mercoledì 29 giugno 2011

Ha ha ha, che ridere!

Probabilmente buona parte dei blogghisti penserà (o penseranno) a un clamoroso errore, alla vista del titolo. No, amici, nessun errore. L'acca dell'interiezione - contrariamente all'uso comune - si può anteporre o posporre, secondo il "significato" che le si vuole attribuire. Dopo per esprimere stupore, indignazione, dolore. Prima per "riprodurre" il suono della risata. Se non credete all'estensore di queste noterelle, credete a quanto sostiene il "Treccani" (ma non solo).
"Ha2 ‹ha› interiez. – Suono, di solito ripetuto, che accompagna un riso ironico o sarcastico, per esprimere irrisione non grave ma in tono un po’ risentito: ha ha, te l’avevo detto, peggio per te. ◆ In genere, la pronuncia aspirata dell’h è più o meno marcata a seconda dell’enfasi con cui si vuole sottolineare il riso".

martedì 28 giugno 2011

Reclamare (uso e abuso)


Due parole, due, sul verbo "reclamare"
perché molto spesso è adoperato – a nostro modo di vedere – in modo errato. Il verbo, dunque, viene pari pari dal latino “reclamare” e vale ‘disapprovare’, ‘opporsi gridando’ e simili. Si costruisce correttamente, essendo intransitivo, con ‘contro’, ‘presso’, ‘a’, ‘in’: reclameremo contro questo provvedimento; reclama al direttore; reclamate presso gli appositi uffici. Alcuni vocabolari lo attestano anche transitivo, seguendo l’uso francese, con il significato di ‘richiedere’, ‘domandare’, ‘rivendicare’ e simili: reclamare gli stipendi arretrati; reclamare il giusto compenso. Non ci sentiamo di condannare quest’uso ma non l’incoraggiamo. Come non incoraggiamo, anzi condanniamo, l’uso del verbo suddetto nei significati “francesizzanti” di ‘esigere’, ‘richiedere’, ‘volere’, ‘chiamare’ e simili: questo è un affronto che reclama vendetta e simili.

http://www.etimo.it/?term=reclamare&find=Cerca

lunedì 27 giugno 2011

«Oltrarno» o "oltr'Arno»?


Gentilissimo Dott. Raso,
le scrivo per un quesito che, spero,voglia prendere in considerazione anche se può sembrare di poca importanza. Bisogna scrivere “oltrarno” o “oltr’Arno”? “Oltralpi” o “oltr’Alpi” ecc? Tempo fa, mio figlio, terza media, in un tema scrisse “oltrarno” e fu ripreso dall’insegnante. Secondo il docente la grafia corretta è con l’apostrofo e la maiuscola del nome del fiume: oltr’Arno.
Grazie e cordiali saluti
Aristide F.
Pisa
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Cortese Aristide, in lingua tutto è importante, se si vuole parlare e scrivere correttamente. Quanto al suo quesito, mi spiace ma debbo bacchettare l’insegnante di suo figlio: entrambe le grafie sono corrette. Suo figlio ha scelto, a mio avviso, quella piú comune. La preposizione “oltre” quando ha valore di prefisso si salda al sostantivo: oltrelago, oltremare, oltremonte, oltrarno, oltralpi, oltretevere ecc. Non è necessario, per tanto, anche se non si può ritenere scorretto, l’uso dell’apostrofo davanti a vocale: oltr’Alpi; oltr’Arno. È evidente che se si sceglie la grafia con l’apostrofo i nomi geografici (solo quelli, non altri) devono avere l’iniziale maiuscola.

domenica 26 giugno 2011

«Dar di volta...»


