domenica 12 febbraio 2017

Scrittori di... Vaglia


A proposito del declino della lingua italiana, riproponiamo, rivisto, un nostro modesto intervento di qualche anno fa perché abbiamo notato che alcuni cosí detti scrittori "di Vaglia" continuano, imperterriti, a calpestare l'idioma divino.



Musa, tu che sei grande e potente, dall’alto della tua magniloquenza, non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate. E così sia. Questa la preghiera dei genitori che hanno a cuore l’istruzione linguistica dei propri figli. Come facciamo noi, ogni mattina, quando sfogliamo le pagine «culturali» dei quotidiani.

Ci sembra assurdo dover constatare che i così detti scrittori di vaglia (non di vaglio, come erroneamente si sente dire e si legge spesso) non tengano nella dovuta considerazione (o non le conoscono?) le regole grammaticali, inducendo in errore i giovani studenti che debbono essere plasmati dal punto di vista linguistico-grammaticale (ma non solo).

Tremiamo al pensiero che i nostri figli — seguendo l’esempio «illustre» degli autori che «fanno la lingua» — possano scrivere cassaforti e acquaforti in luogo di casseforti e acqueforti — le sole forme corrette — rimediando un bel 4 nei loro componimenti se questi sono al vaglio di insegnanti con la i maiuscola.

Stentiamo a credere che questi luminari della lingua non sappiano che i predetti sostantivi appartengono alla schiera dei nomi composti e in quanto tali formano il plurale secondo una regola ben precisa. Vediamola.

I nomi composti di un sostantivo e di un aggettivo formano il plurale mutando le desinenze di entrambi i componenti: cassaforte (cassa, sostantivo; forte, aggettivo), casseforti; acquaforte, acqueforti. L’unico vocabolario (se non cadiamo in errore) — tra i numerosissimi consultati — che ammette la forma plurale acquaforti è il permissivo Zingarelli (nell’edizione in nostro possesso, per lo meno; non sappiamo se le altre edizioni siano state emendate).

E che dire — sempre degli scrittori di vaglia — che costruiscono il participio presente inerente con il complemento oggetto e non con il complemento di termine come vuole la legge linguistica dei nostri padri latini?

Per non essere tacciati di presunzione sentiamo ciò che dice, in proposito, il linguista Aldo Gabrielli.

 «Questo inerente è il participio presente di un verbo inerire ormai pressoché scomparso dal comune linguaggio, e perciò generalmente non registrato dai minori dizionari; esso affiora solo tratto tratto in certi linguaggi particolari, come quello giuridico e filosofico, per esempio. Oggi solo inerente è nell’uso, e non sempre si costruisce a dovere; tanto che frasi come atti inerenti la causa; indagini inerenti il delitto si incontrano sempre più di frequente negli atti giudiziari soprattutto. Sono frasi sbagliate perché il verbo inerire, etimologicamente affine ad aderire, si costruisce, come questo, col complemento di termine e non con il complemento oggetto: atti inerenti alla causa; indagini inerenti al delitto».



Per non parlare di coloro, e chiudiamo queste noterelle, che scrivono complementarietà, elementarietà e simili, ignorando che quella e inserita dopo la i è un abuso linguistico. I sostantivi derivanti da aggettivi in –re, per meglio dire da aggettivi della seconda classe (facile, semplice) prendono il suffisso –ità, non –ietà.

Da elementare avremo, quindi, elementarità; da vario, invece, varietà. Il suffisso –ità, insomma, dal latino itas, itatis, si trasforma in –ietà quando la base (l’aggettivo) termina in –io: abitudinario, abitudinarietà; vario, varietà, per l’appunto.

Per gli scrittori di vaglia, insomma, la grammatica (e le sue leggi) non fa parte della loro cultura. Troppe parole grammaticalmente scorrette sono state immesse sul mercato della lingua da costoro tanto che alcuni termini palesemente errati sembrano, al contrario, correttissimi e viceversa.

Comproduzione, ad esempio, vocabolo correttissimo, è stato affossato da coproduzione, termine errato e messo sul mercato da gente senza scrupoli linguistici. Ci piacerebbe che qualcuno di costoro ci spiegasse per quale oscuro motivo comproprietà va bene e comproduzione no, preferendo, per l’appunto, la voce — ripetiamo — errata coproduzione. Attendiamo con ansia e gratitudine anche il parere di qualche gramuffastronzolo.

Noi, modestamente, insistiamo: per certi scrittori la grammatica non fa parte della loro cultura. Prendete un giornale qualunque, apritelo alle «pagine culturali» (ma non solo) e, se amate la lingua, ci darete ragione.

Gli scrittori che ci tengono, coloro ai quali piace che la s sia maiuscola, prestino attenzione se vogliono essere di vaglia (con la v minuscola) e non di... Vaglia. Vaglia, come forse saprete, è un piccolo paese della Toscana di nessuna importanza (con tutto il rispetto per gli abitanti). Uno scrittore di "Vaglia", quindi...

A buon intenditor poche parole.






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