martedì 15 giugno 2010

L'articolo è sempre obbligatorio?



Gentilissimo dott. Raso,
un amico mi ha segnalato il Suo insostituibile blog per l’uso corretto della lingua italiana, oggi piú che mai “succuba” di quella inglese. La Sua è un’iniziativa veramente encomiabile: dare lezioni gratuite, di questi tempi... Approfitto della “gratuità” per chiederle di spendere due parole sull’uso corretto dell’articolo: quando è obbligatorio usarlo e “come”. Confidando nella Sua proverbiale squisitezza - come dice il mio amico - La ringrazio anticipatamente e Le porgo i miei devoti omaggi.
Lorenzo P.
Lecce
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Cortese Lorenzo, la ringrazio, innanzi tutto, per le sue gentili parole. Quanto alla sua richiesta, il caso vuole che l’argomento sia già stato trattato sul “Cannocchiale”, glie lo ripropongo scusandomi con gli altri blogghisti per la... “ripetizione”


Se apriamo un qualsivoglia libro di grammatica leggiamo, nella parte che tratta dell’articolo, la solita “pappardella” che imparammo – a suo tempo – in terza o quarta elementare: l’articolo è quella parte variabile del discorso che si mette prima del nome per indicarne il genere e il numero in modo determinato o indeterminato. Siamo sicuri di non peccare di presunzione se affermiamo – a questo proposito – che molte persone, anche tra le piú “acculturate”, non conoscono il significato “intrinseco” dell’articolo. Colpa loro? No. Colpa delle grammatiche e della scuola e, per questa, di molti insegnanti che non sentono il dovere di approfondire l’argomento (forse non lo conoscono?). Vediamo di supplire alle carenze scolastiche. Questa “paroletta” (articolo), come viene definita da alcune grammatiche, che si premette al nome “per meglio indicarlo” è il latino “articulus”, diminutivo di “artus” (membro, giuntura) e in origine indicava il “piccolo arto”, la “giuntura” del corpo. In linguistica, per tanto, si adopera questo termine per indicare l’elemento che introduce e “sostiene” il sostantivo, come le giunture del corpo sostengono le membra.
Con il trascorrere del tempo e per estensione l’articolo ha acquisito anche altri significati come “punto”, “suddivisione”, “sezione” (l’articolo di un giornale non è una “sezione” del giornale stesso?). Abbiamo, cosí, i vari “articoli” esposti in un negozio: articoli di abbigliamento, articoli sportivi e via dicendo. L’articolo, sempre per estensione, è anche ciascuna delle suddivisioni di un regolamento, di una legge, di un trattato (l’insieme degli articoli, cioè delle “giunture” costituisce, o se preferite, costituiscono il regolamento, la legge). A proposito di giornali, alcuni sostengono che l’articolo in senso giornalistico sia un calco sull’inglese “articles”. È una tesi, questa, discutibile a nostro modo di vedere...
Ma torniamo, un attimo (non attimino, per carità!), all’articolo grammaticale vedendo per sommi capi il suo uso corretto. La norma generale impone l’articolo davanti a tutti i nomi comuni; si omette, però, e l’omissione è obbligatoria, in numerose locuzioni o espressioni particolari come, per esempio, “aver sonno”, “far paura”, “andare a cavallo”, “camicia da notte”, “sopportare con pazienza” ecc. Dei nomi propri richiedono l’articolo determinativo, solo quello, si badi bene, i nomi dei monti: il Cervino, il Bianco; i nomi dei fiumi: il Po, il Tevere; i nomi di regione, di nazione, di continente: il Lazio, la Grecia, l’Asia. È altresí necessario l’uso dell’articolo davanti ai cognomi: il Bianchi, il Rossi, il Ferrari. Davanti ai cognomi di personaggi illustri e conosciuti l’articolo si può porre o omettere, dipende dal gusto di chi scrive o parla: Manzoni o il Manzoni, Leopardi o il Leopardi.
Rifiutano categoricamente l’articolo i nomi di città, salvo quelli in cui l’articolo – per “consuetudine popolare” – è diventato parte integrante del nome: La Spezia, L’Aquila, La Valletta ecc. È consigliabile, anzi, “obbligatorio” l’articolo davanti ai nomi di città se sono preceduti da un aggettivo o accompagnati con una specificazione: la Roma umbertina, la Firenze medievale, la dotta Bologna. E a proposito dei nomi geografici, dei fiumi in particolare, alcune volte ci troviamo di fronte al dubbio amletico circa il genere di articolo da adoperare: maschile o femminile?
Si dice, generalmente, che i nomi dei fiumi che terminano in “-o”, in “-e” e in
“-i” sono di genere maschile: il Tevere, il Tamigi, il Ticino; quelli la cui terminazione è in “-a” sono, prevalentemente, femminili: la Senna, la Garonna. Ma come la mettiamo con il fiume Volga? Stando alla “regola” dovrebbe essere femminile: la Volga. Nell’uso comune sentiamo, invece, il Volga. Perché? Il motivo è semplicissimo: Volga è femminile in russo e in francese; maschile in spagnolo e in questo genere si usa, generalmente, anche in italiano. La forma originaria femminile si incontra, però, presso alcuni scrittori come il D’Annunzio che scrive “dalla Volga al Golfo Persico”. Il genere femminile, per tanto, non è da considerare erroneo perché rispecchia la forma originaria russa come usano, soprattutto, gli slavisti. Ma anche il nostro fiume Piave è “ambisesso”: la Piave e il Piave. In alcuni vecchi libri prevale il femminile, come si può notare leggendo Antonio Stoppani, Gasaparo Gozzi e il “moderno” Paolo Monelli. Il Carducci e in particolare Gabriele D’Annunzio “mascolinizzarono” il fiume sacro alla Patria tanto è vero che la famosissima canzone della Grande Guerra recita: il Piave mormorò...

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