martedì 28 febbraio 2017

Una mano "alla francese"

Il sostantivo mano (di genere femminile, pur terminando in -o, perché ha conservato il "sesso" che aveva in latino) concorre alla formazione di alcune locuzioni che "odorano" di francese e, per tanto, da evitare in buona lingua italiana. Vediamo le piú comuni: fare la mano, colpo di mano e salutar della mano. La prima espressione l'adoperano i giocatori in luogo di quella "italiana" dare le carte. È usata correttamente, invece, nell'accezione di "abituarsi", "essere avvezzo" e simili: occorre fare la mano a quel tipo di apparecchiatura. La seconda, "colpo di mano", si può sostituire con aggressione, scorreria, rapina, prendere di sorpresa e simili, secondo i casi, naturalmente. L'ultima, infine, e correttamente, salutare con la mano.

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La carta assorbente

Forse pochi sanno che la carta assorbente nacque per l’errore di un operaio, errore che gli costò il licenziamento da parte del proprietario della cartiera dove lavorava, in una località del Regno Unito. Il dipendente aveva dimenticato di mettere, nell’impasto di una carta comune, la giusta quantità di colla. Trascorso un po’ di tempo, il padrone della cartiera si accorse che quella carta, che egli riteneva inutilizzabile, assorbiva l’inchiostro senza spanderlo: il povero operaio, inavvertitamente, aveva fatto un’importantissima scoperta. Questo tipo di carta, eccezionale, venne lanciato sul mercato riscotendo un immediato e enorme successo facendo la fortuna del “cartaio”. Da quel momento la cartiera produsse esclusivamente carta assorbente e l’operaio, riassunto con tutti gli onori, ne divenne il direttore.

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I puntini di sospensione? Si ascoltano

Mariangela Galatea Vaglio nella rubrica di lingua del settimanale L'Espresso scrive a proposito dell'uso corretto dei puntini di sospensione:


I puntini di sospensione, in italiano, si usano quando si vuole lasciare intendere che una lista o un discorso continuano, o meglio potrebbero ancora continuare a lungo, ma l'autore prova un moto di pietà nei confronti dell'uditorio, e mette quindi i puntini per indicare che lascia il resto all'immaginazione del lettore.

Non sapevamo, lo confessiamo onestamente, che i puntini di sospensione si "ascoltassero". Noi avremmo scritto, sbagliando evidentemente, che "l'autore prova un moto di pietà nei confronti di chi legge" (per non ripetere lettore, che si trova alla fine del periodo).
Per un uso appropriato (e circostanziato) dei puntini di sospensione consigliamo di dare "un'occhiata" qui e qui.

lunedì 27 febbraio 2017

Quante zeta/zete?


Cortese dott. Raso,
dall'inserto culturale "Robinson" del quotidiano "la Repubblica" sono venuta a conoscenza del suo blog, che ho subito visitato e messo tra i preferiti: è una miniera di curiosità linguistiche e di "suggerimenti" grammaticali non riportati nelle grammatiche scolastiche. Ne approfitto subito per porle una domanda. Come faccio a sapere quando una parola si deve scrivere con due zeta e quando con una? Quando scrivo sono presa spesso da questo dubbio. Confido in una sua cortese e sollecita risposta.
Con i migliori saluti.
Giuseppina A. 
Pesaro
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Gentile Giuseppina, lo stesso quesito mi fu posto - tempo fa - da un altro lettore. Può trovare la risposta cliccando qui.
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Batticuore - non è un sostantivo invariabile (Treccani), si pluralizza normalmente: il batticuore, i batticuori.
Bazooka e bazuka - il primo termine indica un'arma anticarro, il secondo l'asta metallica sulla quale si monta la cinepresa.
Be' - forma "apocopata" dell'avverbio bene, adoperata nelle esclamazioni e nelle interrogazioni, si scrive con l'apostrofo, meno bene con l' h finale: be', come è andato l'esame?

domenica 26 febbraio 2017

"In difesa" di redarre


In difesa di 'redarre' (e di De Mauro) un intervento di Salvatore Claudio Sgroi, tratto da "risposte ai quesiti" del sito dell'Accademia della Crusca.