Gentile Sig. Raso,
le sarei veramente grato se potesse dirmi perché si dice “dare di volta il cervello” quando una persona non… ragiona come dovrebbe.
Grazie
Saluti
Settimio T.
Treviso
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Cortese Settimio, le faccio “rispondere” dal Treccani, alla fine del punto 1. b):






Volta1



Vocabolario on line



vòlta1 s. f. [lat. volg. *volvĭta, *volta, der. del lat. class. volvĕre «volgere»]. – 1. ant. o letter. a. L’azione, il fatto di voltare o di voltarsi, di girare da una parte o dall’altra, di tornare indietro: il cane dalle v. irrequïete (Pascoli); fare le v. del leone, andare su e giù come il leone in gabbia (faccendo le v. del leone, maladiceva la qualità del tempo, Boccaccio); mettere, mettersi in volta, in fuga; prendere, fare una v., o andare, girare in v., compiere un giro: di Firenze uscirono, e presa una lor v


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sabato 25 giugno 2011

«Il mal del vedovo»


Chi non ha mai sofferto del “mal del vedovo”, pur non essendo vedovo (o vedova) scagli, come usa dire, la prima pietra. Tutti abbiamo sofferto o soffriamo, prima o poi, di questo male che, con uso figurato, sta a indicare un dolore (fisico o morale) acutissimo ma, fortunatamente di breve durata, come quello, per esempio, che si prova urtando con un gomito o con un ginocchio contro qualcosa. Questo dolore è paragonato a quello della persona che soffre moltissimo per la morte del coniuge. Il tempo, però, riesce ad affievolire il dolore intenso iniziale. Questo modo di dire - probabilmente poco conosciuto - è di provenienza prettamente popolare.

venerdì 24 giugno 2011

«Aguzzarsi il palo sulle ginocchia»


Il modo di dire che avete appena letto si riferisce a colui che, per imprudenza, pigrizia o sbadataggine, si “autoprocura” un danno, fisico o morale. L’espressione si rifà ai tempi in cui le recinzioni erano fatte con i pali di legno conficcati nel terreno. Questi dovevano essere bene appuntiti a un’estremità. Questa operazione veniva eseguita a mano, a colpi d’accetta, e l’imprudente o il distratto che lavorasse il legno tenendolo sulle ginocchia correva il rischio di farsi del male.

* * *

Dalla rubrica di lingua del quotidiano la Repubblica in rete:

serena scrive:
In una frase del tipo “l’80% dei giovani tra i 15 e i 18 anni e il 40% dei giovani tra i 20 e i 25 anni HA risposto positivamente al test” è corretto il verbo al singolare? O bisogna usare il plurale?

linguista scrive:
È corretto l’uso del verbo al singolare, in quanto il soggetto grammaticale (con cui il verbo deve essere accordato) non è “i giovani” ma “l’80 %” (che rappresenta un insieme).
Alessandro Di Candia
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Il linguista di “Repubblica” sembra dimenticare che esiste, e si può trovare in una qualsivoglia grammatica, la concordanza a senso. Nelle frasi proposte dalla lettrice abbiamo due soggetti, uno grammaticale (80%) l’altro logico (i giovani). In questi casi la grammatica lascia ampia libertà di scelta: il verbo si può accordare tanto con il soggetto grammaticale quanto con il soggetto logico (concordanza a senso). Le frasi di Serena, quindi, sono corrette sia se il verbo si mette al singolare sia se si mette al plurale. Sarebbe stato obbligatorio il verbo al singolare se non ci fosse stato il complemento di specificazione (i giovani): il 40% tra i 20 e i 25 anni “ha” risposto, non *hanno risposto.

*
Caterina scrive:
24 giugno 2011 alle 10:32

Il linguista Alessandro Di Candia sostiene che nella frase postata da Serena ” l’80% dei giovani tra i 15 e i 18 anni e il 40% dei giovani tra i 20 e i 25 anni ha risposto positivamente al test” è corretto l’uso del verbo al singolare, in quanto il soggetto grammaticale è “l’80%” e quindi singolare. Ma il soggetto grammaticale non è, piuttosto, ” l’80%… e il 40%…” e, dunque, plurale? Grazie

linguista scrive:
24 giugno 2011 alle 10:35

Ha perfettamente ragione: la mia prima risposta è stata con tutta evidenza il risultato di una distrazione, di cui non posso che scusarmi. Correggo, quindi, dicendo che il verbo va chiaramente al plurale.
Alessandro Di Candia
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Non cambia nulla. Il verbo può essere tanto singolare quanto plurale perché i soggetti grammaticali (‘l’80%’ e il ‘40%’) sono “concatenati”.

giovedì 23 giugno 2011

«Stretta è la foglia...»


