giovedì 2 novembre 2017

Osservazioni... (2)



I GRAMMATICI usano dividere le sillabe in “aperte” quando finiscono con una vocale: ma-re; te-so-ro e in “chiuse” quando, invece, finiscono con una consonante: al-cher-mes. Una parola può essere costituita, quindi, di tutte sillabe aperte o di tutte sillabe chiuse; la maggior parte dei vocaboli, però, è composta di sillabe che chiameremo “miste” (aperte e chiuse): bab-bo; sin-da-co; mam-ma; sol-do. A questo punto il discorso ci porta a spendere due… parole sulla divisione delle sillabe in fin di riga (o di rigo); come si va “a capo”, insomma, con le parole formate con prefissi “speciali”: ben-, in-, mal-, cis-, dis-, pos-, trans- o tras-. Le parole così composte possono dividersi in sillaba senza tener conto del prefisso (che fa sillaba a sé) oppure considerare il prefisso parte integrante della parola. Ci spieghiamo meglio con un esempio. Dispiacere si può dividere considerando il prefisso sillaba a sé; avremo, quindi, dis-pia-ce-re, oppure, “normalmente”, di-spia-ce-re. Trastevere – altro esempio – si può dividere secondo l’una o l’altra “regola”: Tras-te-ve-re o Tra-ste-ve-re. Consigliamo vivamente, a coloro che non sono in grado di distinguere con assoluta certezza i prefissi componenti, di attenersi – nell’andare “a capo” – alla normale divisione sillabica. Eviteranno, in questo modo, di incorrere in spiacevoli strafalcioni. In caso di dubbio si può consultare una buona grammatica dove, nel “sillabo”, sono riportati tutti gli argomenti trattati, messi anche in ordine alfabetico.


STUPISCE il constatare che molte persone confondono la preposizione con la proposizione, ritengono, cioè, i due termini l’uno sinonimo dell’altro. Vediamo, quindi – sia pure per sommi capi – che cosa è la “proposizione” (con la “o”). Ce lo dice la stessa parola latina dalla quale deriva (“propositio”, ‘cosa proposta’ alla considerazione, alla discussione e, per tanto, “argomento”, “concetto”) vale a dire “gruppo di parole unito a un verbo che esprima un pensiero riguardo a un dato argomento”, insomma una frase: Giovanni legge attentamente; Paolo rimira le stelle; Giuliano risolve i cruciverba. In tutti questi esempi ogni parola è unita a un verbo e forma, o meglio esprime un concetto “proposto” (‘proposizione’) alla nostra attenzione. Gli “ingredienti” essenziali di una proposizione sono il soggetto e il verbo, senza quest’ultimo, anzi, non si ha alcuna proposizione in quanto il gruppo di parole risulterebbe “slegato”. Ma cos’è il soggetto, elemento “principe” – dopo il verbo – di una proposizione? Semplicissimo: è la persona, l’animale o la cosa di cui si parla. Viene dal latino “subiectus” ed è l’elemento “sottoposto” a un giudizio, vale a dire – per usare le parole del linguista Francesco Ugolini – “il termine di cui si afferma una maniera d’essere o d’agire”. Negli esempi sopra riportati “affermiamo” che Giovanni legge attentamente, che Paolo rimira le stelle e che Giuliano risolve i cruciverba; Giovanni, Paolo e Giuliano sono, per tanto, “elementi sottoposti” a una nostra considerazione. Attenzione, quindi, non si confonda la “preposizione” con la “proposizione”: il figlio di un nostro conoscente ha scritto – in un compito in classe – che trovava “difficoltoso riconoscere i vari complementi contenuti in una preposizione”. Riteniamo superfluo riportare il giudizio negativo dell’insegnante, fortunatamente di quelli con la “i” maiuscola. E visto che siamo in tema di proposizioni evitate – se desiderate scrivere forbitamente – di adoperare l’avverbio “onde” seguito da un infinito (anche se usato da “firme eccellenti”): ti scrivo onde avvertirti del mio arrivo. Si dirà, correttamente, ti scrivo “per” avvertirti del mio arrivo. Sí, siamo caduti nella pedanteria, ma non importa. Onde, è bene ricordarlo, è un avverbio di luogo, precisamente di moto da luogo, è il latino “unde” e vale “da dove”; non ci sembra corretto adoperarlo, quindi, per introdurre una proposizione finale o causale. Non è, insomma, una parolina ‘multiuso’ anche se molte cosí dette grandi firme non si fanno scrupolo alcuno dell’uso improprio. Abbiamo sempre detto, infatti, che non tutti gli scrittori sono linguisti e che non tutti i giornalisti sanno adoperare la lingua a dovere. Voi, amici, seguite chi volete; se desiderate, però, scrivere (e parlare) correttamente diffidate di queste “firme illustri”.



DORMENTE e dormiente sono entrambe le forme del participio presente del verbo dormire e, in quanto tali, si possono adoperare indifferentemente. La prima forma è quella piú comune e "piú regolare" perché segue la "regola" del paradigma dei verbi della III coniugazione che formano il participio presente aggiungendo al tema la desinenza "-ente": "dorm" (tema), "-ente" (desinenza). La seconda rispecchia la forma latina, cioè "dormiens, dormientis": dormiente(m). Nell'uso, però, si tende ad adoperare la forma latineggiante (dormiente) in funzione di sostantivo: il dormiente, i dormienti.

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La parola proposta da questo portale e non a lemma nei vocabolari dell'uso:  ferraguto.  Aggettivo  sostantivato  che sta per  "ladro di campagna".







10 commenti:

Gilberto ha detto...

ONDE ha anche la funzione di congiunzione finale (voc. Treccani).
Gilberto

Fausto Raso ha detto...

In proposito le riporto ciò che scrive Vincenzo Ceppellini nel suo "Dizionario Grammaticale" (pag. 335):
«[...] scorretto è l'uso con l'infinito. Es.: Accorreremo sul posto per (e non: onde) recare aiuto ai feriti [...]».

Con cordialità
FR

Gilberto ha detto...

In proposito anche il voc. Treccani sconsiglia l'uso di ONDE con l'infinito ma ne reputa corretto l'uso con il congiuntivo, del quale lei non tiene minimamente conto.
Gilberto

Fausto Raso ha detto...

Io ho solo scritto che non è corretto l'uso di onde seguito da un infinito.
FR

Gilberto ha detto...

Lei ha scritto che NON le SEMBRA CORRETTO ADOPERARLO PER INTRODURRE UNA PROPOSIZIONE FINALE O CAUSALE, vale a dire che non le sembra corretto adoperare ONDE come congiunzione...
Gilberto

Fausto Raso ha detto...

Sí, ha ragione, ho scritto che non mi sembra corretto adoperare "onde" per introdurre una proposizione finale o causale (ho dovuto "rileggermi") e lo confermo. Onde, essendo un "avverbio di moto da luogo", deve avere sempre un "valore di provenienza". Quando introduce una finale o una causale non ha il "valore" predetto. Nell'uso corrente...
FR

Gilberto ha detto...

Ed è l'uso corrente che conta, al netto degli strafalcioni. Altro che le sue inquietanti restrizioni e la sua sinistra nostalgia degli anni del più becero oscurantismo (linguistico e no).
Gilberto

Fausto Raso ha detto...

Egregio Gilberto,
se non le piacciono le mie "inquietanti restrizioni" e "la sinistra nostalgia degli anni del più becero oscurantismo", non mi legga più. Non glie lo (sic!) ha ordinato il medico.
FR

Gilberto ha detto...

Infatti...
Gilberto

Fausto Raso ha detto...

Arrivederci...
FR