lunedì 20 giugno 2011

Quando Berta filava...


Amici e gentili lettori, voi che siete amatori della lingua e che ci seguite con affetto, ormai, da parecchio tempo, siete i soli, forse, a rimpiangere il “tempo che Berta filava”; nella fattispecie il tempo in cui si dava l’importanza dovuta al parlare e allo scrivere correttamente. Oggi, nel degrado generale in cui viviamo, anche la lingua ha subíto un totale decadimento: molti fanno a gara – per non essere tacciati di “codini linguistici” – nell’usare parole improprie, che nulla hanno che vedere con la lingua intesa nella sua accezione “piú alta”; ed ecco, allora, che in molti rimpiangiamo il “tempo che Berta filava”. Quest’espressione, adoperata per indicare e mettere in evidenza i tempi di una volta (belli o brutti, fate voi) è assolutamente in regola con le “leggi” della grammatica; quel “che” non è errato – come sostengono i soliti soloni della lingua – si chiama “che temporale” e sta per “in cui”. Vediamo, ora, come è nata l’espressione. La “nascita”, come sempre in certi casi, presenta molte incertezze: da ricerche, faticosamente effettuate, ci risultano due storie entrambe attendibili, citeremo quella che, nostro avviso, riteniamo piú “aderente” alla realtà. Una contadina di Montagnana, certa Berta, venuta in possesso di un sottilissimo filo pensò di portarlo al mercato di Padova per venderlo; non sapendo, però, che prezzo chiedere per un filo, che riteneva di un’utilità straordinaria, decise di regalarlo alla moglie di Enrico IV, che temporaneamente si trovava in quella città. E cosí fece. L’imperatrice, colpita dalla bontà di quell’umile donna e volendo corrispondere con altrettanto “slancio d’amore”, ordinò che a Berta e ai suoi discendenti fosse dato in dono tanto terreno quanto la lunghezza del filo. Le altre donne, venute a conoscenza dello straordinario episodio, cominciarono anch’esse a filare per farne poi dono alla sovrana e ottenere, in cambio, tanta incredibile ricchezza. L’imperatrice – informata – rispose che apprezzava il loro affetto e la loro devozione, ma che solo Berta, però, occupava un “posto” nel suo cuore. Da questo fatto sembra che nacque, per l’appunto, il modo di dire non sono piú i tempi (o non è piú il tempo) che Berta filava.

* * *

Un vocabolario "parlante" (dà la pronuncia delle parole, sia pure con qualche imperfezione; sembra ottimo, però, per la dizione dei termini stranieri).
Si clicchi su: http://it.thefreedictionary.com/

2 commenti:

il puntiglioso ha detto...

Cortese dott. Raso,
io sono uno di quelli che rimpiangono "il tempo che Berta...". Oggi non si può non sobbalzare sulla sedia quando si leggono i giornali o si ascoltano i notiziari...
Strafalcioni a iosa
Cordialmente

Prof. Pietro Elia ha detto...

E' proprio vero: la mania della novita' ha soppiantato la grammatica. Ma e' bene precisare, non per essere retrivi o retrogradi, ma perche' saper esprimersi vale in ogni circostanza, anche con le chat, e altri social network.