Caro sig. Raso,
seguo sempre le sue noterelle sul buon uso della lingua italiana dove di tanto in tanto tratta anche dei modi di dire. Le scrivo proprio per avere chiarimenti su uno di questi: “Stretta è la foglia, larga è la via…”. Come è nato il modo di dire e cosa c’entra la foglia con la via? Grazie se avrò una risposta.
Un saluto
Ettore D.
Vercelli
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Gentile Ettore, l’argomento è stato trattato sul “Cannocchiale”. Clicchi su questo collegamento:

http://faustoraso.ilcannocchiale.it/2008/05/27/dite_la_vostra.html

mercoledì 22 giugno 2011

La concordanza del verbo


Dalla rubrica di lingua del quotidiano la Repubblica in rete:

mariano scrive:
E’corretto dire: “Su tutto imperversano la neve e il vento” oppure “Su tutto Imperversa la neve e il vento”? O meglio, si possono usare entrambi?

linguista scrive:
È corretta solo la prima frase (“Su tutto imperversano la neve e il vento”), in cui il verbo è coniugato al plurale (”imperversano”), in accordo con i due soggetti (”la neve e il vento”).
Rocco Luigi Nichil
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Dissentiamo totalmente dal linguista; entrambe le frasi sono corrette. Il verbo può essere tanto singolare quanto plurale: a) quando i soggetti si intendono collegati a uno stesso verbo (“Grandine grossa, acqua tinta e neve Per l’aree tenebroso si riversa”, Dante); b) quando i soggetti inanimati (non persone o animali, quindi) sono considerati come un tutto unico formando un’unica idea (“Infin che il danno e la vergogna dura”, Michelangelo). Le frasi proposte dal lettore Mariano rientrano, per tanto, sia nel punto ‘a’ sia nel punto ‘b’. Il verbo, dunque, può essere e singolare e plurale, secondo il gusto di chi scrive o parla.

martedì 21 giugno 2011

Imprecisioni linguistiche (2)


Ancora qualche imprecisione linguistica – a nostro avviso – riscontrata nella grammatica in rete del sito Garzantilinguistica:

• utensile
La pronuncia dell'aggettivo è sdrucciola (macchina utènsile); nell'uso sostantivato si alternano la pronuncia sdrucciola e quella piana (utensìle), preferibile in quanto conforme al sostantivo neutro latino su cui tale forma è ricalcata.
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La pronuncia sdrucciola è corretta solo in funzione di aggettivo. Come sostantivo la sola pronuncia corretta è quella piana: gli utensíli del fabbro.

• zabaione
zabaglione
Zabaione è più comune, ma sono corrette entrambe le forme.
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La pronuncia da preferire, perché “piú corretta”, è quella senza il digramma “gl” (zabaione).

• scorbuto
scorbùto
scòrbuto
La pronuncia piana (scorbùto) e quella sdrucciola (scòrbuto) sono entrambe corrette.
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La sola pronuncia corretta è quella piana (scorbúto).

lunedì 20 giugno 2011

Quando Berta filava...


Amici e gentili lettori, voi che siete amatori della lingua e che ci seguite con affetto, ormai, da parecchio tempo, siete i soli, forse, a rimpiangere il “tempo che Berta filava”; nella fattispecie il tempo in cui si dava l’importanza dovuta al parlare e allo scrivere correttamente. Oggi, nel degrado generale in cui viviamo, anche la lingua ha subíto un totale decadimento: molti fanno a gara – per non essere tacciati di “codini linguistici” – nell’usare parole improprie, che nulla hanno che vedere con la lingua intesa nella sua accezione “piú alta”; ed ecco, allora, che in molti rimpiangiamo il “tempo che Berta filava”. Quest’espressione, adoperata per indicare e mettere in evidenza i tempi di una volta (belli o brutti, fate voi) è assolutamente in regola con le “leggi” della grammatica; quel “che” non è errato – come sostengono i soliti soloni della lingua – si chiama “che temporale” e sta per “in cui”. Vediamo, ora, come è nata l’espressione. La “nascita”, come sempre in certi casi, presenta molte incertezze: da ricerche, faticosamente effettuate, ci risultano due storie entrambe attendibili, citeremo quella che, nostro avviso, riteniamo piú “aderente” alla realtà. Una contadina di Montagnana, certa Berta, venuta in possesso di un sottilissimo filo pensò di portarlo al mercato di Padova per venderlo; non sapendo, però, che prezzo chiedere per un filo, che riteneva di un’utilità straordinaria, decise di regalarlo alla moglie di Enrico IV, che temporaneamente si trovava in quella città. E cosí fece. L’imperatrice, colpita dalla bontà di quell’umile donna e volendo corrispondere con altrettanto “slancio d’amore”, ordinò che a Berta e ai suoi discendenti fosse dato in dono tanto terreno quanto la lunghezza del filo. Le altre donne, venute a conoscenza dello straordinario episodio, cominciarono anch’esse a filare per farne poi dono alla sovrana e ottenere, in cambio, tanta incredibile ricchezza. L’imperatrice – informata – rispose che apprezzava il loro affetto e la loro devozione, ma che solo Berta, però, occupava un “posto” nel suo cuore. Da questo fatto sembra che nacque, per l’appunto, il modo di dire non sono piú i tempi (o non è piú il tempo) che Berta filava.

