domenica 2 novembre 2014

Ciao, amici lettori

Chi non sa che "ciao", termine che le grammatiche classificano fra le interiezioni (parte invariabile del discorso che da sola esprime un vivace e improvviso sentimento dell'animo: paura, gioia, meraviglia, dolore, ansia, repulsione ecc.) è una forma familiare di saluto scambiato incontrandosi o accomiatandosi: ciao, come stai? Ciao, come va? Si adopera anche a chiusura della corrispondenza fra parenti e amici: ciao, ti saluto e ti abbraccio. Si usa, inoltre, per esprimere una certa rassegnazione riguardo a una cosa definitiva e spiacevole: se ne andò con tutti soldi, e ciao! Pochi, forse, conoscono la sua origine. Vediamo, dunque, come è nato questo "ciao". C'è da dire, innanzi tutto, che a dispetto dei detrattori dei vernacoli italiani, il "ciao" è un contributo che il dialetto veneziano ha dato alla lingua nazionale. Un tempo, infatti, questa particolare forma di saluto era adoperata esclusivamente nell'Italia settentrionale, nel Veneto in particolare. Chi direbbe, però, di primo acchito, che questa parola veneziana non è altro che l' "italiano" schiavo? Perché proprio di schiavo si tratta. "Sclavus" nel tardo latino significava semplicemente "slavo". In seguito per il fatto che in Germania, nell'Alto Medio Evo, alcune etníe slave furono ridotte allo stato di "servi", il termine acquisí l'accezione generica di "servo", di "schiavo". Arriviamo, cosí, al Settecento. A Venezia - nel XVIII secolo - il termine schiavo, "s'ciao" in dialetto, era divenuto formula di omaggio e di riverenza: il prode cavaliere si profferiva servitore (s'ciao) nei riguardi della dama. Il signore si accomiatava dagli amici con un "vi son schiavo". In men che non si dica "s'ciao" raggiunge rapidamente il Piemonte, la Lombardia, l'Emilia e per adattarsi alle labbra dei parlanti - durante il cammino - perde la "s" iniziale divenendo semplicemente "ciao" e con il trascorrere del tempo perde anche il valore "etimologico originario" divenendo formula familiare di saluto.


3 commenti:

matteo rinaldi ha detto...

La stessa spiegazione la dà infatti Marco Paolini, nel suo Milione, bellissimo spettacolo sulla storia di Venezia. Che chiude, alla grande, con un saluto diverso, quello che usava il nonno: "Sani!" Che nelle campagne del tempo, penso, era un saluto ben più apprezzato.

Fausto Raso ha detto...

"Sani" a lei, cortese Matteo
FR

Anonimo ha detto...

Per amor di precisione diciamo che "schiavo" in dialetto veneto si dice "s'ciavo" (cioè s+ciavo, non "shavo"). Come, per esempio, "schioppo" diventa "s'ciopo", e "schiocco" diventa "s'cioco". Come formula di saluto si trova anche nelle opere di Goldoni. Si capisce poi che nell'uso quotidiano, sbrigativo e continuato, la "s" iniziale e la "v" dell'ultima sillaba col tempo andassero perse, e "ciao" si affrancasse definitivamente da "s'ciavo".