venerdì 25 ottobre 2013

I bagni penali

Il piccolo Maurizio, che era un  “ marinaio” appassionato, lí per lí provò un sentimento d’invidia quando apprese che un suo antenato – nell’Ottocento – fu condannato ai bagni penali. La pena, tutto sommato, non era poi molto pesante – pensò – il suo avo era stato fortunato: poteva stare “a bagno” tutto il tempo che voleva senza che nessuno lo…  rimproverasse. Non era affatto cosí; se ne rese conto quando il padre gli narrò tutta la storia. Marc’Antonio, questo il nome del condannato, durante un litigio provocò la morte di un individuo e, per questo, fu condannato ai bagni penali, vale a dire ai lavori forzati. Questo tipo di “punizione” trae origine dal fatto che  anticamente i condannati al carcere duro venivano impiegati a remare stipati nella sentina delle galere  (di qui “galera” sinonimo di carcere), cioè nel fondo della stiva dove le acque ricolano e stagnano, quindi erano sempre “a bagno”. La sentina, cioè la fogna delle galere – sarà utile ricordarlo – trae il nome, sembra, dal latino “sentina”, connesso a “sentis”, cioè a spina perché fatta, appunto, a spina di pesce. Con il passare del tempo si chiamarono bagni penali tutti i luoghi o edifici dove erano rinchiusi i condannati ai lavori forzati.  Nel nostro Paese esistevano fino al 1891 – anno in cui furono chiamati “ergastolo” e “casa di reclusione” – i bagni di porto Santo Stefano e di Alghero. Famosi anche i bagni di Livorno, cioè il mastio della Fortezza Vecchia, in parte sotto il livello del mare (quindi “a bagno”) dove erano rinchiusi gli schiavi turchi.

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La parola del giorno (di ieri): neghittoso

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