* * *

Un vocabolario "parlante" (dà la pronuncia delle parole, sia pure con qualche imperfezione; sembra ottimo, però, per la dizione dei termini stranieri).
Si clicchi su: http://it.thefreedictionary.com/

domenica 19 giugno 2011

«Detenere»? Sí, ma... attenzione


Siamo sicuri che quanto stiamo per scrivere farà storcere il naso ai cosí detti grandi della lingua, che dissentiranno totalmente; ma andiamo avanti ugualmente convinti della giustezza della nostra tesi. Intendiamo parlare dell’uso improprio, ma forse sarebbe meglio dire errato, del verbo “detenere”. Il significato proprio del suddetto verbo è “tenere qualcuno o qualcosa presso di sé abusivamente”, e anche “tenere prigioniero”. Le persone rinchiuse in carcere non si chiamano, infatti, “detenuti”? La stampa, ma non solo questa, usa il predetto verbo con il significato di “detenere un primato” e simili: Caio detiene il primato in questa disciplina. In questi casi i verbi da adoperare correttamente, secondo i… casi, sono “possedere”, “avere”, “conquistare”, “vantare”, “conservare”: Sempronio vanta il primato da due stagioni. Analogamente il “detentore” sarà possessore, primatista e simili.
Con il cliccatore si veda questo collegamento:

http://www.etimo.it/?term=detenere&find=Cerca

venerdì 17 giugno 2011

Perché intrattenere e non "intratenere"?


Cortese dott. Raso,
a proposito di “imprecisioni linguistiche”, lei sostiene che “intravedere” si scrive solo con una “v” perché il prefisso “intra-“ non richiede il raddoppiamento sintattico. “Intravvedere”, anche se forma riportata da alcuni vocabolari, sarebbe grafia errata. Come spiega, allora, “intrattenere” e altri verbi che ora non mi sovvengono tutti scritti, rigorosamente, con la consonante raddoppiata dopo "intra"? Grazie e cordiali saluti
Rossano V.
Parma
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Gentile Rossano, il verbo da lei citato si deve scrivere necessariamente con la doppia consonante perché non è composto con il prefisso “intra-“, che non richiede, appunto, il raddoppiamento della consonante che segue. Il verbo in questione è formato con il prefisso “in-“ e “trattenere” (in-trattenere).

giovedì 16 giugno 2011

Imprecisioni linguistiche


Segnaliamo ai responsabili della “Grammatica in rete”, del sito “Garzantilinguistica”, alcune imprecisioni, per non chiamarle errori, che andrebbero riviste per non confondere le idee ai lettori.

• bagnamo
bagniamo

bagnate
bagniate
Nei verbi con tema uscente in -gn, alla prima persona plurale di indicativo e congiuntivo e alla seconda plurale del congiuntivo, la i della desinenza viene assorbita dal suono gn.
Può essere opportuno mantenerla graficamente per analogia con tutti gli altri indicativi e congiuntivi in -iamo e con i congiuntivi in -iate, ma forme come bagnamo o bagnate non possono comunque essere considerate erronee.
--------------
In buona lingua le forme “bagnamo” (indicativo e congiuntivo) e “bagnate” (congiuntivo) sono da considerare, invece, dei veri e propri errori perché la “i” è parte integrante delle desinenze “-iamo” e “-iate”: noi cantiamo, noi bagniamo, noi sogniamo, che voi cantiate, che voi bagniate, che voi studiate.

