lunedì 21 ottobre 2013

Due parole sull'«impossibile»

Sappiamo già che saremo “sbugiardati” dai vocabolari e dai linguisti (se qualcuno di costoro dovesse imbattersi in questo sito) su quanto stiamo per scrivere; ma andiamo avanti per la nostra strada, convinti della bontà della tesi che sosteniamo. Ci riferiamo all’uso corretto dell’aggettivo “impossibile”, che significa “che non può essere”, “che non si può fare”,  “che non si può attuare”, “che non può compiersi” e simili: è impossibile affrontare un viaggio con due bambini cosí piccoli; credo sia impossibile che riesca a ottenere quello che chiede.  Bene.  Alcuni adoperano quest’aggettivo “alla francese”, dandogli un significato che non ha, ritenendolo sinonimo di “difficile”, “intollerabile”, “insopportabile”, “intrattabile”, “scontroso”, “pessimo”, “insostenibile” , “inaccettabile” e simili: c’è un traffico impossibile; mi ha fatto una proposta impossibile; ha un carattere  veramente impossibile;  fa un caldo impossibile. Gli amatori dell'italico idioma adopereranno - in casi del genere -  gli aggettivi propri che fanno alla bisogna: c’è un traffico insostenibile; mi ha fatto una proposta inaccettabile; ha un carattere insopportabile, scontroso; fa un caldo insopportabile.  Un’ultima notazione. Il termine in oggetto può anche assumere il valore di sostantivo maschile: volere l’impossibile; tentare l’impossibile; fare l’impossibile ecc. 

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