-e" rispettivamente per il maschile plurale e per il femminile plurale: entusiasta (maschile e femminile singolare); entusiasti (maschile plurale); entusiaste (femminile plurale).

* Nella pagina interna il titolo è diverso.

mercoledì 17 gennaio 2018

«Fare a capelli»


Un' interessante disquisizione sull'espressione fare a capelli.

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La parola proposta da questo portale:  squarquoio. Aggettivo di carattere regionale toscano che sta per cadente, decrepito, vecchio, rimbambito e simili. Di etimologia incerta, secondo i vocabolari consultati. Di diverso avviso il Pianigiani anche se - come abbiamo sempre scritto - non ritenuto fededegno da molti linguisti.

martedì 16 gennaio 2018

Sgroi - La fede solo in «dialetto»? (Papa Francesco dialettofilo linguista-semiologo)

di Salvatore Claudio Sgroi*

1. Ipse dixit. Così parlò il Sommo Locutore

«La trasmissione della fede soltanto può farsi in dialetto, la lingua intima delle coppie. Nel dialetto della famiglia, nel dialetto di papà e mamma, di nonno e nonna» ‒ sono le parole dette da Papa Francesco (così nel testo riportato da R.it Vaticano on line e in altre testate) in occasione della messa per la festa del battesimo di Gesù, domenica 7 gennaio, in cui ha battezzato nella Cappella Sistina 34 neonati.

Il Sommo locutore ha quindi ribadito:

«Ma non dimenticatevi questo: [la trasmissione della fede] si fa in dialetto, e se manca il dialetto, se a casa non si parla fra i genitori quella lingua dell'amore, la trasmissione non è tanto facile, non si potrà fare».

La prima perplessità che possono invero far sorgere tali frasi è che la trasmissione della fede non possa aver luogo con gli italofoni nativi esclusivamente tali, in quanto non-dialettofoni. Ovvero sembrerebbe che il Papa sopravvaluti il "Dialetto" rispetto alla "lingua", come se la stessa trasmissione della fede non potesse aver luogo in "lingua". Il che sarebbe paradossale.

2. Dialetto «lingua intima», «lingua dell'amore»

Ora, nella formulazione del Sommo locutore il termine «Lingua» appare adoperato accanto a «dialetto» come termine più generale, "iperonimo" di dialetto («dialetto, la lingua intima delle coppie»; «il dialetto [...] lingua dell'amore»). Ovvero, per papa Francesco, la «Lingua» si presenta come idioma caratterizzato da più varietà: (i) quella «intima» ovvero 'privata' detta «dialetto», e (ii) per contrasto implicitamente quella "non-intima", 'non-privata', ossia 'pubblica', ufficiale, che è quella «dei catechisti», evocati in una ulteriore enunciazione:

«Poi verranno i catechisti a sviluppare questa prima trasmissione, con idee, con le spiegazioni» [della lingua pubblica, non intima].

3. Dialetti primari e dialetti secondari

In che senso, a questo punto, i parlanti italiano ma non dialetto, ovvero gli italofoni che non sono dialettofoni, non sono esclusi dalla trasmissione della fede?

Il «dialetto della famiglia», «il dialetto di papà e mamma», «il dialetto di nonno e nonna» in quanto «lingua intima», riguardano tecnicamente, per dirla con Eugenio Coseriu, i "dialetti primari" parlati in Italia (per es. piemontese, emiliano, napoletano, siciliano, ecc.). I parlanti "non-dialettofoni primari" in quanto italofoni esclusivi sono però a loro volta "dialettofoni secondari", in quanto l'italiano lingua nazionale si configura come insieme di varietà di italiani regionali, definibili con Coseriu come "dialetti secondari". E gli italiani regionali presentano registri differenziati, da quelli più familiari a quelli più formali, tra cui scegliere secondo gli interlocutori, i contesti, l'oggetto della interazione.

Ecco dunque come tutti i parlanti rientrano, in quanto tutti dialettofoni primari e secondari, -- comunemente bilingui (lingua/dialetto) o anche esclusivamente monolingui, -- nella categoria indicata da Bergoglio come "parlanti in dialetto" (primario e secondario).

4. Il «dialetto» (primario o secondario) in quanto lingua nativa (non seconda)

Per Bergoglio il «dialetto» è allora essenziale in quanto idioma nativo, acquisito (più che "appreso") per primo nell'interazione naturale in famiglia prima, e poi con i pari, per tutti i bisogni espressivi, interattivi, cognitivi. E l'idioma nativo può essere o un dialetto "primario" oppure il dialetto "secondario" (la lingua nazionale in una qualsiasi varietà regionale, appresa in famiglia, con i pari e a scuola).

5. Il pianto «un dialetto», «una lingua»

Ma l'intervento di Papa Francesco è rilevante anche a un livello teorico, più generale, quello semiologico, perché "il pianto" dei battezzandi, in quanto linguaggio non-verbale, espressivo-comunicativo con riferimento a richieste, bisogni diversi, è definito un vero e proprio «dialetto» e «lingua»:

«Adesso tutti [i bambini] stanno zitti ma è sufficiente che uno dia il tono, e poi l'orchestra segue. Il dialetto dei bambini, e Gesù ci consiglia di essere come loro, di parlare come loro».

«Noi non dobbiamo dimenticare questa lingua dei bambini, questa lingua, parlano come possono, ma è la lingua che piace tanto a Gesù».

«Anche loro [i bambini] hanno il proprio dialetto, che ci fa bene sentirlo».

6. Il pianto?: «un'orchestra», «un concerto»

Se il pianto dei bambini è per lo più percepito come un "rumore", papa Francesco non solo lo rivaluta semiologicamente, come lingua-dialetto, ma giudica i pianti dei battezzandi «un'orchestra», ovvero «un concerto».

«Adesso tutti stanno zitti ma è sufficiente che uno dia il tono, e poi l'orchestra segue», aveva detto.

«E se loro [i battezzandi] incominciano a fare il concerto è perché non sono comodi, o hanno troppo caldo, o non si sentono a loro agio, o hanno fame».

Così facendo, papa Francesco si mostra in straordinaria sintonia con i teorici del linguaggio per i quali il linguaggio verbale presenta "la melodia" rispetto alla musica, che è invece caratterizzata dalla "armonia", risultante dall'accordo di più voci, da una "sinfonia" come in una «orchestra», in un «concerto» (cfr. per es. A. Moro, Le lingue impossibili, Cortina ed. 2017, pp. 79-80).

7. Il pianto delle madri

Accanto al dialetto, anche le madri non mancheranno di far ricorso alla stessa lingua dei neonati, il pianto. «[Il pianto] è la lingua dei bambini, parlano come possono ma è la lingua che piace tanto a Gesù», sottolinea Bergoglio. «E nelle vostre preghiere siate semplici come loro, dite come loro anche con il pianto»; «dite a Gesù quello che è nel vostro cuore, come dicono loro oggi, lo diranno col pianto, come i bambini».

8. L'allattamento «un linguaggio di amore»

Papa Francesco invita ancora le mamme ad allattarli pure, i bambini, in chiesa. L'allattamento è così semiologicamente interpretato come «linguaggio di amore»:

«Se [i bambini] hanno fame, allattateli, senza paura, dategli da mangiare, perché anche questo è un linguaggio di amore».

9. Modello linguistico-semiologico del Sommo locutore

Concludiamo, riprendendo termini e concetti di Papa Francesco ordinati in un modello teorico linguistico-semiologico che ne evidenzia la logicità e coerenza: