venerdì 21 gennaio 2011

Disquisizioni linguistiche sull'italiano





Da “Domande e risposte” della Treccani in rete:
Nella frase “un altrettanto bella occasione” – “altrettanto” inteso come avverbio – l’articolo “un” va apostrofato oppure no?

L’articolo va riferito al sostantivo. In questo caso, occasione. Dunque siamo in presenza di una, articolo indeterminativo femminile singolare, con la variante elisa un’ da preferire se la parola seguente comincia con una vocale. Si può scegliere se scrivere un’altrettanto bella occasione o una altrettanto bella occasione.
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Dissentiamo totalmente sulla risposta degli esperti. Come si fa a mettere l’apostrofo davanti a un avverbio? Nel caso specifico, inoltre, "altrettanto" è in funzione di aggettivo indefinito e in quanto tale si declina: un'altrettantA bella occasione. Molti
LIBRI ci confortano in proposito.
PS: Altrettanto non è un aggettivo indefinito con valore correlativo esprimente uguaglianza nella quantità?
Un esempio: domani dovrò fare altrettanti esercizi (vale a dire: 'tanti esercizi quanto oggi').
Quindi: "Un'altrettanta bella occasione" (vale a dire "tanta bella occasione quanto quella...’).
Per "tanta bella" si veda QUI

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Dallo “Scioglilingua” del Corriere della Sera in rete:
D'omonimi ed altri "omi"
Il post del signor * ha fatto sorgere un dubbio al mio amico *, che oggi è in vacanza, dopo tanto viaggiare.
Si domanda Mr. * se abbia senso in Italiano parlare di parole "omofone", ossia quelle parole di grafia uguale o diversa, significato diverso, ma d'ugual pronuncia.
Grazie
Firma
Risposta del linguista:
De Rienzo Giovedì, 20 Gennaio 2011
E perché no?
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Gentile Professore, ci corre l’obbligo di dissentire recisamente. Le parole di grafia diversa non possono essere “omofone”.
La nostra lingua è ricca di parole “omofone” (stesso “suono”) e “omografe” (stessa grafia). Vediamo, succintamente, la differenza. Le parole omofone sono dette anche “omonime” perché oltre ad avere il medesimo “suono” hanno anche lo stesso nome (la “bugia”, per esempio: candeliere e menzogna); quelle omografe, invece, hanno la medesima grafia ma il “suono”, cioè la pronuncia, non sempre uguale. Legge, “norma” e lègge, dal verbo leggere, per esempio, sono omografe ma non omofone. Le parole omofone, quindi, sono (quasi) sempre omografe; queste ultime invece, non necessariamente sono anche omofone. E quanto alle omofone (o omonime) c’è da dire che nella stragrande maggioranza dei casi provengono da due termini diversi che hanno finito con il coincidere per l’evoluzione storica del linguaggio. Vediamo, in proposito, qualche esempio: la lira, moneta, viene dal latino “libra(m), mentre la lira, strumento musicale, da “lyra(m); il miglio, la pianta, ha origine da “miliu(m), il miglio, la misura da “milia”. Ancora: la fiera, belva, da “fera(m), fiera, mercato, da “feria(m)”; botte, recipiente, da “butta(m)” (‘piccolo vaso’), botte, percosse, dal francese antico “boter” (percuotere). Sarà bene, per tanto, accentare le parole omonime che possono generare equivoci: balia e balía; regia e regía; ambito e ambíto; subito e subíto; ancora e àncora; decade e decàde e via dicendo. L’accento che si adopera in questi casi si chiama “fonico” perché fa cambiare, appunto, il “suono” alle parole che hanno il medesimo nome. Un accento, diceva un grande linguista, “se al posto giusto non ha mai fatto male a nessuno”.

3 commenti:

Tobia ha detto...

In italiano non sempre le parole omofone sono anche omografe, basti pensare ad a e ha, ai e hai, o e ho, anno e hanno, cieco e ceco...

Fausto Raso ha detto...

Gentile Tobia,
grazie dell'attenzione. Ha voluto proprio cercare il pelo nell'uovo, come suol dirsi.
Cordialmente
PS. Ho qualche riserva, però, per quanto attiene a cieco e ceco.

Fausto Raso ha detto...

Cortese Tobia,
la ringrazio ancora: correggerò il mio intervento mettendo in parentesi un "quasi" prima di sempre.
Cordialmente