sabato 15 giugno 2013

Il cavaliere

Un nostro amico ci ha rimproverato di avere abbandonato la trattazione dell’origine di parole di uso comune ma dal significato… recondito. Ci suggerisce, per farci ‘perdonare’ la mancanza, di parlare dell’etimologia del cavaliere. Perché, per esempio, si domanda e ci domanda il nostro gentile amico, «l’uomo che fa coppia con una donna in un giro di danza si chiama cavaliere? Quale relazione intercorre tra il cavalcare e il danzare?». Lo accontentiamo subito. Dobbiamo prendere, però, il discorso alla lontana e rifarci all’istituzione medievale della Cavalleria in cui “militavano”, solitamente, i figli cadetti dei nobili. Con il termine “cavaliere” si intendeva, per tanto, un “duplice personaggio”: colui che va a cavallo e un nobile militante nella Cavalleria. Le tradizioni di questa nobile istituzione volevano chi suoi “adepti” si mettessero al servizio di tutte le cause importanti, tra le quali l’ossequio e la protezione della dama, che – con solenne giuramento all’atto dell’investitura – ogni cavaliere si impegnava a onorare e a scortare per difenderla dalla violenza e da eventuali offese. Allorché la Cavalleria, come nobile istituzione, morí, rimase vivissimo nella fantasia di tutti – nobili e popolani – il ricordo delle antiche gesta e degli altissimi ideali di cortesia e di “civiltà” cavallereschi, per cui il termine “cavaliere”, come semplice appellativo, mantenne due accezioni distinte ma strettamente legate alla comune origine: 1) nobile appartenente al primo gradino dell’araldica nobiliare (cavaliere, barone, conte, marchese, duca, principe); 2) persona dall’animo nobile e di sentimenti generosi e rispettosi verso la donna (dama), al cui servizio si mette come gli antichi cavalieri medievali. Con tutta probabilità, quindi, quando chiamiamo ‘cavaliere’ il “danzatore”, cioè l’uomo che fa coppia con una donna in un ballo, ci rifacciamo alla seconda accezione. Al primo significato, invece, debbono essersi rifatti i nostri legislatori quando hanno scelto il titolo di “cavaliere” da conferire a un cittadino – qualunque sia la sua condizione sociale ed economica – come riconoscimento di merito; è la “nobiltà” (non di sangue) che ciascuno di noi si conquista con il lavoro, la probità, la dedizione ai grandi ideali. Il cavalierato attuale, insomma, è un titolo di “nobiltà” che non si acquisisce per nascita e non si tramanda, quindi, ai propri discendenti. Tutti sappiamo, per esempio, che lo Stato ha concesso il titolo di “Cavaliere di Vittorio Veneto” ai superstiti della Grande Guerra in segno di riconoscenza del Paese verso coloro che hanno sacrificato la giovinezza e arrischiato la vita per la difesa e l’indipendenza della Patria. È interessante anche ciò che si può leggere qui:

http://www.etimo.it/?term=cavaliere&find=Cerca












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