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Dare una stangata o essere stangato

 Il ragionier Piombini era fuori di sé:  aveva appreso che il suo collega di stanza sarebbe stato promosso al grado superiore, mentre lui, piú anziano, era fermo al settimo livello. Era invidioso, quindi,  e trascorreva le giornate pensando a come poter stangare il suo "amico"; pensava a quale ostacolo frapporre per impedirgli l'avanzamento di carriera. Un giorno fu sorpreso dal figlio mentre pensava ad alta voce: «Devo dargli una stangata, devo dargli». Il piccolo corse nel ripostiglio, prese una stanga di legno e, con aria trionfale, la consegnò al padre: «Ecco la stanga, papà, puoi toglierti la soddisfazione». Ci volle tutta la pazienza del padre per convincere il piccolo che egli intendeva dire una stangata in senso metaforico. «Donde viene, allora, questo modo di dire?», domandò con evidente interesse il giovinetto. «Innanzi tutto - cominciò il padre - "essere o venire stangato" significa ricevere un colpo, in senso figurato, da cui è molto difficile risollevarsi; subire un rovescio di fortuna; essere fermato da un ostacolo o da un provvedimento che "taglia le gambe" (sempre in senso figurato) in una determinata attività. Tuo fratello, per esempio, ha ricevuto una stangata scolastica perché è stato bocciato; la stangata, cioè la bocciatura, è l'ostacolo che non ha permesso a Peppino di essere ammesso alla classe superiore. Il modo di dire si rifà a un'usanza antica: un tempo ai mercanti che dichiaravano il fallimento della loro attività si inchiodava sulla porta dell'esercizio una piccola stanga di legno, con i bolli dell'ufficio preposto, per segnalare che la bottega era stata chiusa al commercio, di conseguenza aveva cessato l'attività. Figuratamente, per tanto, chi riceve una stangata non può piú proseguire nella propria attività».

sabato 25 febbraio 2017

Redarre, voce corretta?


Peccato che l'illustre linguista Tullio De Mauro ci abbia lasciato, avremmo voluto chiedergli - confidando nella sua cortesia e affabilità - per quale motivo abbia inserito nel "Nuovo De Mauro" il verbo "redarre", quando tutti gli altri vocabolari non lo registrano o - se lo attestano - lo fanno precedere o seguire da un "errato".  Il verbo corretto è pari pari il latino "redigere", il cui participio passato è "redacuts" (redatto) e significa "ordinare piú cose (idee) sparse e raccoglierle in uno scritto": redigere un articolo di giornale e simili. Il DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, è categorico: errato redarre. Un coniugatore in rete dà, addirittura, la coniugazione completa. Si digiti qui il verbo in questione.

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La parola, di ieri,  proposta da "unaparolaalgiorno.it: edicola.



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Gentilissimo dott. Raso,
desideravo conoscere il suo parere a proposito dell'aggettivo "quale". Com'è noto, usato nelle proposizioni interrogative ed esclamative è un aggettivo interrogativo o esclamativo. Il dubbio mi è sorto quando è usato in situazioni del genere: "non so in quale negozio acquistare un regalo". Nei miei libri di grammatica non sono riuscita a chiarirmi le idee; in una vecchia grammatica latina (Bonfante, Ferrero) era classificato come aggettivo indefinito. Lei che cosa ne pensa?

Cordiali saluti,  
Francesca R.
Mazara del Vallo

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Sí, gentile Francesca, quale è anche un aggettivo indefinito. Guardi qui.


venerdì 24 febbraio 2017

"Noi pioviamo"


Rilassiamoci un po' con la coniugazione del verbo "piovere" secondo i coniugatori in rete:

Coniugazione di: Piovere

 Forma Attiva (ausiliare: Avere)

       Indicativo
    
       Presente
  • io piovo
  • tu piovi
  • egli piove
  • noi pioviamo
  • voi piovete
  • essi piovono 
          Passato prossimo
  • io ho piovuto
  • tu hai piovuto
  • egli ha piovuto
  • noi abbiamo piovuto
  • voi avete piovuto
  • essi hanno piovuto
          Imperfetto
  • io piovevo
  • tu piovevi
  • egli pioveva
  • noi piovevamo
  • voi piovevate
  • essi piovevano
         Trapassato prossimo
  • io avevo piovuto
  • tu avevi piovuto
  • egli aveva piovuto
  • noi avevamo piovuto
  • voi avevate piovuto
  • essi avevano piovuto
          Passato remoto
  • io piovvi
  • tu piovesti
  • egli piovve
  • noi piovemmo
  • voi pioveste
  • essi piovvero - piovettero - pioverono
          Trapassato remoto
  • io ebbi piovuto
  • tu avesti piovuto
  • egli ebbe piovuto
  • noi avemmo piovuto
  • voi aveste piovuto
  • essi ebbero piovuto
           Futuro semplice
  • io pioverò
  • tu pioverai
  • egli pioverà
  • noi pioveremo
  • voi pioverete
  • essi pioveranno
          Futuro anteriore
  • io avrò piovuto
  • tu avrai piovuto
  • egli avrà piovuto
  • noi avremo piovuto
  • voi avrete piovuto
  • essi avranno piovuto
         Congiuntivo
        