• intravedere
intravvedere
Entrambe le forme sono corrette, anche se intravedere è più diffusa.
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Il prefisso “intra-” non è cogeminante, non richiede, cioè, il raddoppiamento della consonante che segue: intravedere. La grafia con una sola “v” è quella corretta.


• accecamento
acciecamento

accecante
acciecante

accecare
acciecare
Benché si tratti di un verbo che deriva dall'aggettivo cieco, la forma accecare è molto più diffusa (e tradizionalmente considerata più corretta) di acciecare; lo stesso vale per i derivati: accecamento, accecante
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L’infinito corretto del verbo è senza la “i” (accecare) perché rispetta la “legge” del dittongo mobile
.

mercoledì 15 giugno 2011

Insolvente e insolvibile


Ancora una volta dobbiamo denunciare una contraddizione tra il dizionario Gabrielli in rete e il “Dizionario Linguistico Moderno” del medesimo Autore, ai lemmi “insolvente” e “insolvibile”. Il vocabolario in rete ritiene i due aggettivi l’uno sinonimo dell’altro. Nel “Dizionario Linguistico Moderno”, invece, si legge: «Insolvibile vale “che non può essere pagato”: ‘Questo debito è insolvibile’; è quindi errato usarlo nel significato di “che non può pagare” (‘un debitore insolvibile’); in questo senso si dovrà dire sempre “insolvente” (‘un debitore insolvente’). Un debito, quindi, sarà insolvibile; un debitore, insolvente». Noi diamo credito al “Dizionario Linguistico Moderno” e non al vocabolario in rete “ritoccato”.
Si clicchi su:


http://dizionari.repubblica.it/ e si digitino i due aggettivi.

martedì 14 giugno 2011

I guardaparco o i guardaparchi?


Abbiamo notato che non tutti i vocabolari concordano sul plurale di “guardaparco”. Alcuni lo attestano come sostantivo invariato; altri, non specificandolo, lasciano chiaramente intendere che si pluralizza normalmente: guardaparchi. Questa diversità di opinioni, a nostro modo di vedere, lede la “coscienza linguistica” di coloro non avvezzi in fatto di lingua. Eppure basterebbe che i lessicografi rispettassero la “legge” che stabilisce la formazione del plurale dei nomi composti per non creare confusione. E la legge è chiarissima. I nomi composti di una forma verbale (guarda) e di un sostantivo maschile singolare (parco) formeranno il plurale regolarmente: il guardaparco, i guardaparchi. Resteranno invariati, invece, se si riferiscono a un femminile: la guardaparco, le guardaparco.

sabato 11 giugno 2011

«Cliccatore»


Gli amici che ci seguono da tempo sanno benissimo che ci stiamo battendo con tutte le forze per salvare la nostra lingua dalle “invasioni barbariche”. Basta sfogliare un qualsivoglia giornale per avere la prova provata della nostra amara “denuncia”. A questo proposito lanciamo un sondaggio tra i nostri fedeli lettori. Che cosa ne pensate se chiamassimo “cliccatore” quell’aggeggio del computiere che in inglese è denominato “mouse”? Ci auguriamo che il nostro appello non cada nel vuoto e attendiamo fiduciosi i vostri commenti.

«Quisquiglia»?


Stupisce, e non poco, notare che un autorevolissimo vocabolario, come il Treccani, attesti “quisquiglia” variante di “quisquilia”. Il termine, che significa, “bazzecola”, “cosa di poco conto” (e simili), proviene dal latino (come rileva lo stesso Treccani) in cui il digramma “gl” non è presente. Il vocabolario “Sandron” e il Dop (dizionario di ortografia e di pronunzia) sono categorici: non “quisquiglia”. La grafia corretta, quindi, è ‘quisquilia’ senza il digramma “gl”, anche se la forma ‘errata’ si riscontra in alcuni Autori di prestigio: «La perseveranza con che s’intromette ed insiste in una lite che in fine del conto gli è straniera e la spada tratta con che combatte per questioni puerili non possono se non invogliare moltissimi ad imitarlo, a darsi al mestiere di gravi giudici e ardenti partigiani in quisquiglie letterarie» (Foscolo); «Per chi abbia fame di quisquiglie inedite, ecco qui in ultimo due epigrammi» (Carducci).

Quisquilia
Vocabolario on line
quisquìlia (o quisquìglia) s. f. [dal lat. quisquiliae -arum, propr. «immondezza, feccia»]. –

1. ant. Imperfezione, impurità: de li occhi miei ogne quisquilia Fugò Beatrice col raggio d’i suoi (Dante).

2. Minuzia, inezia, cosa di nessun conto: occuparsi, discutere di quisquilie; litigare per quisquilie; perdersi in quisquilie; q. letterarie, grammaticali; ma sono quisquilie!; non si tratta di quisquilie, di cose rimediabili facilmente: un assegno a vuoto di cinquecentomila lire (Palazzeschi).

venerdì 10 giugno 2011

«Qualcosa» e «qualche cosa»


Dallo “Scioglilingua” del Corriere della Sera in rete:
"qualcosa" è sempre maschile??
gentile professore, dopo aver scritto questa frase "quando qualcosa è troppo lontana dal tuo modo di essere...non riesci proprio ad immaginarla" mi sono vergognata perché mi è sembrato di ricordare che qualcosa di solito è usato al maschile. Lei cosa mi dice, ho sbagliato l'accordo del pronome "la"?
tantissimi saluti, La ringrazio in anticipo per l'aiuto!
(Firma)
Risposta dell’esperto:
De Rienzo Giovedì, 09 Giugno 2011
Qualcosa può essere, a seconda dei casi, maschile o femminile.
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Cortese Professore, la gentile lettrice avrebbe fatto meglio a scrivere “lontano” e a non accordare il pronome “la”. Qualcosa, in grafia univerbata, è maschile; in grafia scissa (qualche cosa) è femminile. Le copincollo ciò che riporta il suo vocabolario di riferimento, il Sabatini Coletti:

qualcosa
[qual-cò-sa] pron. indef. m. (abbr. in questo vocabolario qlco.; solo sing.)
• 1 Qualche cosa, con valore indef. di neutro; alcunché: c'è qlco. che non va; il cane ha fiutato qlco. qlco. mi dice che…, prevedo che, ho la sensazione che tenere, avere qlco. da parte, risparmiare, conservare del denaro per ogni evenienza avere qlco., covare qualche malanno, non sentirsi bene, essere preoccupato contare qlco., avere una certa importanza saperne qlco., avere esperienza, conoscere una situazione qlco. come…, nientemeno che (spesso detto con ironia): ci è voluto qlco. come un mese perché intervenissero … e qlco., e poco di più: un chilo e qlco. è già qlco., è meglio di niente
• 2 Può essere accompagnato da altro o da un compl. partitivo: avete in mente qualcos'altro?; vorrei regalargli qlco. di bello
• • In funzione di s.m.
• 1 (come compl. predicativo) Persona importante SIN qualcuno: è diventato qlco. nel suo campo
• 2 (preceduto dall'art. indeterm.) Elemento vago SIN un non so che: c'è un qlco. dentro di me che mi dice di non andare
• • dim. qualcosetta, qualcosina, qualcosuccia
• • sec. XVI
• • Qualcosa richiede l'accordo al maschile dell'art. indeterm. (un qlco.) e del partitivo (qlco. di caldo); il m. è preferito anche nel participio, dove però si hanno oscillazioni: “Qlco. per me era venuta meno” (Calvino).
Si veda anche questo collegamento:
http://www.dizionario.rai.it/poplemma.aspx?lid=23015&r=1532

giovedì 9 giugno 2011

Verbi riflessivi


Nella “Grammatica in rete” del sito Garzantilinguistica abbiamo riscontrato un errore nella tabella 4, che tratta dei verbi pronominali:

4) Verbi pronominali indiretti
Nei verbi pronominali intransitivi (detti anche riflessivi apparenti: accanirsi, accorgersi, arrabbiarsi, pentirsi, ecc. ) il pronome non ha una sua funzione e un suo significato ma fa, semplicemente, tutt’uno col verbo: “Io mi arrabbio”, “Tu ti accorgi”
non significano “Io arrabbio me stesso” o “a me stesso”, “Tu accorgi te stesso” o “a te stesso”.