           Presente
  • che io piova
  • che tu piova
  • che egli piova
  • che noi pioviamo
  • che voi pioviate
  • che essi piovano
                Passato
  • che io abbia piovuto
  • che tu abbia piovuto
  • che egli abbia piovuto
  • che noi abbiamo piovuto
  • che voi abbiate piovuto
  • che essi abbiano piovuto
              Imperfetto
  • che io piovessi
  • che tu piovessi
  • che egli piovesse
  • che noi piovessimo
  • che voi pioveste
  • che essi piovessero
             Trapassato
  • che io avessi piovuto
  • che tu avessi piovuto
  • che egli avesse piovuto
  • che noi avessimo piovuto
  • che voi aveste piovuto
  • che essi avessero piovuto
              Condizionale

              Presente
  • io pioverei
  • tu pioveresti
  • egli pioverebbe
  • noi pioveremmo
  • voi piovereste
  • essi pioverebbero
                Passato
  • io avrei piovuto
  • tu avresti piovuto
  • egli avrebbe piovuto
  • noi avremmo piovuto
  • voi avreste piovuto
  • essi avrebbero piovuto
                Imperativo

               Presente
  • piovi
  • piovete
         
          Participio

         Presente
  • piovente
          Passato
  • piovuto
        Gerundio
        Presente
  • piovendo
            Passato
  • avendo piovuto
              Infinito
  
             Presente
  • piovere
          Passato
  • avere piovuto
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Riteniamo superfluo ricordare che si tratta di un verbo impersonale.


giovedì 23 febbraio 2017

Andare per vie traverse


Il significato di questo modo di dire è intuitivo e quanto mai attuale:  ricorrere a mezzi indiretti, per lo piú poco "leali", al fine di raggiungere lo scopo; oppure, in senso figurato, naturalmente,  arrivare al punto "cruciale" di un argomento, durante una conversazione, solo dopo un lunghissimo giro di parole, allusioni, sottintesi e simili. La locuzione, va da sé, contiene una buona vena di giudizio morale negativo. L'espressione è chiaramente una metafora. Le "vie traverse", infatti, sono quelle trasversali, che costringono a un tragitto molto piú lungo ma nello stesso tempo permettono di non farsi notare come, al contrario, avviene percorrendo una strada "dritta", piú importante e, quindi, piú frequentata.

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La parola proposta da questo portale, non prettamente di origine italica e non a lemma nei vocabolari dell'uso: trozzo. Sostantivo maschile con il quale si indica un'accolta di gentaglia, per lo piú armata.


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Roma, rimossa la veranda abusiva sui Fori della Taverna Ulpia

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Ecco un caso ambiguo (anfibologia) da evitare: i Fori sono della Taverna Ulpia?
Correttamente:  Roma, rimossa  la veranda abusiva della Taverna Ulpia sui Fori

mercoledì 22 febbraio 2017

Sentinella: maschio o femmina?


Mariangela Galatea Vaglio, responsabile della rubrica di lingua del settimanale L'Espresso, scrive a proposito del sessismo:
 Se allora si dice sindaca obbiettano alcuni, dovrei dire sentinello o piloto? No. Sentinella e pilota sono già dei maschili. Esistono infatti in italiano (come esistevano in latino e in greco e in talune lingue germaniche) anche dei nomi maschili che hanno la desinenza in -a. Ancora. Poeta, pilota, sentinella non sono e non sono mai stati femminili, ma dei maschili regolarissimi.

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Ci piacerebbe sapere dall'estensora (sic!) dell'articolo come può/possa sostenere che SENTINELLA è maschile.  Se cosí fosse si dovrebbe dire "il" sentinella come si dice, appunto, "il" pilota. Sentinella è un caso particolare perché resta FEMMINILE anche se si riferisce a un uomo, tanto è vero che gli articoli, i pronomi e gli aggettivi riferiti a sentinella vanno sempre accordati al femminile: La sentinella Giuseppe Giuseppone  è statA feritA e ricoveratA in ospedale. Quanto a pilota, volendo sottilizzare, piú che di genere maschile si potrebbe definire di genere comune (comune ai due sessi) essendo possibile riferirlo sia a un uomo sia a una donna; in questo caso il genere "vero" è dato dall'articolo: il pilota (maschile), la pilota (femminile).

Nota: il testo è stato emendato dall'autrice (in un commento, in proposito, le è stata contestata la "mascolinità" di sentinella, che si trovava in compagnia di poeta e pilota. Il termine è stato cassato per ricomparire, in seguito, con guardia, entrambi femminili, appunto. Si sarà imbattuta in questo sito?)  


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Sul femminile dei nomi di professione si veda anche un interessante articolo di Cecilia Robustelli (Crusca).


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La parola proposta, ieri, dal sito della Zanichelli è: suggeritóre /http://dizionari.zanichelli.it/pdg_media/audio.jpg suddʒeriˈtore/
[da suggerire  1651]
s. m. (f. -trice)
1 chi suggerisce
2 nel teatro lirico o di prosa, chi, dall’apposita buca o da dietro le quinte, suggerisce le battute agli attori sul palcoscenico
3 nel baseball, giocatore che dai bordi del campo assiste e consiglia i compagni durante la partita | nel calcio, giocatore molto abile nell’effettuare passaggi alle punte

Ma suggerire cosa significa esattamente? Ce lo dice  Ottorino Pianigiani.

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Da un quotidiano in rete:
In arrivo nuovi accademici alla Crusca. Sono nove gli studiosi che andranno ad accrescere le fila dell'Accademia che difende e promuove la lingua italiana.

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Speriamo che i nuovi accademici riescano - una volta per tutte - a inculcare nella mente degli operatori dell'informazione che si dice "le file" (plurale di fila: in senso figurato gli accademici sono in fila uno dietro l'altro).

martedì 21 febbraio 2017

Ti scrivo onde...


Non  ricordiamo se abbiamo già trattato l’argomento, anche se cosí fosse vale la pena riproporlo perché ci sembra della massima importanza.
  Coloro che amano il bel parlare e il bello scrivere prendano atto, quindi, di queste modeste noterelle che trattano dell’uso corretto dell’avverbio  “onde”. Quest’avverbio, dunque, non può essere adoperato per introdurre una proposizione finale: le telefono ‘onde’ pregarla... Essendo avverbio non può essere “utilizzato” con valore di preposizione (per); non è corretto, insomma, farlo seguire da un infinito. È corretto, invece, il suo uso in funzione di congiunzione con il significato di "al fine" e il verbo che segue deve essere di modo finito: ti do alcuni consigli onde tu possa trarne qualche vantaggio. Qualcuno obietterà: moltissimi scrittori usano ‘onde’ e l’infinito; l’ha adoperato il Leopardi, il Parini, persino il purista Leonardo Salviati, per non parlare del Tommaseo che lo ha registrato nel suo vocabolario. E che cosa significa? Un uso improprio è e un uso improprio resta! Onde è un avverbio di moto da luogo, è il latino “unde”, e significa “da dove”: “onde venisti?, quali a noi secoli...” (Carducci). Da questo significato primitivo sono derivati tutti gli altri, sempre con valore di  “provenienza”. Abbiamo, cosí, onde adoperato come pronome invariabile nel senso di  “di cui”, “da cui”, “con cui”, “per cui”: “i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi onde (di cui) cotanto ragionammo insieme” (Leopardi). Quando in 'onde' manca l'idea della provenienza, insomma, è bene non adoperarlo.
  Vediamo ciò che dice in proposito il linguista Giuseppe Pittàno: “Il significato fondamentale dell’avverbio ‘onde’ (...) è quello di  ‘da quale luogo’, ‘da chi’: ‘onde’ vieni? ‘onde’ ti viene tanto coraggio? (...) Abbastanza frequente è l’uso di ‘onde’ piú l’infinito: ti scrivo ‘onde’ informarti, accorse ‘onde’ aiutarlo. Si tratta di un uso condannato dai grammatici che consigliano di ricorrere in questi casi alla preposizione ‘per’: ti scrivo ‘per’ informarti, accorse ‘per’ aiutarlo”.
  
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 La parola proposta da questo portale e non a lemma nei vocabolari dell'uso: crupsia. Sostantivo femminile sinonimo di daltonismo.

lunedì 20 febbraio 2017

Reggere (tenere) il sacco


Questo modo di dire ci sembra particolarmente appropriato, oggi, se riferito a un certo mondo politico sconvolto dalle varie inchieste giudiziarie perché si dice di coloro che aiutano chi ruba o, comunque, chi agisce disonestamente: è ladro tanto chi ruba quanto chi tiene il sacco. Cosí recita, infatti, un proverbio. Per l'origine e la spiegazione di questa locuzione ricorriamo alle note linguistiche al "Malmantile": «Viene da quei ladri che s'accordano a rubare le biade, quando sono esposte sull'aia; poiché per far presto, uno di loro tiene il sacco, e l'altro ve le pone dentro». Con significato affine si adoperano anche le locuzioni "tener mano", la cui spiegazione è intuitiva, e "far da spalla a uno", quest'ultima tratta dal gergo teatrale in quanto si dice dell'attore che aiuta il comico a imbastire un dialogo scherzoso.

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I verbi "intricare" e "intrigare" - anche se non tutti i linguisti concordano - si possono considerare sinonimi avendo la medesima origine e il medesimo significato:  arruffare, aggrovigliare  e simili e, in senso figurato, imbrogliare, ingannare.  Occorre fare, tuttavia, un distinguo. Adopereremo "intrigare" (con la "g") quando al verbo in questione diamo il significato di "allettare", "affascinare", "incuriosire":  il suo modo di fare mi intriga.