Come si legge chiaramente, nella suddetta tabella i verbi “accanirsi”, “accorgersi”, “arrabbiarsi”, “pentirsi” ecc. sono classificati tra i riflessivi apparenti. No, non sono affatto riflessivi apparenti. Invitiamo i responsabili del settore a emendare l’errore per non indurre in… errore i lettori sprovveduti in fatto di lingua.
Si clicchi su:
http://garzantilinguistica.sapere.it/it/grammaweb/chapters/6/subchapters/77/grammar

mercoledì 8 giugno 2011

«Scendere», solo intransitivo?



Dallo “Scioglilingua” del Corriere della Sera in rete:
correttezza di espressione
dico a mio nipotino "scendi le mutandine prima di fare pipì" mi hanno detto che l'espressione è sbagliata. io insisto nel dire che in questo caso scendere è usato come verbo intransitivo. Chi ha ragione?
(Firma)
Risposta del linguista:
De Rienzo Martedì, 07 Giugno 2011
Scendere è verbo intransitivo, quindi non ammette il complemento oggetto.
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Gentile Professore,
il verbo scendere è “bivalente”, può essere, cioè, tanto intransitivo quanto transitivo: dipende dal contesto. Ecco, in proposito, ciò che dice il vocabolario “Gabrielli” in rete:

scendere
[scén-de-re]
(scéndo, -di, scéndono; scendévo; scési, scendésti, scése, scendémmo, scendéste, scésero; scenderò; congiunt. pres. scénda, scendiàmo, scendiàte, scéndano; scendéssi; scenderèi; scendèndo; scendènte; scéso)
A v. intr. (aus. essere)
1 Spostarsi, procedere dall'alto verso il basso: s. dai monti; s. dal cielo; s. dall'albero; s. da una scala a pioli; s. per le scale; scendeva lungo un sentiero ripidissimo; era appena sceso di casa; la strada scende fino alla valle
‖ Andare, recarsi in un luogo più basso di quello in cui ci si trova: s. a terra; i pastori scendevano al piano; scendemmo a valle; scendo in cantina a prendere il vino; ass. scendo subito
‖ fig. Scendere dalla cattedra, comportarsi con minor presunzione
Scendere in campo, in lizza, nell'arena, nell'agone, presentarsi alla gara, al combattimento, gareggiare
Scendere in piazza, prendere parte a una dimostrazione popolare

2 Smontare: s. da cavallo, di sella; s. dalla carrozza, dal treno, dall'automobile, dalla bicicletta; ass. scendiamo alla prossima fermata
‖ estens. Fermarsi, sostare, prendere alloggio: scendemmo alla prima locanda che trovammo; è sceso a un alberghetto caratteristico
3 Di strada, percorso e sim., degradare, declinare: il sentiero scendeva ripido

4 Pendere, penzolare; essere sospeso: scintillanti lampadari scendevano dal soffitto
‖ Ricadere: una folta barba gli scendeva sul petto

5 estens. Trasferirsi verso sud; muoversi da un territorio, da una regione, posti più a settentrione: nel V sec. d. C. i Visigoti scesero in Italia

6 fig. Penetrare; andare in profondità: una melodia dolce che scendeva nell'anima; parole che scendono al cuore
‖ Scendere in particolari, addentrarsi in un argomento

7 fig. Calare, diminuire: la temperatura è scesa sotto zero; la febbre non accenna a scendere; il prezzo del petrolio è sceso

8 fig. Indursi, piegarsi, adattarsi a fare qualcosa: s. a patti; s. a più miti consigli; s. a preghiere
‖ Abbassarsi, degradarsi: s. di grado, di dignità, di condizione; s. in basso; non scenderò mai a umiliarmi davanti a lui

9 fig. Di astri, andare giù, tramontare: il sole scendeva dietro i monti
‖ Calare: scendeva la notte; scendono le prime ombre della sera

10 SPORT Scendere a rete, nel calcio, portarsi verso la porta avversaria; nel tennis portarsi a giocare dal fondo del campo alla rete

11 ant., fig. Provenire per generazione, per stirpe; discendere: la cui stirpe scendea dal buono Alcide Ariosto

B v. tr.
1 Percorrere spostandosi dall'alto verso il basso: scendeva gli scalini a due, tre per volta; s. il monte; s. il pendio

2 dial., merid. Calare, mandare giù, mettere giù; far scendere: s. le valigie dal finestrino; il prigioniero si scese con una fune dalla torre.

martedì 7 giugno 2011

Per quale motivo gli abiti hanno diverse abbottonature?


Gli uomini cominciarono a usare i bottoni nel Medioevo. Erano cuciti sulla parte destra del vestito perché così potevano sbottonarsi più facilmente con la sinistra, tenendo libera la destra per l’arma. Le donne, invece, usavano per lo più laccetti o abbottonature senza verso, come i gemelli dei polsini. La differenza viene sancita per consuetudine nella seconda metà dell’800, quando i bottoni si diffusero anche nel corredo femminile.
(www.ilsapientino.com)

lunedì 6 giugno 2011

«Minare»? Dipende...


Ancora un verbo, che adoperato in senso figurato è un francesismo e, quindi, da bandire: minare. Il significato proprio (e concreto) del verbo è “collocare mine”: minare un campo. Molto spesso si adopera, con uso figurato, nel significato di “logorare”, “rovinare”, “corrodere”, “scalzare”, “insidiare”, “distruggere”, “indebolire”, “mettere in pericolo” e simili: minare le istituzioni dello Stato. È un uso “alla francese” che – anche se i vocabolari non sono dalla nostra parte – coloro che amano il bel parlare e il bello scrivere devono assolutamente evitare.

domenica 5 giugno 2011

Vescovado e vescovato


I due sostantivi, in buona lingua, non si dovrebbero usare indifferentemente. Il primo designa il palazzo residenziale del vescovo e il territorio della diocesi di cui è a capo: vescovado di Civitavecchia. Il secondo indica la ‘dignità vescovile’ e la ‘durata in carica del vescovo’: alcuni lavori nella diocesi di Roma sono stati eseguiti durante il vescovato di monsignor Poletti.

venerdì 3 giugno 2011

«Si è comprato o comprata»?


Dallo “Scioglilingua” del Corriere della Sera in rete:
Brutto ma buono o brutto e scorretto?
In un articolo del Corriere della Sera di oggi, 1° giugno, ho letto la frase
".. la famiglia Gavazzi ha abbandonato la manifattura e si è comprato il fiorente
Banco di Desio. "
che mi sembra musicale come una porta che stride, in un film dell'orrore.
Ma, al di là di questo giudizio soggettivo, caro professore, questa frase è grammaticalmente corretta?

(Firma)
Risposta del linguista:
De Rienzo Giovedì, 02 Giugno 2011
No, il verbo va concordato con il soggetto.
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Gentile Professore, ci spiace ma dobbiamo assolutamente contraddirla. Il verbo della frase in oggetto, essendo un riflessivo apparente, si può concordare tanto con il soggetto quanto con il complemento oggetto. Dipende dal gusto stilistico del parlante o dello scrivente.

giovedì 2 giugno 2011

Scorrettezza e scorrezione



Anche se i due sostantivi sono l’uno sinonimo dell’altro, a nostro avviso è preferibile adoperare il primo termine per indicare un errore in senso morale: nei miei riguardi ha usato troppe scorrettezze; il secondo per designare un errore materiale: quel testo è illeggibile essendo pieno di scorrezioni tipografiche.

mercoledì 1 giugno 2011

«Vedere il sole a scacchi»


Che cosa significa questa locuzione? Significa trovarsi in carcere. Le persone rinchiuse in un carcere vedono il sole entrare attraverso le grate e queste disegnano sul pavimento una sorta di scacchiera. Il Minucci, uno dei notisti al “Malmantile racquistato” (un poema burlesco) scrive: «In luogo, ove si vede il sole a scacchi. Cioè “in prigione”; perché le finestre ferrate della prigione, battendovi i raggi del Sole, fanno la figura dello scacchiere, nel luogo, dove termina il loro sbattimento o ombra de’ ferri».